Un e-commerce senegalese tutto al femminile, per valorizzare i prodotti locali

Torino. Venerdì 22 Marzo si è tenuto presso il Campus Luigi Einaudi, l‘incontro sull’imprenditoria giovanile in Africa. Proprio durate questo incontro abbiamo avuto l’onore di incontrare Awa Caba, CEO di Sooretul.

Sooretul è stato il primo e-commerce senegalese, ed è stato anche il primo a valorizzare non solo i prodotti locali ma anche le donne che li producono. E’ nato da un’idea di Awa, ingegnere informatico, che insieme ad altre ragazze appassionate di tecnologia e sviluppo ha fondato le Jjiguène tech hub, associazione che ha dato avvio a diversi progetti nell’ambito dell’agricoltura e della formazione nel campo delle ICT per le donne senegalesi.

Ma andiamo con ordine

Awa, con la tua associazione avete sviluppato tecnologie importanti per le donne, e anche Sooretul è volto ad un pubblico femminile lato business. Puoi raccontarci qualcosa in più?

Sooretul è una piattaforma che collabora con donne lavoratrici. Grazie all’esperienza maturata nel settore primario, ho conosciuto molte donne che si dedicavano all’industria della trasformazione dei prodotti agricoli. Preciso che quando parlo di industria mi riferisco a piccole attività famigliari, con praticamente nessun orizzonte di scalabilità.

Ed è qua che ti è venuta l’idea.

Sì, esatto. Queste donne lavorano i prodotti tipici del territorio, ma la bassa scolarizzazione ed il mercato sfavorevole le limitano moltissimo nelle vendite. Inoltre le donne senegalesi che trasformano i prodotti locali non riescono a trovare un mercato. Tieni conto che il Senegal importa il 70% dei prodotti consumati.

Quando poi l’urbanizzazione svuota le campagne, rimangono solo loro: le donne. La trasformazione dei prodotti è tutta deputata a loro, mentre gli uomini (quelli rimasti) lavorano la terra nei campi. Ovviamente le condizioni di povertà rendono alcuni processi molto complessi e difficili.

Quali ad esempio?

Beh qui in Italia si è abituati ad andare al supermercato e trovare prodotti italiani ben pubblicizzati, con una confezione accattivante. In Senegal questo non accade per i prodotti tipici, che quindi rimangono sugli scaffali impoverendo le aziende locali. Per queste donne la faccenda si complica ancora di più. Fortunatamente ci sono alcune ONG che si occupano di aiutarle nel difficile processo del decidere una strategia marketing e di creare un packaging accattivante. Tuttavia queste non sono soluzioni concrete.

Parlaci della piattaforma? come funziona Sooretul?

Io ho studiato informatica, quindi ho iniziato a fare le mie ricerche in ambito tech. Quando ho scoperto che la penetrazione di internet e dei telefoni cellulari era al 107% ho iniziato a pensare a questo e-commerce.

Sooretul è nato quindi dalla necessità di collegare le donne che trasformavano prodotti locali, con il mondo degli e-commerce. Collaboriamo con 15 imprese tutte femminili, mentre il sito offre più di 500 prodotti locali, tutti naturali.

In che senso naturali, intendi biologici?

Sarebbe molto bello poterli chiamare biologici, perché questo avrebbe un grande appeal per la clientela. Tuttavia i costi per ottenere la certificazione Bio sono altissimi, e né noi né le produttrici possono permettersi di sostenerli. Tuttavia stiamo lavorando in questa direzione, soprattutto per quanto riguarda la vendita in Europa.

E per quanto riguarda i pagamenti?

Il nostro e-commerce è tagliato su misura per il nostro contesto, questo è un punto di forza importante per noi. Ora in Senegal le carte di credito non sono molto utilizzate, i sistemi di mobile banking invece sì.

Per permettere a tutti di effettuare ordini abbiamo integrato la possibilità di pagare tramite mobile money e soprattutto tramite contrassegno. Tramite sondaggi abbiamo scoperto che i senegalesi preferiscono pagare solo dopo aver ricevuto il prodotto ordinato. Tuttavia questo trend è in evoluzione e ad Ottobre lanceremo l’opzione del pagamento con carta.

