L’Italia è seconda al mondo per numero di fablab, ma il mercato per i maker è molto limitato. Alla Maker faire di Roma è stata presentata una piattaforma web che apre l’ingresso nella “Silicon valley cinese”: si chiama Ingdan e conta più di 2 milioni di iscritti.
Per i maker italiani che vogliono entrare nel mercato globale non serve passare per la Silicon Valley: basta entrare su Indgan.
Di Donata Columbro
Simone ha 20 anni, viene da Torino e gli tremano le mani mentre è in fila per parlare con Jeffrey Kang. Vuole mostrargli la sua creazione: un controller e lettore musicale realizzato con Arduino, scheda elettronica e microcontrollore open source. Siamo alla Maker Faire di Roma, evento dedicato all’innovazione e alla creatività giunto ormai alla terza edizione.
Kang è il fondatore e amministratore delegato di Indgan, una piattaforma cinese per l’Internet of Things (IoT), che ha scelto l’Italia l’occasione della maker faire per aprire la sua prima sede estera: Simone vorrebbe essere tra i 40 maker prescelti per esporre alla Maker Faire di Shenzhen, in Cina, nel 2016, o forse tra i migliori quattro, che saranno invitati ad un tour nella “Shenzhen Valley”, un’area due volte più grande della Silicon Valley americana, che ospita la più grande produzione dell’elettronica a livello mondiale.
Ingdan ha già più di 2 milioni di utenti, con registrati 2mila progetti. In una frase detta durante la conferenza stampa, Kang sintetizza i motivi che lo hanno portato a concepire la piattaforma: “in Cina abbiamo i soldi, ci mancano i progetti”.
Il sito funziona come una sorta di vetrina per maker, con gli investitori che sfogliano un catalogo e scelgono quale progetto finanziare. Ma non in base al gusto personale: saranno i dati raccolti su ogni progetto a indicare quale può funzionare meglio. “I dati sono più intelligenti di noi”, afferma Kang.
Su IngDan ci sono oltre 2000 progetti IoT, più di 2000 fornitori e prevede un ecosistema aperto basato su una catena di distribuzione in collaborazione con servizi come Baidu, JD, wechat, 360, Intel, Broadcom e Freescale.
E se Simone può presentare il suo kit, così possono farlo altri migliaia di maker che ogni giorno creano prodotti innovativi grazie all’internet delle cose, anche con un impatto nei paesi in via di sviluppo: pensiamo al progetto NFC chip, per registrare informazioni sanitarie dei bambini nati in India senza bisogno di corrente elettrica o connessione a internet, o Khushi, progetto lanciato su Kickstarter una collana per i neonati, con una targhetta che contiene i dati digitali sulle vaccinazioni effettuate e quelle mancanti.
Quindi c’è spazio anche per l’Africa nella Shenzhen valley? Sì secondo Kang. La Silicon Savannah ha solo bisogno di investitori.
“Vengo da una famiglia di operai”, racconta Kang”, e 25 anni fa la Cina era povera come lo sono oggi i paesi in via di sviluppo: ecco perché ho creato Indgan, per aprire il mercato anche a chi non può accedervi. L’innovazione è ovunque, il mercato – non ancora – no”, spiega. E insiste sul concetto di “new economy”, contrapposta alla vecchia: ella old economy “il pesce grande è il più potente, nella new economy il pesce piccolo è il più veloce”, spiega.
I pesci piccoli in questo caso sono i maker e le startup che con Ingdan avranno una chance di essere “disruptive”, per usare le stesse parole del suo ceo cinese: l’innovazione non è solo negli Stati Uniti, noi vogliamo dare accesso a risorse globali e democratizzare il mercato”.
A partire dall’Italia però, dove il mercato dell’internet delle cose ha raggiunto gli 1,55 miliardi di euro secondo gli studi di Osservatori.net, il sito di riferimento sull’Innovazione Digitale in Italia. E c’è un altro dato – appunto – che ha convinto Kang: l’Italia è seconda al mondo per numero di fablab e prima per concentrazione.
Siamo un popolo di santi, navigatori e maker. La Cina ci aspetta.
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