Il viaggio di Boye

“Fame, pericoli, stanchezza.

La fatica di affrontare un duro viaggio lontano dalla famiglia senza una precisa meta.

L’ importante è andare via.

La speranza di raggiungere un posto migliore, di riuscire a costruirsi un futuro altrove.

Il coraggio di affrontare il mare e la tempesta.

Arrivare in Italia e dover fare i conti con gli stereotipi della gente e con la poca organizzazione dei centri di accoglienza.

Boye però avrà poi la fortuna di incontrare Leo, che, lontano da ogni pregiudizio, gli darà la possibilità di vivere con lui e la sua famiglia, pronta a dargli fiducia.

Felicità, vita.”


Si presenta così il lavoro collettivo della classe 4° G di Scienze Umane dell’I.I.S. Curie Vittorini di Grugliasco (Torino), un sito web che racconta la storia di Boye un giovane ragazzo arrivato in Italia dalla Guinea Conakry che ha dovuto affrontare un viaggio lungo e fatto di tante tappe dolorose e difficili prima di arrivare in Italia.

Esplorando le tappe del suo viaggio si può scoprire la sua storia.

Il sito è frutto del percorso laboratoriale Obiettivi di sviluppo sostenibile e migrazioni promosso dal Coordinamento Comuni per la Pace – Co.Co.Pa. nell’ambito del progetto Digital Transformation per lo sviluppo sostenibile.

Gli strumenti digitali e del web sono sembrati i più adatti a ospitare e a diffondere tutti i materiali realizzati dalle studentesse durante il percorso.

Il sito web, che nel corso dei prossimi mesi verrà popolato di nuovi contenuti, è stato pensato dalle 4°G come strumento utile a diffondere la storia di Boye nelle altre classi e tra i propri coetanei.

Per la classe confrontarsi con la storia di Boye è stato un modo per capire cosa vuol dire migrare, andare oltre i numeri e calarsi nell’esperienza di un loro coetaneo. Tante sono le ragioni per cui si è costretti o per cui si vuole lasciare la propria casa, il viaggio è troppo spesso crudele, l’accoglienza in Italia e in Europa lontana dalle aspettative di chi finalmente crede di essere arrivato nel luogo dove ricostruire la propria vita. La solidarietà e la conoscenza reciproca però possono fare una grande differenza.



Theory of change: progettare il cambiamento

Quando parliamo di terzo settore e di cooperazione internazionale allo sviluppo, la nostra testa ragiona in termini di progetti: di risorse, di attività, infine di obiettivi. I progetti – tra le altre – devono seguire le regole e le linee guida dei donatori. Sempre più spesso, questi ultimi pongono l’accento sull’impatto e sul cambiamento che il progetto che finanziano produrrà nel contesto in cui è realizzato. Questo significa che non basta la progettazione fatta con le migliori intenzioni (ammesso e non concesso che questa fosse sufficiente anche nel passato), ma che i progetti devono dimostrare sempre di più la propria solidità ed efficacia.

Simone Castello e Chiara Maria Lévêque, esperti di Teoria del cambiamento e valutazione, e docenti del corso di formazione Theory of change e valutazione d’impatto, ci hanno parlato di come il terzo settore e la cooperazione internazionale allo sviluppo possono integrare nella propria azione nuovi strumenti di progettazione e valutazione, per aumentare la propria possibilità di efficacia e far fronte alle crescenti richieste dei finanziatori.

Chi è e cosa fa un consulente in Teoria del cambiamento (ToC)?

Iniziamo col dire che il loro lavoro è quello di philanthropy advisor, professione che in Italia sembra piuttosto nuova. Chiara Lévêque (Senior Account Executive di Aragorn) e Simone Castello (Senior Consultant di Albacast, Segretario Generale di Fondazione Mazzola), attraverso il proprio lavoro, hanno contribuito a traghettare e applicare i concetti di ToC e valutazione dell’impatto nel contesto del non-profit, favorendone un consolidamento e una implementazione man mano più estesa.

L’obiettivo di questa professione è quello di migliorare le metodologie con le quali le non-profit si rapportano con i propri finanziatori. Il compito di un consulente è quindi quello di mettere in comunicazione questi due mondi.

“Rispetto ad altri consulenti noi lavoriamo con due target: non-profit e funders. Cerchiamo di capire e di rispondere sia alle esigenze di chi il progetto deve implementarlo, sia a quelle di chi invece deve finanziarlo.”

Ma cos’è la Theory of change nello specifico?

La Teoria del cambiamento non è una novità, ma negli ultimi anni è cresciuto il livello di interesse intorno ad essa. Si tratta di un approccio alla progettazione e alla programmazione che attraverso un processo rigoroso e partecipativo identifica l’obiettivo di impatto che vogliamo generare, come questo cambiamento dovrebbe avvenire e perché è verosimile che si realizzi, evidenziando le evidenze alla base della “teoria” alla luce del contesto e della complessità in cui l’intervento verrà realizzato.