Bene, ancora qualche domanda sulle ICT. Esistono dei percorsi formativi per insegnare a queste produttrici come utilizzare la piattaforma di e-commerce?

Questa è una domanda molto importante, perché si esistono e noi ne siamo artefici. All’inizio avevamo semplicemente dato la possibilità di inserire i prodotti sul nostro sito, ci occupavamo di tutto, dal fare le foto al caricarle online, al gestire la filiera di spedizione et cetera.

Tuttavia ci siamo impegnati molto nell’ascolto di queste donne, ed abbiamo scoperto come alcune di loro possedessero computer e smartphone per completare queste operazioni, ma non sapessero utilizzarli.

Così abbiamo deciso di creare dei percorsi ad hoc per insegnar loro ad usare le nuove tecnologie. Questi corsi sono del tutto gratuiti per loro, poiché il costo è sostenuto da una partnership con alcune Ong.

Hai detto che avete collaborato con varie Ong. Un suggerimento per loro?

Vorrei sottolineare come si debba fare ancora molto. Il nostro e-commerce è una goccia nel mare. Bisogna superare i vecchi modelli di cooperazione in forma assistenzialistica, e seguire dei follow-up concreti ai progetti attivati nel nostro paese.

Qui dobbiamo fare rete. Ci sono molti giovani che hanno idee innovative ma i modelli di cooperazione allo sviluppo non fanno abbastanza networking; questo depaupera l’innovazione che sta dietro ad idee molto valide.

Le Ong dovrebbero sostenere l’imprenditoria locale, i giovani e le imprese che hanno già creato network riuscendo a trasformare i progetti di sviluppo temporanei in sviluppo perenne e quindi scalabili sul lungo periodo.

Applicazioni di mHealth, dalla creazione alla fase pilota – l’esperienza ruandese

È il novembre 2017, nei centri per rifugiati di Gihembe e Nyabiheke in Ruanda. Ho avuto la possibilità di lavorare sul campo, facendo formazione per il personale medico e osservando l’utilizzo della nostra applicazione da parte di infermieri e dottori. L’app è stata creata da Gnucoop per l’UNHCR per supportare la raccolta di dati medici all’interno dei campi profughi in tutto il mondo. L’applicazione, specifica per i tablet, è utilizzata dal personale medico per raccogliere i dati dei pazienti quando questi accedono ai servizi medici di base, come visite – sia nei reparti con pazienti ospedalizzati che no – accesso a cure nutrizionali e alla salute sessuale e riproduttiva – cure prenatali e postnatali, parto, ecc. –  gestione dei reparti, ed altre attività simili.

di Paola Fava

Le informazioni vengono raccolte offline (per ovviare al problema della bassa qualità della connessione internet) e i dati vengono poi sincronizzati una volta che internet è disponibile ed utilizzati per stilare rapporti medici.

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Progettare e gestire uno strumento mHealth dall’inizio alla fine non è un compito facile. A volte perfino definire i requisiti non è così semplice; tutto sembra chiaro all’inizio, ma poi, quando si scende nei dettagli, si fa sempre più complicato, confuso e ad un certo punto si ha la sensazione di dover ripartire da capo dai requisiti. Questo è, però, il ciclo di vita di un progetto grande e agile.

Alla fine, dopo aver gestito lo sviluppo di uno strumento di mHealth per più di un anno e dopo aver testato più e più volte il sistema nel nostro ufficio di Milano, abbiamo avuto l’occasione di testarlo “realmente” sul campo. Tra ottobre e dicembre, è partito il progetto pilota in sei paesi (Zambia, Tanzania, Kenya, Ruanda, Giordania e Sud Sudan). È stato un lavoro duro ma entusiasmante. Gnucoop ha supportato l’UNHCR nel settaggio dei tablet e nella formazione di medici ed infermieri.

