Cinque modi in cui il crowdsourcing favorisce l’emancipazione femminile

Dalle raccolte dati sulle molestie nei luoghi pubblici in Egitto alle ricerche per trovare ginecologi rispettosi in India, ecco come la tecnologia aiuta le donne a combattere le discriminazioni.

In giro per il mondo, i sostenitori dei diritti delle donne basano le proprie iniziative su dati propri (generalmente raccolti ad hoc), anziché prendere in considerazione quelli istituzionali.
I dati utilizzati sono generati dalla cittadinanza (attiva) e sono particolarmente importanti nell’ambito del sostegno dei diritti delle donne. In molti paesi la mancanza di donne nei luoghi di potere, la burocrazia combinata alla sua lentezza sommati alla mancanza di priorità nelle questioni relative ai diritti delle donne si traduce in raccolte di dati riguardanti temi non rilevanti, e conseguentemente in un’inappropriata risposta degli stati ai problemi.

Anche quando i dati vengono raccolti dalle istituzioni, le pressioni locali fanno sì che essi risultino inadeguati. Per esempio, nei casi di violenza di genere le donne soffrono in silenzio, preoccupandosi del fatto che nessuno creda loro o che qualcuno le possa incolpare. Dare alle donne un modo per fornire dati anonimamente oppure, se lo desiderano, lasciando solo alcuni dati può essere la chiave per documentare la violenza e capire la dimensione del problema, al fine dare risposte appropriate.

take back the techEgitto. Crowdsourcing dei dati sulle molestie in strada.

Utilizzando la piattaforma Ushahidi, HarrasMap fornisce alle donne la possibilità di documentare le molestie in strada. Il progetto, iniziato nel 2010, sta dando alle donne la consapevolezza di quanto sia comune questo tipo di problematica, dando a coloro che ne sostengono i diritti un dato concreto per evidenziare l’entità del problema.
Come ogni insieme di dati, anche questo ha dei limiti. Ovviamente, i report non possono essere verificati e considerando che i dati sono forniti in maniera volontaria e non sistematica, spesso risultano geograficamente incompleti.

C’è una selezione naturale tra le donne partecipanti, infatti esse fanno parte della popolazione con accesso alle tecnologie e che possiede le conoscenze necessarie per poter contribuire. Nonostante questo, l’iniziativa ha provocato discussioni intorno al trattamento delle donne nelle strade del Cairo, e continua a essere una delle più discusse.

India. Documentare le esperienze di segnalazione di molestie sessuali alla polizia.

Lo scorso anno, The Ladies Finger, una webzine indiana, supportata da Amnesty International nella sua campagna Ready to report, mirava a rendere più facile (e dignitoso) presentare una denuncia alla polizia per le vittime di molestia sessuale.
Usando i social network e il passaparola, la redazione ha chiesto alla propria community se avesse esperienze da condividere riguardo a segnalazioni di molestie sessuali effettuate alla polizia.
Attraverso lo sfruttamento di questo tipo di crowdsourcing, la redazione ha parlato con numerose persone volenterose di condividere la propria esperienza, inserendo la serie di storie dettagliate in un contesto preciso quale quello di Are You ready for the Cops? Are Cops ready for you?.

Nisha Susan, redattore di The Ladies Finger, ha dichiarato come la vittima si vergogni di questi rapporti di oltraggio quando essi diventano noti, e questo va documentato. Attraverso la richiesta di condividere le proprie storie, è possibile gettare luce sul territorio comune, ma spesso ignorato, del trattamento irrispettoso destinato alle donne quando esse riportano le violenze della polizia.

Siria. Segnalazione di violenze sessuali.

Women Under Siege è un progetto globale del Women’s Media Center che mira a documentare stupri e violenze sessuali che avvengono durante in conflitti, realizzato in Siria. Il progetto siriano raccoglie dati sulle violenze sessuali nei paesi devastati dalla guerra.
Come Harrasmap, anche questo progetto usa la piattaforma Ushaidi per geolocalizzare le violenze sessuali. Dove possibile, i report sono contestualizzati con approfonditi reportage dei media sull’intero caso.
La criticità del progetto ruota intorno alla validità dei dati, perché dato il contesto la verifica dei casi è difficile. Ma la raccolta dei dati è un modo per fare in modo che le violenze non vengano ignorate o dimenticate e possano eventualmente essere utilizzate per portare i criminali davanti alla giustizia.

India. Alla ricerca di ginecologi rispettosi.

Dopo aver riconosciuto come in India molte donne avessero esperienze negative con i ginecologi all’interno delle loro reti, Amba Azaad e i suoi amici hanno iniziato a mettere insieme una lista di ginecologiche hanno trattato le proprie pazienti con rispetto, il nome di questa lista è Gynaecologist We Trust.
Riportando le parole del sito, questo progetto è “alla ricerca di medici che stiano con noi perché stare dalla nostra parte che è già abbastanza difficile. E quando si parla di qualcosa di così intimo, è ancora più difficile”.