La grossa distinzione dalla progettazione tradizionale è la modalità con cui si procede. Il cammino si fa a ritroso, partendo dall’impatto e ragionando sulle precondizioni necessarie affinché questo si verifichi, precondizioni che dovranno essere prodotte attraverso le azioni progettuali. Non partiamo dalle attività, ma dai cambiamenti che dobbiamo generare per evidenziare necessità, bisogni – e possibili barriere che potrebbero frapporsi.

[…] non appiattendo la strategia sulle azioni, ma mappando i bisogni ai quali il progetto deve rispondere.

Un buon processo di Teoria del cambiamento è in grado non solo di far emergere le criticità di un progetto, ma anche quelle interne all’organizzazione che lo ha redatto. Come sottolineano Simone e Chiara, spesso gli errori progettuali sono un riflesso delle criticità presenti all’interno dell’organizzazione che lo ha scritto. Mappare lo stato dell’arte tramite l’uso della Teoria del cambiamento, primo e imprescindibile passaggio, può essere un buon modo per farle emergere.

Vala la pena sottolinea la sempre più forte richiesta di valutazione di impatto: purtroppo – o per fortuna – non è possibile valutare l’impatto di un intervento se non è chiara la ToC progettuale: quindi, volenti o nolenti, vale la pena fare i conti con questo strumento che, in ogni caso, è sempre più frequentemente richiesto dai finanziatori (fondazioni, imprese, enti governativi) in fase di presentazione delle application.

Applicazioni pratiche

I docenti ci portano un esempio interessante, riguardante un progetto per l’inserimento lavorativo dei Neet. In estrema sintesi, il progetto prevedeva che i tutor contattassero aziende per l’avvio di tirocini di giovani Neet. Durante il processo di ToC, durato un paio di mesi e che ha coinvolto sia l’organizzazione capofila che i suoi principali stakeholder, sono emerse diverse criticità che hanno portato a una solida riprogettazione. In primo luogo, i partner implementatori del progetto non avevano alcuna esperienza nella costruzione e gestione di relazioni con le aziende. Inoltre, era stato dato per scontato che i giovani beneficiari dovessero sviluppare competenze “hard” in ambiti complessi, quali IT, marketing, ecc. Purtroppo, questi ragazzi in realtà mostravano un deficit delle competenze più basilari che rendeva impossibile l’ambizioso obiettivo progettuale; inoltre, ragionando con enti formatori specializzati nell’avvio di tirocini lavorativi, si è riscontrata la necessità di competenze relazionali basilari (soft skills) – quali la capacità di scrivere un cv, le buone abitudini in sede di colloquio, la consapevolezza delle norme quotidiane in contesti lavorativi (es. puntualità), ecc. Queste erano le aree su cui lavorare per far sì che un ente formatore potesse collocare i ragazzi. A causa di una rilevazione superficiale delle competenze in-house, delle abilità dei ragazzi e delle necessità delle aziende (in sostanza, in mancanza di una solida consultazione e comprensione del contesto e degli stakeholder, e quindi delle precondizioni necessarie per raggiungere l’impatto desiderato), l’impostazione progettuale si era dimostrata inadeguata per il raggiungimento degli obiettivi.

Gli stakeholder

L’importanza del relazionarsi con loro è il caposaldo della Teoria del cambiamento. Tuttavia vi sono tre livelli su cui dobbiamo intervenire.

  • Il primo è rappresentato dai beneficiari del progetto. L’ottica partecipativa è fondamentale per capire quali siano i loro bisogni: non solo in un’ottica di ownership, trend in aumento che vede i “beneficiari” non come semplici recipienti ma come stakeholder attivi. Ma anche perché possono aiutarci a capire ostacoli che altrimenti non vedremmo ragionando nella tradizionale ottica lineare (attività – risultati) che spesso comporta la progettazione dall’alto e “a tavolino”. Come si è detto prima parlando di Neet, le loro esigenze erano diverse da quelle immaginate dai progettisti.
  • Il secondo livello è quello delle risorse interne. Se non si dialoga coi partner, non si può sapere se questi siano sulla stessa lunghezza d’onda e se potranno/vorranno fornire un vero valore aggiunto all’iniziativa. E così anche chi dovrebbe remare nella stessa direzione rischia di creare effetti distorsivi più che positivi.
  • L’ultimo livello è rappresentato dai finanziatori. Riuscire a coinvolgere i funders in parte del processo di ToC può dimostrarsi un’ottima occasione per rafforzare la relazione. Da un lato, se il processo viene ben gestito, i finanziatori apprezzeranno il coinvolgimento e la trasparenza dell’organizzazione, pronta a sedersi a un tavolo per discutere – in modalità di partner – obiettivi e difficoltà. Dall’altro, questo comporta anche una responsabilizzazione del finanziatore che non si pone più come soggetto totalmente esterno al progetto, ma diviene parte attiva del processo di sviluppo e, per questo motivo, dimostra di credere nell’iniziativa e di sposarne l’impostazione.

Il corso “Theory of Change e valutazione d’impatto”

Coerentemente con quanto appena detto, Simone Castello e Chiara Lévêque hanno preparato un corso diviso in blocchi, in maniera da affrontare correttamente la materia. I blocchi saranno fondamentalmente tre.

