Diario dal Senegal: il primo giorno di lavoro

Ore 5.08 (GMT 0). Mi sveglio ed ancora mezzo assonnato cerco di preparare la moka. Da Marie (dove sono alloggiato) c’è una simpatica cucina ed i primi ospiti cominciano a svegliarsi per la preghiera mattutina. Le continue porte sbattute e i richiami ai riti religiosi già dalle prime ore diventeranno presto una routine dalla quale è difficile discostarsi. L’appuntamento con Matteo è alle 8.00 al “vicino” distributore di benzina. Di solito il primo giorno di lavoro mi succede sempre qualcosa e anche questa volta non mi sono fatto sfuggire l’occasione: perso la strada mi hanno recuperato dopo 45 minuti che vagavo alla ricerca del punto d’incontro. Non male per uno che deve geomappare e lavorare con la cartografia, eh? Ma nel tragitto verso l’ufficio nessuno è sembrato particolarmente “preso male” per il mio ritardo.

L’arrivo all’ASESCAW è emozionante: dal primo all’ultimo mi hanno accolto, salutato e dato il benvenuto. Pochi minuti dopo ho conosciuto i due ragazzi del team che mi avrebbero accompagnato nel tour di geo mappatura delle microimprese, indispensabili come interpreti ed appoggio logistico. Orario di partenza previsto: 10.00. Orario di partenza effettivo 12.00.

Selfie di rito pre-partenza e siamo in direzione della prima microimpresa rurale. La procedura è abbastanza chiara: avvisare il proprietario del nostro arrivo, presentarci, spiegare il perché della geomappatura e visitare la sede ed eventualmente i luoghi dove vengono svolte le attività.

Una serie di dati sono già stati raccolti nel corso degli ultimi due anni, quindi non resta che creare sul software geografico un archivio delle 60 microimprese aderenti all’organizzazione.
Essendo già tardi (o essendoci già più di 40 gradi) abbiamo dovuto diminuire le MER per ovvie ragioni di tempo ma ciò ha permesso comunque di incontrare quattro realtà famigliari attive nel campo del riso e dell’allevamento caprino, molto disponibili al punto che una di queste ci ha fortemente consigliato di rimanere a mangiare da loro.

Ecco, il pranzo così come si è svolto non me lo sarei mai aspettato. Un unico piatto enorme di riso bianco. Arriva una pentola con pesce, patate e carote, riversata quasi subito sulla portata principale. Mentre aspettavo la forchetta scatta il buon appetito e tutti i commensali allungano le mani verso il riso. «Prima volta senza posate vero?». La mia incapacità ha fatto subito scattare qualcosa nel padrone di casa, il quale molto gentilmente dopo pochi secondi sorridendo mi offre un cucchiaio. A conclusione del pasto l’immancabile the, con tutto il rituale di creazione della spumina che lo accompagna.
Salutati i nostri amici abbiamo poi continuato il nostro tour, GPS alla mano e direzione fiume Senegal. In un villaggio abbastanza sperduto ci aspettava l’ultima micro impresa, e qui la parola “micro” è proprio azzeccata dato che il bestiame vantava meno di una decina di ovini e la forza lavoro era chiaramente di tipo familiare.

Ritorno in jeep a Saint Louis, con sabbia ovunque e naso già spelato dal sole. «Come ti senti? Bene, solo un po’ stanchino per oggi. Ottimo, prendi il ritmo e continua così perché te ne restano 56 da girare per le prossime tre settimane».

Inizio del tour alla grande dunque, dopo aver macinato quasi 100 km, conosciuto le storie dei primi contadini ed avere già sulla pelle i segni dell’abbronzatura (forse è ancora scottatura) “del cooperante”.

Quanto valgono i nostri dati

C’è chi li definisce il “nuovo petrolio”, chi li usa per la pubblicità, chi per la difesa. La proprietà dei dati che ogni giorno immettiamo sul web usando i più svariati servizi è al centro del dibattito politico. E di interessi miliardari.

di Eloisa Spinazzola

Maggiori possibilità, più velocità, infiniti servizi, perlopiù gratuiti. Questi sono solo alcuni dei motivi per cui le tecnologie e il web 2.0 hanno iniziato a far parte sempre di più della nostra vita, fino a permearla completamente e, spesso, cambiandone anche la forma.