Vorrei condividere con voi alcune lezioni apprese che ritengo essere utili ed applicabili all’implementazione di qualsiasi progetto di mHealth o di ICT4D:

  1. Il supporto sul campo dovrebbe essere obbligatorio; qualsiasi progetto di mHealth ha bisogno di avere qualche forma di supporto in loco. Questo non significa necessariamente avere un membro dello staff che si dedichi interamente al progetto, ma piuttosto avere almeno qualcuno che abbia familiarità con il progetto in questione e che possa intervenire in caso di necessità.
  2. Essere pronti a tornare indietro ai requisiti iniziali ed adattarli (progettare avendo sempre l’utente finale in mente). Modifiche posso essere richieste a tutti i livelli, dall’interfaccia per l’ingresso e la raccolta dati, alle informazioni riguardanti il flusso di lavoro. Ogni feedback conta, poiché aiuta a tenere in considerazione in primis l’utente. Questo non significa necessariamente che ogni richiesta debba essere soddisfatta – alcune potrebbero non essere in alcun modo attuabili – ma sicuramente aiuta gli sviluppatori a focalizzarsi sulle aspettative ed sui bisogni degli utenti.
  3. L’analisi del contesto specifico dove verrà implementato il prodotto è da considerarsi cruciale. Questa include l’analisi delle risorse umane e delle infrastrutture disponibili (ad esempio la qualità della connessione internet e le disponibilità dello staff) in ogni sede in cui il progetto avrà luogo. A parte lo specifico progetto, internet – sia mobile che a banda larga – è il requisito fondamentale per qualsiasi penetrazione tecnologica futura.
  4. La gestione dell’hardware; è importante identificare insieme agli attori locali le modalità di gestione dei tablet o dei dispositivi mobili. Verranno custoditi dai singoli dottori/infermieri o piuttosto da un data manager dell’ospedale? Ed ancora, questi dispositivi dovrebbero essere utilizzati unicamente da singoli utenti, e questo cosa comporterebbe in termini di costi e risorse?

Di sicuro ci aspettano tempi memorabili, in cui i progetti mHealth pretenderanno definitivamente piede!

Un BarCamp per gli ICT4D champions della cooperazione

Si è conclusa il 10 aprile la seconda edizione del corso di alta formazione dedicato alle ICT4D – ICT Innovations for Development – organizzato da Ong 2.0 nel quadro del programma Innovazione per lo sviluppo. Oltre 6 mesi di lavoro, otto moduli, 28 sessioni  tenute da docenti di fama internazionale dei più diversi paesi del mondo e decine di esercitazioni pratiche, per culminare, lunedì scorso, con l’evento finale, un BarCamp pubblico, durante il quale tutti i partecipanti – divisi in sei squadre – hanno avuto l’opportunità di presentare i loro progetti e vincere una somma di 2.000 euro per il sostegno all’iniziativa.

L’evento chiude un percorso mirato non solo a fornire una formazione sia teorica che pratica nel campo delle ICT per lo sviluppo, ma anche a potenziare il pensiero critico dei partecipanti nei confronti delle iniziative, metodi e strumenti già esistenti nel settore.

Vedere il lavoro fatto negli ultimi 6 mesi mi ha dato il coraggio di pensare che un altro mondo sia possibile, o meglio, che un altro tipo di sviluppo sia possibile – una cooperazione che sia focalizzata sulla dimensione particolare e locale dei problemi affrontati, ma che al tempo stesso sia anche trasmessa a livello globale.

Così sostiene emozionato Ron Salaj, coordinatore di tutto il  percorso ICT Innovation for Development, e aggiunge “ il corso ha  soprattutto cercato di fornire le ultime tendenze sui vari strumenti legati all’utilizzo ICT, con particolare attenzione alle competenze pratiche e agli esempi sul campo, senza però tralasciare anche la parte teorica e quindi le diverse metodologie, strutture e conoscenze del caso. In alcuni casi è stato possibile mostrare ai partecipanti le competenze specifiche dei relatori che, arrivando da contesti e formazioni differenti, hanno collaborato ad espandere e rafforzare “cassetta degli attrezzi”  dei partecipanti su una grande varietà di settori: innovazione sociale, tech4dev raccolta dei dati, la mappatura in contesti di emergenza, diritti umani e democrazia, salute, istruzione, uguaglianza e ‘inclusione finanziaria, agricoltura”.

