Competenze digitali a scuola: la tecnologia da sola non basta

Domani, 23 giugno, si terrà a Roma il seminario nazionale del progetto “Un solo mondo un solo futuro” dal titolo “Educare alla cittadinanza mondiale e alla cooperazione internazionale: il miglior investimento per il futuro”. ONG2.0 sarà presente per parlare di scuola e competenze digitali, condividendo l’esperienza maturata in questi mesi.

 

di Viviana Brun

 

Educare alla Cittadinanza Globale nella scuola in tutto il mondo è l’obiettivo per i prossimi 15 anni indicato dall’Agenda Globale per lo Sviluppo Sostenibile 2030, che sottolinea l’obbligo di “fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti“. Anche la scuola e la società italiana sono chiamate ad impegnarsi entro il 2030 ad “assicurarsi che tutti gli studenti acquisiscano le conoscenze e le competenze necessarie per promuovere lo sviluppo sostenibile attraverso, tra l’altro, l’educazione per lo sviluppo sostenibile e stili di vita sostenibili, i diritti umani, l’uguaglianza di genere, la promozione di una cultura di pace e di non violenza, la cittadinanza globale e la valorizzazione della diversità culturale e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile” (Obiettivo 4.7.).

È sempre più chiaro che la dimensione online non possa restare esclusa da questo processo e che sia necessario estendere il concetto di cittadinanza includendo il web tra i “luoghi antropologici” che abitiamo ogni giorno. Essere cittadini oggi significa anche essere cittadini digitali.

L’Agenda Digitale è una delle sette iniziative principali individuate nella più ampia Strategia EU2020, che punta alla crescita inclusiva, intelligente e sostenibile dell’Unione. Nell’Agenda Digitale Europea, che a sua volta ha ispirato l’Agenda Digitale Italiana, si parla di “alfabetizzazione digitale” ovvero dell’uso delle nuove tecnologie non come un elemento esterno ai percorsi formativi, ma come alfabeto trasfersale alle varie discipline scolastiche.

Come sottolinea Marco Gui dell’università di Milano Bicocca, in un articolo apparso su Agenda Digitale, “la mera distribuzione delle tecnologie nelle scuole non sembra esercitare per ora effetti significativi“. Questo è un aspetto che abbiamo verificato anche noi entrando nelle classi. L’uso della LIM lavagna interattiva multimediale , ad esempio, spesso è delegato all’iniziativa e all’estro di ciascun insegnante, con conseguenti risultati molto disomogenei tra una realtà e l’altra. Questo è un sintomo del fatto che la tecnologia da sola non aiuta. È necessario educare alla cittadinanza digitale, utilizzando la rete e le nuove tecnologie a supporto di approcci metodologici e di obiettivi di apprendimento.

Il progetto Un solo mondo un solo futuro ha iniziato il suo lavoro sulle competenze digitali partendo dalle insegnanti, per formare:

  • alla fruizione corretta degli strumenti, come ad esempio l’uso consapevole delle immagini
  • alla produzione e diffusione di messaggi originali nei formati multimediali, suggerendo modalità per raccontare la realtà, i problemi e le sfide sociali attraverso lo storytelling, i video, le gallerie di immagini…
  • all’uso dei media come strumenti per la partecipazione e la sensibilizzazione su temi sociali
  • all’uso delle ICT per creare ponti e nuove occasioni di partenariato e incontro.

Oltre 550 scuole si sono raccontate sul blog del progetto, portando online le attività realizzate in classe sui temi delle migrazioni, della sovranità alimentare e dell’economia globale. Come realizzato ad esempio dalle scuole superiori (Bodoni, Marconi, Romagnosi, Sanvitale, Toschi) di Parma, durante la settimana della Cooperazione Internazionale. I ragazzi hanno sperimentato otto linguaggi diversi con cui rielaborare i temi dei diritti umani, delle migrazioni, della sovranità alimentare e delle ingiustizie sociali, come raccontano in questo bel video.
 

 
Il web è stato il protagonista anche nello scambio virtuale tra la scuola l’Istituto Comprensivo Radice Pappalardo di Castelvetrano e la Scuola Italiana di Tunisi, che ha rappresentato per i ragazzi un’occasione per incontrarsi, presentare le attività realizzate nell’ambito del progetto e dialogare sul tema delle migrazioni, da una sponda all’altra del Mediterraneo.

 

 
Photocredits: Scuola Primaria Baracca di Como
 

#BoatCamp2016: il “quarto settore” nasce in nave

Mentre in Italia va in porto, finalmente e faticosamente, la riforma del terzo settore c’è chi sostiene da tempo che le divisioni tradizionali siano superate e si debba parlare – e vivere – di quarto settore.  Questo è quello che si è sperimentato concretamente al Social Entreprise Boat Camp 2016, il primo boot camp itinerante sull’impresa sociale in cui oltre 380 tra rappresentanti di cooperative, aziende, ong, associazioni e fondazioni, insieme per tre giorni di navigazione, hanno lavorato a formule nuove di lavoro congiunto.

di Silvia Pochettino

Che la divisione tra primo, secondo e terzo settore (Stato, mercato e non profit) sia superata, è diventato chiaro a molti. Il confine tra profit e non profit  ha perso smalto da tempo; i limiti evidenti di un approccio assistenzialistico che si autoalimenta, l’evoluzione della tecnologia, l’esplosione del fenomeno start up, la carenza di fondi pubblici, l’urgenza di una nuova sostenibilità economica, sociale e ambientale, sono tutti elementi di un cocktail esplosivo che ha messo in luce come per affrontare i problemi sociali contemporanei sia necessaria una formula totalmente nuova.