Maggiori servizi e flussi di informazioni significano però anche maggiori strutture, con un incremento notevole dei costi per le aziende che le gestiscono. Per farsi un’idea basta guardare i server di Facebook in Lapponia oppure scoprire qualcosa in più su quelli di Google negli Stati Uniti.

Ma se il servizio è sempre gratuito come si mantengono queste aziende? Dove trovano i fondi per supportare le crescenti attività e le sempre maggiori richieste?

L’uso dei dati è la nuova frontiera del profitto. Sempre più numerosi sono infatti i casi in cui emerge una speculazione riguardo l’utilizzo dei dati degli utenti, a volte a causa dell’inconsapevolezza di questi ultimi nell’uso delle tecnologie, a volte a causa di comportamenti spregiudicati da parte di aziende o istituzioni.

Facebook&Co

Dichiarandosi molto attento a questo aspetto, Facebook ha fornito maggiori informazioni a riguardo, esplicitando come il suo business-model sia basato sulla pubblicità. Nel 2012 Facebook ha fornito delucidazioni su “alcuni modi in cui hanno progettato” l’impianto pubblicitario. In particolare, il social network ha impostato i diversi ads in modo che a ogni utente appaiano contenuti pubblicitari in linea con i suoi gusti e abitudini. Vi sono due sistemi ideati da Facebook che meritano una breve descrizione.

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Il primo è Facebook Exchange e si occupa di mostrare gli annunci in tempo reale. Questo sistema – basato su hashes, brevi stringhe di testo – prevede che a ogni utente sia collegato un ID, codice identificativo che non ha nulla a che fare con quello del profilo, ma che è legato al browser da cui il detentore del profilo si collega. Ogni volta che un utente si connette da quel determinato browser viene inviata una notifica al fornitore dei servizi che risponde con una data pubblicità.

Il secondo vede Facebook spostarsi dalla nostra vita online a quella offline. Attraverso l’accordo stretto con Datalogix, il social network più conosciuto del mondo aiuta le aziende a capire se la pubblicità sul web sia davvero utile ad aumentare le loro vendite e fa questo raccogliendo informazioni attraverso l’uso della carte di credito dai negozi convenzionati.
Secondo quanto contenuto all’interno della nota firmata da Joey Tyson, Privacy Engineer di Facebook, le aziende da cui acquistiamo prodotti possono fare pubblicità personalizzate all’interno delle piattaforme che usiamo grazie ai dati che noi forniamo loro quando acquistiamo qualcosa.

In tutti i casi, Facebook dichiara che il primo degli obiettivi è sempre quello di mantenere alta la fiducia degli utenti. E definisce la propria pratica come “win-win”, sostenendo che ne guadagnino tutte le parti in causa (gli utenti e le aziende).

Non solo pubblicità

Casi come quello di Edward Snowden – intervenuto a Milano durante il recente Wired Next Festival – testimoniano come le informazioni che affidiamo al web non siano solo utilizzate a scopi, per così dire, di lucro. Infatti gli USA hanno accumulato innumerevoli informazioni attraverso PRISM, il programma di sorveglianza statunitense – classificato come di massima sicurezza – e affidato all’Agenzia di Sicurezza Nazionale (NSA). Secondo le dichiarazioni rilasciate ai tempi dello scoppio del caso (metà 2013), il programma aveva accesso a dati di gran parte del traffico internet mondiale, comprese email, chiamate, video condivisi privatamente dagli utenti.

A due anni di distanza arrivano nuove notizie proprio riguardo alle intercettazioni. Infatti, Il Sole 24 Ore ne scrive nuovamente in questi giorni, facendo riferimento alla cinquantina di pagine pubblicate dal portale The Incept, dalla cui lettura emerge chiaramente “la volontà di entrare nella vita dei cittadini (e spiarne ogni mossa) attraverso le vulnerabilità delle applicazioni presenti nel Play Store di Google e nel Samsung Apps”, come dice Simonetta Biagio, nell’articolo del quotidiano.