Il primo argomento di grande importanza è quello relativo all’erogazione dei fondi, o meglio agli enti finanziatori e al loro rapporto con le non-profit. Il modo con il quale questi due attori interagiscono è cambiato nel tempo. In generale, si sottolineerà quali sono le modalità che sempre più indirizzano le scelte dei donatori sui progetti da finanziare.

Il secondo blocco invece verterà su argomenti legati in maniera più stretta alla Teoria del Cambiamento, e quindi alla necessità di una valutazione di impatto per conoscere se dalla teoria si è passati effettivamente alla pratica.

In ultimo, verranno presentati diversi metodi per la valutazione dell’impatto, con focus su quelli più rigoroso e utilizzati nel settore non-profit e della cooperazione.

Consulta il programma del corso “Theory of Change e valutazione d’impatto” in partenza il prossimo 16 maggio.

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Photocredits: Gerd Altmann, Pixabay

Free Webinar | Blockchain: una tecnologia per il sociale 4.0| 20 maggio 2019

Capire la blockchain non è facile, soprattutto a causa della sovrabbondanza informativa, che ha creato una nube di informazioni all’interno della quale è difficile vedere.

La blockchain e la più ampia categoria delle distributed ledger technologies (DLTs), un database diviso tra nodi (dispositivi) uniti da una rete peer-to-peer. Le DLTs si sono imposte all’attenzione pubblica per la loro promessa di trasparenza, efficienza e sicurezza nella gestione delle informazioni tramite scambi tra registri distribuiti che sono aggiornati in modo indipendente, replicati automaticamente in tutto il sistema, e preservati in modo immutabile.

Le componenti chiave delle DLTs sono: i registri dati distribuiti, il multi-party consensus, la validazione indipendente, ed i sistemi anti-manomissione. I sostenitori delle DLTs affermano che queste tecnologie possano risolvere alcuni dei problemi riscontrati storicamente dalle ONG e le non-profit, come la mancanza di trasparenza, efficienza, economia di scala e sostenibilità.

Fino ad oggi le applicazioni più concrete in ambito umanitario rappresentano l’inclusione finanziaria, i diritti catastali, le rimesse, i trasferimenti finanziari, la trasparenza nelle donazioni, la riduzione delle frodi,  il monitoraggio dei trasferimenti ai beneficiari, le riforme strutturali di governance, il micro credito, le micro assicurazioni, i trasferimenti internazionali (soprattutto cash programming) e persino la gestione del fundraising. 

L’implementazione della blockchain nel social good è fondamentale per affrontare la trasformazione digitale. La cooperazione allo sviluppo necessità di queste nuove tecnologie per migliorare i propri strumenti ed affrontare le sfide di domani.

Ne abbiamo parlato online lunedì 20 maggio in un webinar gratuito insieme a Giulio Coppi, specialista per i progetti digitali al Norwegian Refugee Council. Il webinar è stato realizzato nell’ambito del progetto “Digital Transformation per lo sviluppo sostenibile. Percorsi educativi per l’uso consapevole delle tecnologie digitali per l’Educazione alla Cittadinanza Globale” sostenuto dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione Internazionale (AICS) e grazie al contributo del programma Innovazione per lo Sviluppo.

Guarda la registrazione

Vivere nel digitale, una guida per comprendere le logiche della trasformazione digitale

Sentiamo ormai quotidianamente il termine “digitalizzazione”, ma che cosa significa davvero e quali impatti ha sulla nostra vita? LabNET – School of Management ha realizzato una guida breve ed agile per orientarsi attraverso gli impatti e le opportunità offerte dal digitale.

Vivere nel digitale” è il primo di un ciclo di 4 dossier realizzati nell’ambito del progetto Digital Transformation per lo Sviluppo Sostenibile, volti ad approfondire le prospettive della trasformazione digitale nell’ottica di rispondere alle sfide evidenziate dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e dall’Agenda 2030.

Questa breve guida nello specifico intende proporre alcuni spunti sugli impatti della rivoluzione digitale in corso e sulle conseguenze che questa ha sull’insieme di conoscenze e capacità che dovremmo acquisire e possedere, anche in termini di consapevolezze, sensibilità, attenzioni.

L’impatto fondamentale della trasformazione digitale sui sistemi educativi e formativi, infatti, non sarà tanto quello legato alla preparazione delle nuove figure professionali, quanto quello legato alla necessità di conferire a masse enormi di persone, si parla di 400-500 milioni ma alcuni parlano di 1,2 miliardi di persone, (Fonte McKinsey Global Institute, Maggio 2017) nuove competenze che si innestano su quelli esistenti: in grande misura quindi si farà lo stesso lavoro di prima ma con modalità e logiche profondamente diverse.

Comprendere la natura e le logiche delle tecnologie digitali è di conseguenza essenziale non solo come lavoratori ma anche come cittadini e potrà segnare il confine fra chi manterrà il passo e chi verrà tagliato fuori.