E questo è stato proprio il tema e la pratica concreta del Social Entreprise Boat Camp 2016, ideato da Fondazione Acra e CGM e copromosso da Ong 2.0 nel mondo della cooperazione internazionale italiana, grazie alle borse di studio offerte da Fondazione Cariplo e Compagnia di San Paolo.

380 persone rappresentanti di cooperative, aziende, ong, fondazioni hanno vissuto tre giorni insieme in nave, sperimentando lo scambio concreto e paritario tra realtà molto differenti.

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Con esempi e casi studio di grande interesse da tutte le parti del mondo, come Lorna Rutto di Ecopost che, per limitare i processi di deforestazione e l’inquinamento ambientale del Kenya, si è inventata un nuovo prodotto edile da costruzione grazie al riciclo della plastica, o Illac Diaz, imprenditore filippino che con “A liter of light” ha portato la luce nelle baraccopoli e e nei campi profughi del suo paese grazie alla produzione di lampade in bottiglie di plastica, alimentate da micro pannelli solari prodotti in loco da donne e bambini o Martin Burt, di Fundacione Paraguaya, che ha ideato l’app “poverty stop light methodology” un metodo visivo perché siano le popolazioni stesse a definire cosa significa povertà per loro e quali siano le priorità su cui intervenire, o ancora Fabio De Pascale, fondatore di Davergy, giovane impresa sociale che porta elettricità nei villaggi della Tanzania sviluppando micro reti elettriche locali a energia solare.

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Illac Diaz e Martin Burt in nave

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Harish Hande durante lo speech a Barcellona

 

Non sono mancati i casi italiani, dal caffé biologico, equo e solidale e dalla filiera totalmente trasparente del Laboratorio del caffé a Maramao impresa agricola piemontese che lavora con i migranti fino a Familyidea, piattaforma web di servizi alla famiglia che mette in rete i consorzi di cooperative sociali in tutta Italia.

Elementi comuni: essere imprenditori, stare sul mercato, occupandosi di problemi sociali in modo etico e sostenibile. Perché profit e sociale, nel quarto settore appunto, non sono più mondi separati.

Addirittura la definizione di impresa sociale dovrebbe essere superata secondo Harish Hande, fondatore di Selco, (impresa leader in India per l’elettrificazione rurale con energia solare, insignito dell’autorevole Magsaysay award) perché, come sostiene l’imprenditore indiano in uno degli speech più toccanti del Boat, durante la tappa a Barcellona, “L’impresa sociale dovrebbe essere la norma, ogni impresa dovrebbe essere guidata dalla passione e non dal denaro, e condotta in modo etico e sostenibile”

Divisi in gruppi di lavoro nei due giorni di traversata si sono affrontati business model dei sei casi studio internazionali, per confrontarsi concretamente su priorità, difficoltà e potenzialità nello sviluppare un’attività imprenditoriale con finalità sociali, per arrivare a sei pitch finali di presentazione prima dello sbarco.

Oltre 70 gli operatori della cooperazione internazionale presenti in nave, con un vivace dibattito su come debbano trasformarsi i modelli di intervento, superando il consueto schema del “progetto di sviluppo” per arrivare a processi di cambiamento basati su veri partenariati paritari con le realtà imprenditoriali locali.

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Di “quarto settore” parla al Boat Camp anche Laura Frigenti, direttore della nuova Agenzia di Cooperazione Internazionale dell’Italia, che ha partecipato alla traversata Civitavecchia-Barcellona ed è intervenuta al convegno pubblico nella capitale catalana “La combinazione di impatto sociale, tecnologia e capitale può fare la differenza. Come settore pubblico possiamo portare la struttura e promuovere i luoghi di incontro, ma la vera rivoluzione parte da voi”

 


Anche Enel Group, main sponsor dell’iniziativa è presente in forza al Camp e partecipa attivamente a tutte le fasi

 

 

Molto soddisfatti gli organizzatori “Dobbiamo spalancare finestre e mondi, siamo in una terra di mezzo in cui tutti possono lavorare e portare il proprio valore aggiunto” sostiene Stefano Granata, presidente del Gruppo cooperativo CGM “l’impresa sociale è per tutti e la contaminazione è avvenuta su questa nave”.

Per Elena Casolari, amministratore delegato di Fondazione Acra “L’esperienza è stata quasi inaspettata. Gruppi tanto disomogenei sono riusciti alla fine a creare vera armonia e convergenza nell’affrontare le grandi sfide, anche gli interventi istituzionali sono stati tutti di grande spessore e fiducia nelle imprese sociali”.  Cosa mi porto a casa? “L’idea che bisogna sempre guardare in alto per produrre veri cambiamenti di prospettiva”

Ecco lo storify della conferenza organizzata al Caixa Forum durante la tappa a Barcellona.