Prove di regolamenti

In Italia, nell’ottobre 2014 la Commissione Diritti e Doveri di Internet, guidata da Stefano Rodotà, ha proposto una Magna Charta di Internet che cita i diritti considerati imprescindibili, quali il diritto di accesso, quello all’oblio, alla riservatezza. Durante la stesura è emersa chiaramente la volontà di preservare il diritto alla libertà che – secondo il Giurista Nicola D’Angelo – pare sempre più in pericolo, anche attraverso le regole adottate in particolare dagli USA per mantenere la cosiddetta sicurezza pubblica.
Il lavoro è poi proseguito per alcuni mesi, senza però raggiungere risultati significativi. Durante le concertazioni, l’Istituto Bruno Leoni nell’ambito della Consultazione Pubblica sulla Carta stessa ha effettuato alcune osservazioni e ha fatto presente alla Commissione come i contenuti della Carta risultassero ridondanti e ha concluso consigliando all’Istituzione nel suo complesso di “professare una sana ‘umiltà regolamentare’, riconoscendo che il successo di internet dipende da un’evoluzione spontanea e libera da poteri forti”.

Campagne della società civile

Le note di Facebook non sono abbastanza per fare stare tranquilli gli utenti, che si mobilitano organizzando campagne dal diverso impatto ma più o meno sempre con lo stesso obiettivo: sistematizzare la protezione dei dati sul web, cercando – al contempo – di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla mancanza di conoscenza dell’argomento.
Eccone un paio.
La prima, Free Your Data, nasce dall’idea di una startup tedesca – Protonet –  con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’uso che governi e grandi aziende fanno dei dati che ogni giorno creiamo attraverso il nostro uso del web.

Gli attivisti sostengono che l’obbligatoria accettazione dei termini di politiche e privacy sia il meccanismo che da il via al domino che ci rende tracciabili e tracciati attraverso le azioni che compiamo sul web. Free Your Data definisce i dati come il “nuovo petrolio” e suggerisce la necessità di un nuovo approccio riguardo al trattamento di quelli che nascono come nostri dati. Parte della causa è scaturita proprio dall’analisi del progetto PRISM. Obiettivo ultimo è creare una proposta di legge che migliori la possibilità dei singoli cittadini nel poter controllare come, chi, cosa e quando condividere i propri dati. In sintesi, completa trasparenza in tempo reale e pieno accesso ai dati per ogni individuo.

Questa non è l’unica iniziativa nel suo genere. Oltre FYD c’è, ad esempio, The Web We Want.  Dall’approccio più orizzontale e con una importante attenzione al digital divide tra nord e sud del mondo, The Web We Want nasce nel 2014 con l’obiettivo di difendere l’esistenza del web, la libertà e la parità al suo interno, la possibilità di avervi accesso continuo. Pur toccando più marginalmente – rispetto a FYD – la questione della sicurezza dei dati, si esprime a favore della protezione del diritto alla privacy nella comunicazione online. L’iniziativa ha alcuni partner significativi, tra i quali spiccano Mozilla, World Wild Web Fundation e Global Partners Digital.

In che direzione andare?

Ci sono tentativi di regolamentazione, campagne, informazione. Ma allora, perché non si riesce a uscirne? Perché la situazione sembra continuamente sfuggirci di mano? Evgeny Morozov ne ha parlato al recente festival organizzato da Wired.

Numerose sono le forze in gioco, le parti di cui tenere conto, gli interessi da tutelare, tra cui la privacy dell’utente ma anche la sua libertà di muoversi liberamente per il web. Forse, come ha suggerito Snowden, sarà necessario studiare tecnologie ad hoc per difenderci dalla tecnologia stessa.

 

Per saperne di più

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WSIS Forum 2015: ICT e sviluppo sostenibile | Come partecipare dall’Italia

Ha aperto le sue porte lunedì 25 maggio a Ginevra il WSIS Forum 2015, l’appuntamento annuale co-organizzato da diverse agenzie delle Nazioni Unite (ITU, UNESCO, UNCTAD e UNDP) dedicato a fare incontrare chi lavora con le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione per lo sviluppo (ICT4D). L’edizione 2015, in linea con i nuovi Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) attivi dal prossimo settembre,  si focalizza sul ruolo delle ICT nello sviluppo sostenibile. 106 le sessioni in programma, molte delle quali accessibili anche in remoto e in differita collegandosi a questo link. Per chi è interessato, consigliamo in particolare la cerimonia di apertura di martedì 26 maggio dalle 9 alle 10:30 (UTC + 1) in cui viene trasmesso il video messaggio del Segretario generale dell’ONU Ban-Ki moon. Si può inoltre seguire la diretta tramite la pagina Facebook, l’account Twitter e l’hashtag #WSIS e per finire lo stream di foto su Flickr. Se avete poco tempo, un link da non perdere è quello che riporta la lista dei progetti ritenuti più innovativi a livello mondiale: rimarrete impressionati dalla quantità e originalità di idee implementate ai quattro angoli del pianeta!