Per ora, l’iniziativa usa un semplice foglio di Google, concentrandosi sulle segnalazioni positive invece che su quelle negative: i pazienti sono incoraggiati a scrivere dei medici con cui hanno avuto buon esperienze, sorvolando su quelli da evitare. Come molte altre iniziative, anche questa si basa su contributi che si suppone essere affidabili e che presentano dati precisi. E ovviamente tutti possono contribuire.

Mondo. Porre fine alle violenze contro le donne perpetuate attraverso le tecnologie.

16Dias-02 Nel 2011, Take Back the Tech, un’iniziativa promossa dall’Association for Progressive Communication ha iniziato a mappare gli episodi di violenza contro le donne correlati alla tecnologia. La coordinatrice della campagna Sara Baker ha dichiarato come il crowdsourcing di dati su questo argomento sia particolarmente utile in quanto “le vittime/sopravvissuti sono spesso costretti a raccontare le loro esperienze ripetutamente nel tentativo di farsi giustizia con poche/nessuna azioni/e intraprese da parte delle autorità”.

Fondamentalmente i dati raccolti attraverso gli sforzi di Take Back the Tech vengono usati attivamente in azioni di advocacy contro la violenza online sulle donne e funziona anche con i partner locali che si accertano così di inserire politiche basilari di intervento nei singoli paesi. L’anno scorso ha commissionato un’analisi dei dati raccolti tra il 2012 e il 2014 in inglese, francese, spagnolo e portoghese, essa ha fornito indicazioni utili su chi fronteggia questo tipo di violenza con le loro esperienze e le risposte tipiche, permettendo così di modellare appropriatamente strategie di difesa. Per le organizzazioni che si occupano di diritti delle donne, questo tipo di dati può essere prezioso, aiutando le persone a unirsi contro le molestie online.


Fonte: The Guardian.

Photocredits: Take Back the Tech, The Ladies Finger, We All Can Do It.

 

L’economia circolare e l’Internet delle cose: nuove prospettive di sviluppo sostenibile

“Digital technologies are driving a profound transformation of our economy. Guiding this wave of change by applying circular economy principles could create value, and generate wider benefits for society. Intelligent assets are a key building block of a system capable of ushering in a new era of growth and development, increasingly decoupled from resource constraints”.

– Dame Ellen MacArthur, Founder, Ellen MacArthur Foundation

 

L'”Internet delle cose” sta diventando sempre più un elemento dirompente nella trasformazione dell’economia mondiale. Con fino a 50 miliardi di dispositivi collegati via Internet entro il 2020 si prospetta una ‘quarta rivoluzione industriale’, ma questa porterà ad un’ulteriore accelerazione dell’economia estrattiva, ‘lineare’ di oggi, o consentirà la transizione verso una società in cui la creazione di valore è sempre più disaccoppiata dal consumo di risorse?

E’ questa la domanda di fondo che si pone il  nuovo rapporto, Intelligent Assets: Unlocking the circular economy potential pubblicato l’8 febbraio dal World Economic Forum e la MacArthur Ellen Foundation, e che concentra l’attenzione sull’abbinamento dei principi dell’economia circolare con le informazioni generate dai dispositivi intelligenti.

L’economia circolare al centro delle politiche europee già da qualche anno è quella forma di produzione che implica un utilizzo ridotto e più efficiente delle risorse nei processi produttivi, aumentando in modo esponenziale i tassi di riciclo in modo da gravare sempre meno sul capitale naturale. E’ sostanzialmente un’economia “che si rigenera da sola”, un sistema in cui tutte le attività, a partire dall’estrazione e dalla produzione, sono organizzate in modo che i rifiuti di qualcuno diventino risorse per qualcun altro.
La seconda tendenza riguarda invece la digitalizzazione dell’industria e, a cascata, quella degli oggetti di uso quotidiano interconnessi tra loro in quella che è già stata ribattezzata “l’Internet delle cose”. Entrambe le tendenze promettono di rivoluzionare la nostra vita nell’arco di pochi anni, ma sono finora sempre state analizzate separatamente. Che cosa accadrebbe combinandone insieme gli sviluppi?

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Questo abbinamento, secondo gli autori del rapporto, è la chiave per un’innovazione che sganci la produzione dall’economia estrattiva e possa portare a vasti benefici sociali.

Completato da punti di vista indipendenti di pensatori leader nel settore, come Kenneth Cukier (The Economist), Bernard Meyerson (IBM) e Nicolas Cary (Blockchain), il rapporto presenta 20 applicazioni early-stage nel settore manifatturiero, dell’energia dell’ambiente, delle infrastrutture, della gestione dei rifiuti, dell’agricoltura e della pesca.