Secondo Ron

Date le circostanze di crisi globali e quotidiane che stiamo vivendo, la parola d’ordine del settore dovrebbe essere coraggio

E i partecipanti al corso ICT Innovation for development sono stati davvero coraggiosi. Dopo il lungo lavoro di formazione il mese di Marzo è stato interamente dedicato ai progetti finali;  i 23 partecipanti – selezionati tra le oltre 480 candidature arrivate da tutto il mondo – hanno lavorato intensamente divisi in sei team su altrettanti progetti reali, proposti loro da sei ONG italiane che operano in diversi contesti del mondo, con l’obiettivo di sviluppare delle soluzioni ICT-oriented per i problemi segnalati.

Durante l’evento, ogni squadra ha presentato l’entusiasmante lavoro sviluppato. A valutare tutti i progetti e selezionare il migliore tra essi – quello che si è meritato il primo posto e il finanziamento – una giuria composta Cristina Toscano (Fondazione Cariplo), Ilaria Caramia (Compagnia di San Paolo), Josh Harvey (CARE) e Gianluca Lazzolino (Postdoctoral Fellow presso l’Università di Oxford).

Se vuoi rileggere il racconto dell’evento attraverso i tweet
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Ha ottenuto la vittoria il progetto intitolato: Increased resilience capacity of small-scale producers of rice, vegetables and yams in Haute Guinée” realizzato da un team di quattro partecipanti a partire da un progetto reale presentato dall’ong CISV e illustrato al BarCamp da Alice Mantoani. “Sono così felice” sostiene Alice a seguito della vittoria e spiega come tutti i membri abbiano collaborato attivamente al progetto, dividendo il loro tempo tra momenti di condivisione con il resto della squadra – ovviamente tramite Skype, essendo sparsi per tutto il mondo – e momenti di lavoro individuale, durante i quali ognuno si è concentrato sui propri compiti specifici.

Obiettivo del progetto: individuare degli strumenti ICT per aiutare un network di piccole cooperative agricole in Guinea a gestire il flusso di merci in entrata e in uscita e migliorare la comunicazione tra loro.

Qui il pitch del progetto presentato al BarCamp

Alice dice anche di essere molto soddisfatta del corso: “Oltre alla qualità dell’insegnamento e alla validità dei relatori internazionali quello che mi ha coinvolta di più è stato il marcato aspetto pratico del corso. Il fare è stato messo al primo posto fin da subito: prima tramite le dimostrazioni pratiche dei docenti, e poi, ovviamente, durante il periodo dedicato al lavoro in team. Non a caso, infatti, i progetti di partenza su cui hanno dovuto lavorare le squadre sono progetti reali, proposti ai partecipanti da diverse Ong”. Anche la modalità online ha funzionato molto bene a parer suo,  “anche grazie ai frequenti momenti di condivisione tra i partecipanti e i docenti, sia durante che dopo le lezioni”. Uno degli aspetti più apprezzati da Alice è poi stata l’eterogeneità della classe. Grazie alla modalità di corso online, infatti, è stato possibile mettere insieme un gruppo  di veri professionisti, composto da profili con una grande varietà di esperienze e background e provenienti da ambienti e lavoro anche molto diversi tra loro, facenti però tutti parte del vasto campo della cooperazione allo sviluppo.

 

Il corso ICT Innovation for Development è stato organizzato da Ong 2.0, in seno al progetto “Innovazione per lo Sviluppo” sostenuto da Fondazione Cariplo e Compagnia di San Paolo, in collaborazione con Opes Impact Fund, Fondazione Acra, We Make, Ouagalab, Fablab To, Fondazione ISI, Fondazione Politecnico di Milano, Centro Nexa, Università di Torino e Politecnico di Torino.

 

ICT per i diritti umani, la democrazia e l’attivismo

ICT for human rights, democracy and activism è il sesto modulo, appena concluso, del percorso di formazione “ICT Innovations for Development”, durante il quale si è approfondito il ruolo delle ICT nella promozione e nella difesa dei diritti umani.