Un evento da non perdere: perché?

Ai WSIS Forum è riconosciuto il merito di coordinare le attività di scambio di informazioni, creazione di conoscenza e condivisione di buone pratiche tra gli stakeholder profit e non profit, del settore pubblico e di quello privato, singoli o in gruppo, che usano e promuovono le ICT per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo e che, soprattutto, vogliono farlo insieme. L’agenda delle sessioni è frutto di una consultazione pubblica avviata nel 2014 (l’Open consultation process), che rende così il programma condiviso tra tutti i partecipanti. Ai tavoli di discussione e sugli spalti si alternano ministeri e aziende, ong e organizzazioni della società civile, agenzie dell’Onu e università, blogger, attivisti e politici. Ci sono tutti (ma proprio tutti).

Dal 2009 i WSIS Forum sono l’occasione per fare il punto sui principi e le linee d’azione stabilite durante il processo bi-fase rappresentato dal World Summit on the Information Society (WSIS), avviato nel 2003 a Ginevra e nel 2005 a Tunisi con l’obiettivo di stabilire a livello internazionale un’agenda allo sviluppo relativa alla cosiddetta “società dell’informazione”.

photo credits: WSIS Forum 2015 Day 1, Flickr album

Diario dal Senegal, tra ICT e agricoltura. L’arrivo a Saint Louis

“Viaggerete comodi, vai tranquillo”. Già, tempo 10 minuti e la jeep viene caricata con tutto il possibile ed immaginabile.
Diamo anche un passaggio a 3 donne ed una loro figlia, ovviamente cariche di bagagli e con tanto cibo per il lungo viaggio. 4 ore on the road e finalmente si intravede Saint Louis. Appena arrivato mi accoglie Matteo, cooperante CISV in Senegal da 10 mesi e con una grandissima esperienza alle spalle: tempo una birra ed è come ritrovarsi con un vecchio amico dopo anni senza vedersi. Mi introduce il progetto per il quale è coordinatore e mi prepara “psicologicamente” al lunedì, giorno previsto per il mio inizio ufficiale a Ross Bethio, piccolo centro a 40 km da Saint Louis presso il quale ha sede ASESCAW. Questa realtà, per la quale collaborerò nelle prossime settimane e che da anni ha come obiettivo  lo sviluppo delle micro imprese rurali nella regione (al confine con la Mauritania ed attraversata dal fiume Senegal) costituirà il campo base per le attività di lavoro.
Nelle giorni a venire sarò dunque impegnato nel geo localizzare una sessantina di micro imprese rurali e creare delle mappe GIS con tutte le informazioni raccolte nei mesi precedenti dall’ASESCAW circa le microimprese partner… il tutto per facilitare la gestione e la cooperazione tra la sede dove viene gestito il progetto PAMIR (programma di appoggio alle micro imprese rurali) ed i soggetti aderenti.
Le conversazioni procedono ma la cucina nella quale siamo stati invitati a mangiare sta per chiudere,  vediamo probabilmente gli ultimi pescatori dell’isola tornare alle proprie abitazioni e anche noi ci avviamo verso casa. Le case abbandonate dell’isola, le strade deserte e le poche insegne illuminate danno un senso di malinconia, verso un passato forse ricco, colorato e festaiolo. “Turisti, che ci fate a quest’ora? L’isola dorme, sono 15 anni che dorme”.

 

Diario dal Senegal, tra ICT e agricoltura. Dakar, primo giorno.