Di cui diverse specifiche anche per i paesi in via di sviluppo, come la possibilità di accesso all’energia prodotta e distribuita in modo reticolare bypassando i grandi investimenti infrastrutturali.

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Tuttavia usare il pieno potenziale di queste trasformazioni sistemiche richiede nuovi meccanismi di collaborazione che colleghino l’innovazione e la regolamentazione per gestire questioni complesse, come la sicurezza e la privacy, la compatibilità dei sistemi, e la proprietà intellettuale. E per questo è assolutamente necessario il lavoro congiunto tra imprese ed enti pubblici.

Ma gli autori del rapporto sono ottimisti, ci sono prospettive concrete per lo sviluppo rapido di queste direzioni: la conoscenza e la comprensione dell’economia circolare tra imprenditori e politici è in crescita, come dimostrato dal recente pacchetto di economia circolare della Commissione europea e gli associati annunci di finanziamento; le aziende sempre più chiedono quale ruolo dovrebbero svolgere nella trasformazione digitale emergente, e i governi sono alla ricerca disperata di nuove ambiti di sviluppo economico che non depauperino le già scarse risorse nazionali.

Leggi il rapporto completo

 

“Adotta un Danese” è l’ironia la chiave della comunicazione virale

Molti danesi si lamentano su Facebook di come molto denaro venga inviato in Africa invece di essere utilizzato per accudire gli anziani in Danimarca“. Questa provocazione apre il video della fantomatica “Adopt-a-Dane-Foundation” che in pochi giorni è già diventata un fenomeno virale. Co-prodotto dalla radio danese DR-P3 e dall’organizzazione umanitaria Danmarks Indsamling (DKI) il video è stato realizzato per sensibilizzare su cliché e stereotipi e rispondere con ironia alle politiche sempre più severe di molti Paesi europei in materia di migranti.

di Viviana Brun

 


 
Il 26 gennaio il Parlamento della Danimarca ha approvato una controversa riforma del diritto di asilo mirata a scoraggiare gli arrivi di profughi e richiedenti asilo nel Paese. Tra le varie misure previste, la nuova legge dell’accoglienza prevede la confisca dei beni di valore superiore alle 10 mila corone (1350 euro) ai rifugiati in ingresso in Danimarca per rifarsi dei costi dell’accoglienza e un allungamento dei tempi previsti per i ricongiungimenti. Le migrazioni sono un tema chiave nella politica del Paese. Secondo quando riportato in questo articolo da Il Sole 24 ore, un recente sondaggio rivela che la questione dei rifugiati è il tema più importante per il 70% degli elettori danesi.

Nonostante il consenso di gran parte dell’elettorato, le misure adottate dalla Danimarca hanno suscitato non poche polemiche, soprattutto sul piano internazionale. Una delle iniziative che ha richiamato maggiormente l’attenzione è stata la decisione da parte dell’artista cinese Ai Weiwei di chiudere per protesta le due esposizioni artistiche in corso a Copenhagen. In un tweet, Ai Weiwei ha definito “senza vergogna” la decisione presa dal Parlamento danese.

 

 

Quella di Ai Weiwei non è stata l’unica reazione di fronte all’avanzare delle “politiche del rifiuto”. Domenica 31 gennaio su YouTube è comparso il video “Fondazione Adotta un Danese. L’Africa sta salvando molti anziani della Danimarca” che in un paio di giorni è già diventato un fenomeno virale. Dietro al nome inventato della “Adopt a Dane Foundation” si nasconde la P3 Dr, una delle stazioni radio nazionali danesi. L’ideatore del progetto, Jackson Nouwah, ha deciso di usare la satira e di giocare con gli stereotipi per rispondere con ironia alle politiche sempre più severe di molti Paesi europei in materia di migranti e ironizzare sui danesi che si lamentano sui social network per i soldi spesi per i progetti di cooperazione internazionale invece che investiti per i bisogni dei cittadini in Danimarca. “Certo – dice Nouwah – noi abbiamo acque inquinate, epidemie e poca elettricità, ma dai commenti di Facebook sembra che gli anziani danesi stiano peggio di noi. Per favore, prendiamoci cura di loro”.

Il video riporta subito alla mente la satira utilizzata nella campagna “Africa For Norway” realizzata dalla SAIH, organizzazione che riunisce gli studenti di sviluppo e cooperazione in Norvegia per ironizzare sull’immagine pietistica dell’Africa dipinta da molte campagne di raccolta fondi.
 

La comunicazione organizzativa, oltre la buona causa

Assicurare la circolazione dei flussi di informazione all’interno di una organizzazione, anche piccola, è un elemento imprescindibile per il funzionamento dell’organizzazione stessa e per il raggiungimento di qualunque obiettivo. Non basta che la causa sia buona, bisogna anche saper far funzionare l’organizzazione.

di Silvia Pochettino

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