Atterrato. 20.45 locali. Dov’è Koulibaly? Dopo 12 ore in viaggio la stanchezza si è già fatta sentire e la coda chilometrica per controllo documenti e sicurezza sanitaria non sono d’aiuto. Dopo l’ennesimo controllo passaporto durato 20 minuti (ho un passaporto sfigato, o sono io che ho una brutta faccia) e con tre zaini in spalla eccomi fuori dall’aeroporto. Una distesa di centinaia di persone sorreggono un cartello con nomi in tutte le lingue. Dov’è Giorgio?
Toubab, taxi? Phone? Hotel? Ma ecco che nella folla, avanzando diversi metri trovo lo sguardo di Koulibaly, ed una stretta di mano mi dà presto la forza di caricare gli zaini in macchina e partire verso un letto, una doccia e un caffè lungo, arabo, aromatizzato al cardamomo (portato da casa).
Tempo delle presentazioni, due battute sull’Italia, sul calcio e sulla politica del Paese e son già “sotto” la zanzariera a dormire. O si dice “dentro”?
Il risveglio è alle 5, dato dal muazzin e dai minareti a fianco. Un paio d’ore e mi ritrovo con Koulibaly, non più vestito con abiti locali ma in giacca e cravatta. Vuoi la stanchezza ed il fuso orario (di due ore, ma è sempre una buona scusa) non l’avevo subito riconosciuto. Mi faccio raccontare il suo lavoro ed il suo ruolo all’interno della rete di micro imprese rurali e mi introduce il progetto al quale lavorerò nei prossimi 3 mesi. “Come primo giorno può andare, vai e goditi Dakar”. A piedi fino all’oceano, abbellito da decine di piroghe, a piedi anche il ritorno, tra viette colorate e merci d’ogni tipo provenienti da ogni dove.
L’indomani sarà la volta di Saint Louis, dove incontrerò Matteo, cooperante CISV e coordinatore del progetto al quale collaborerò. Bon, Dakar ci si rivede tra una quarantina di giorni 😉

Burundi2015: una mappa per monitorare le proteste

Il 26 aprile, all’indomani della candidatura di Pierre Nkurunziza al suo terzo mandato da Presidente del Burundi, sono scoppiati disordini nella capitale Bujumbura, con scontri, morti e arresti. In quelle stesse ore è stata pubblicata online una mappa che raccoglie e cataloga i focolai della protesta nei diversi quartieri della capitale.

A tre settimane dalla pubblicazione vi presentiamo una breve storia di com’è nata la mappa “Burundi2015” e di come sta evolvendo nel tempo.

di Viviana Brun

Sono stata in Burundi esattamente un mese prima dello scoppio dei disordini. Per conto di Ong 2.0, ho lavorato con CCM – Comitato Collaborazione Medica in appoggio al Centre Seruka, per realizzare un progetto pilota di segnalazione e mappatura delle violenze sulle donne attraverso l’uso delle ICT. La piattaforma utilizzata per creare la mappa è Ushaihidi-Crowdmap, la stessa scelta da “Burundi2015“, uno strumento adottato per monitorare lo stato dei disordini in Burundi e che ho trovato online seguendo l’evoluzione della situazione nel paese.

Interessata a saperne di più e persuasa che una mappa possa rappresentare uno strumento efficace per visualizzare gli avvenimenti, aggregare e presentare in un unico luogo le informazioni disponibili, mi sono subito messa in contatto con i gestori di “Burundi2015“.

A creare la cartografia è stata una giovane donna straniera che si trova a Bujumbura per lavoro e che, per ragioni di sicurezza, preferisce mantenere l’anonimato.

Ciò che l’ha spinta a intraprendere questa iniziativa è stata soprattutto la crescente difficoltà delle persone ad accedere alle informazioni. Gli uomini al servizio del Presidente, infatti, fin dai primi giorni di protesta hanno fortemente ostacolato la libertà di stampa e si sono adoperati per impedire le trasmissioni di alcune radio indipendenti. Anche l’accesso ai social media è stato reso più difficoltoso, ma questo problema è stato facilmente risolto grazie all’utilizzo delle VPN (Virtual Private Network).

La mappa nasce quindi con l’intento di informare la popolazione della capitale, ma anche come risposta all’iniziale disinteresse della stampa internazionale. “Non capisco perché nessuno abbia pensato di mappare la situazione, forse è dovuto alla concomitanza con il terremoto in Nepal. Qui sta accadendo qualcosa di importante che merita molta più attenzione” ha dichiarato la responsabile della mappa, durante una conversazione su Skype.

La creazione di questa mappa non era prevista, si tratta di un’iniziativa dal basso, realizzata su base volontaria per colmare un vuoto informativo, raccogliere dati e monitorare una situazione in rapida evoluzione.

Collaborare a distanza: prima fase

Con la responsabile della mappa abbiamo avviato una collaborazione a distanza Burundi – Italia. Nella prima fase sono stati decisi i passi da seguire.

Due i problemi principali da affrontare: come fare per coinvolgere la popolazione e come fare per verificare le fonti.

Inizialmente, si è deciso di dare la priorità alle informazioni pubblicate da fonti ufficiali, soprattutto giornali e organi di stampa locali e internazionali come Iwacu, RPA, Radio Bonesha, Radio Isanganiro, BBC, VOA e RFI. Abbiamo utilizzato anche i social media, facendo riferimento soprattutto ad account verificati, e a tweet e post largamente condivisi. In questo modo, le informazioni sono già state vagliate dalla comunità degli utenti online e si riduce il rischio di incorrere in errori e informazioni false.

In questa fase la popolazione è stata coinvolta solo in minima parte e la mappa è decisamente poco “crowdsourced“.

Seconda fase

Il passo successivo è stato quello di cercare dei collaboratori in loco. L’approccio scelto è quello che Patrick Meier definisce “Bounded Crowdsourcing” o “Crowdsourcing limitato. Si tratta di non puntare da subito sul coinvolgimento di tutta la popolazione, ma di individuare un piccolo gruppo di persone fidate da inserire nel proprio progetto, chiedere a queste persone di scegliere a loro volta 3 persone di fiducia, per cui si sentirebbero di poter garantire, e continuare così, creando un effetto a valanga. Secondo quanto riferisce Meier, questo tipo di approccio (che spesso in situazioni di conflitto è l’unico possibile) garantisce buone probabilità di arrivare a produrre informazioni attendibili.

La responsabile della mappa, si è occupata di selezionare alcuni collaboratori burundesi, tra i suoi contatti di fiducia e le persone interessate a partecipare. Si è pensato di rivolgersi soprattutto ai giornalisti impegnati sul campo. La redazione di Iwacu, il giornale indipendente più letto in Burundi, si è resa disponibile a collaborare.

Inoltre, sono stati individuati alcuni volontari nei quartieri di Bujumbura maggiormente interessati dalle proteste, come Musaga, Kibenga, Kinindo. Per ora si tratta di un piccolo team in crescita. I volontari si occupano di raccogliere le informazioni sul campo e di verificare le segnalazioni inviate liberamente dalla popolazione.

Per segnalare un avvenimento è possibile utilizzare l’hashtag #cartebuja2015 su Twitter o completare questo formulario anonimo direttamente sul sito della mappa.

La situazione attuale

Purtroppo con l’acuirsi degli scontri tra golpisti e lealisti (in seguito al colpo di stato non riuscito del 13 maggio) l’accesso e la verifica delle informazioni oggi sono ancora più complicati.

Attualmente, infatti, molti stranieri stanno uscendo provvisoriamente dal Paese, le sedi delle principali radio indipendenti sono state date alle fiamme, il giornale Iwacu è stato costretto a sospendere l’attività e a molti giornalisti non è permesso compiere il proprio lavoro.

Per facilitare l’invio delle informazioni da parte della popolazione e per permettere a un numero maggiore di persone di partecipare, presto sarà attivato un servizio di segnalazione via SMS.

Si tratta di un sistema “work in progress“. Al momento non siamo in grado di verificare immediatamente tutte le informazioni ricevute e alcune non possono quindi essere pubblicate.

La questione dell’attendibilità delle informazioni resta una priorità assoluta, così come quella di garantire al maggior numero di persone la possibilità di contribuire, segnalando ciò che avviene nel proprio quartiere.

Per questo motivo stiamo cercando partenariati con organizzazioni presenti in loco in grado di supportarci nel processo di raccolta e verifica delle informazioni.

Per partecipare e seguire gli sviluppi del progetto, oltre al sito 2015burundi.crowdmap.com è possibile seguire la pagina Facebook e l’account Twitter di Burundi2015.

In che mondo voglio vivere nel 2030?

L’associazione giovanile internazionale Young Ambassadors Society (YAS) ha invitato Ong 2.0 a incontrare gli studenti dell’Università Bocconi durante una conferenza sul tema della Responsabilità Sociale d’Impresa e le sue possibili declinazioni nel campo dell’alimentazione, della tecnologia e dell’educazione. Appuntamento lunedì 18 maggio dalle 16 alle 20 presso il campus universitario a Milano o via Google Hangout.


Nel corso di tre sessioni, verrà data voce ad esponenti di successo provenienti da settori diversi del mondo del business e delle organizzazioni, imprenditori sociali, innovatori ed accademici. Per YAS, il denominatore comune del dibattito sarà “la convinzione che impresa, business e sociale si possano coniugare in maniera vincente, e che proprio da questa coniugazione emergano le risposte necessarie per affrontare le crescenti sfide del millennio”.

Pubblico e relatori saranno invitati a riflettere su tre argomenti di discussione.  Il primo panel “Social Good ed istruzione: è possibile insegnare il senso civico?” metterà a fuoco il ruolo fondamentale svolto degli educatori nel formare generazioni di cittadini attenti, consapevoli e sensibili alle tematiche sociali ed ambientali. Seguirà la sessione “Social Good e tecnologia: le tecnologie ed i nuovi media possono rendere il mondo un posto migliore?”, che punterà l’attenzione sul significato dell’accesso ad internet come diritto umano correlato a diritti più ampi quali i diritti all’espressione, all’istruzione, alla libertà di pensiero. Verrà poi discusso il ruolo di internet come elemento chiave dell’imprenditoria sociale. “Social Good ed Expo: troppo o troppo poco cibo nel mondo di oggi?” trarrà infine spunto dall’attualità delle questioni sollevate dal tema di Expo “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”: partendo dal paradosso di una realtà di enormi sprechi alimentari da un lato e di popolazione in estrema crescita dall’altro, si discuterà di buone pratiche e soluzioni sostenibili.

Parteciperanno: l’assessore del comune di Milano Cristina Tajani; il Professore Giorgio Invernizzi, docente presso l’università Bocconi; Giacomo Biraghi, Digital e media PR di Expo; Bianca Isaiscu, consulente di Child and Youth Finance International; Susanna Ferro, addetta stampa per Transparency International Italia; Martina Rogato, attivista CSR per Amnesty International Italia; Domenico De Martinis, ricercatore presso l’Ufficio Internazionale ENEA; Rebecca Ndombi, consulente presso la FAO; Serena Carta, Giornalista e Training Manager per ONG 2.0; Alfredo de Joannon, responsabile CSR per My7Lives.


L’evento What type of world do I want to live in by 2030? è promosso dalla Young Ambassadors Society e realizzato in collaborazione con la Social Good Community, un progetto sostenuto dalla Fondazione delle Nazioni Unite.

Info

Registrazioni all’evento su Eventbrite
Twitter: @YAS_Society / hashtag dell’evento #SGMilan
Link alla pagina Facebook di YAS

Comunicare la cooperazione e la solidarietà internazionale: social media e campaigning alla Scuola Sant’Anna di Pisa

Dal 4 al 10 luglio a Pisa si terrà la Summer School: “Comunicare la cooperazione e la solidarietà internazionale: social media e campaigning” organizzata dalla Scuola Superiore Sant’Anna in collaborazione con Volontari per lo Sviluppo-ONG2.0, Oxfam Italia, Medici Senza Frontiere Italia, Change.org Italia e Amref Health Africa.

Obiettivo della Summer School è trasmettere ai partecipanti conoscenze e strumenti utili a definire una social media strategy ed attivare efficaci azioni di campaigning e mobilitazione sociale.

Il Corso si focalizzerà sulle seguenti tematiche: utilizzo mirato dei nuovi mezzi della comunicazione social, realizzazione di campagne di sensibilizzazione, promozione di azioni di advocacy e lobby politica, tecniche base di fundraising, mobilitazione online.

La Summer School si rivolge a operatori e volontari della cooperazione allo sviluppo e del mondo non profit impegnati sui temi della comunicazione e a cultori e professionisti della comunicazione interessati alle tematiche della solidarietà internazionale e del non profit in generale.

Possono presentare domanda di ammissione al Corso coloro i quali siano in possesso di diploma di laurea almeno triennale, o titolo equipollente, in qualsiasi disciplina conseguito in una Università o Istituto Universitario Italiano o straniero di pari grado, o, in alternativa, l’equivalente di due anni di esperienza lavorativa e/o di volontariato in un settore afferente alle tematiche trattate nel Corso (cooperazione allo sviluppo, non profit, comunicazione).

Il Corso è aperto ad un massimo di 25 partecipanti. Il termine per l’invio delle candidature è il 29 maggio 2015.

Informazioni dettagliate relative a offerta formativa, modalità di iscrizione, posti disponibili, rilascio di crediti formativi universitari e costi sono disponibili sul sito web della Scuola Superiore Sant’Anna.

Scarica la brochure del corso.