 

Il corso ha permesso ai partecipanti di studiare come le ICT possano essere utilizzate all’interno di processi democratici e nell’attivismo. Il modulo si è concentrato nello specifico su come le nuove tecnologie possano essere utilizzate dalla popolazione e dalle ong per monitorare, mostrare e far fronte alle violazioni dei diritti umani. Inoltre, sono stati analizzati i rischi e le conseguenze legate call’uso delle ICT e alla comunicazione digitale. Con lo sviluppo delle tecnologie e delle tecniche di sorveglianza e di monitoraggio online, infatti, gli attivisti di tutto il mondo sono spesso i primi destinatari di questi controlli, quindi il modulo ha analizzato anche tecnologie, piattaforme e tecniche di “anti-sorveglianza”.

Grazie alla partecipazione di diversi esperti, come Satu Valter, attivista anti-razzista e capo del No Hate Speech Campaign in Finlandia, Dr Dan McQuillan, professore a Goldsmiths, Università di Londra e una delle 93 persone che sono state torturate durante il G8 di Genova nel 2001, e Ron Salajattivista per i diritti umani e per la difesa dell’ambiente, durante le lezioni sono emersi molti temi, casi studio, strumenti pratici, piattaforme e applicazioni.

Satu Valtere ha avviato l’analisi di queste tematiche a partire dal concetto di “diritti umani”, evidenziandone le principali caratteristiche, i valori, ma anche i conflitti e i dilemmi, seguiti da un caso studio dalla Finlandia. Satu ha riportato come esempio la No Hate Speech Campaign, una campagna europea lanciata dal Consiglio d’Europa, per analizzare vantaggi e svantaggi delle campagne per i diritti umani promosse dalle organizzazioni internazionali. Considerando che questa campagna si concentra sulla lotta all’hate speech online, è nata un’interessante discussione sul dilemma che vede scontrarsi la libertà di espressione e l’hate speech e che pone la domanda di dove si collochi la linea di demarcazione che li separa.

Durante la seconda lezione Ron Salaj ha parlato del concetto di attivismo nell’era digitale, soffermandosi soprattutto sulle campaigning techniques degli attivisti e dei movimenti dissidenti: dalle tecniche di pubblicazione del samizdat, al sabotaggio culturale e alle radio pirata.
Lattenzione si è poi concentrata su come l’attivismo sia cambiato con l’avvento di internet. Basti pensare a quando gli attivisti hanno chiuso per ore il sito della compagnia aerea Lufthansa utilizzando un attacco DDoS per protestare contro la deportazione degli immigrati con gli aerei della compagnia; o all’utilizzo del Google Bombing, sfruttato dal gruppo English Disco Lovers in senso anti-razzista.

28476745294_3f9e28e373_bDan McQuillan ha invece approfondito il concetto di open source intelligence. Partendo dal significato di “tecniche di sorveglianza”, che etimologicamente indica il “guardare dal basso”. Per illustrare questa tecnica il docente ha descritto il caso Rodney King a Los Angeles e il #BlackLivesMatter, un movimento internazionale di lotta alla violenza e al razzismo contro le persone di colore; il movimento è coordinato, ma decentralizzato e senza un leader, e si distingue per la sua etica inclusiva, coinvolgendo donne, attivisti LGBT, ecc.

Nel corso dell’ultima lezione, tenuta dallo stesso docente, si è parlato di online surveillance and tracking, di sorveglianza e monitoraggio online. In particolare, si è cercato di ampliare le abilità pratiche dei partecipanti tramite la dimostrazione e l’utilizzo di diversi strumenti e piattaforme, quali Lightbeam, il plugin di Mozilla che aiuta l’utente a verificare in diretta se qualcuno sta seguendo le sue mosse online; e Panopticlick, un progetto di ricerca di EFF o Tor browser, un sistema per mantenere il browser e le ricerche sul web anonime.

Infine, parte della lezione è stata dedicata alla discussione sull’utilizzo da parte di grandi democrazie di avanzati strumenti di spionaggio, in contrapposizione alla nascita di nuovi movimenti, il cui obiettivo è quello di resistere, agire ed educare contro il monitoraggio online. Un esempio su tutti? Cryptoparty un movimento decentralizzato che mira a formare e informare sulla protezione personale nello spazio digitale.

Un nuovo “mobile money ecosystem”

Si è da poco concluso anche il settimo modulo del corso ICT Innovations for Development tenuto da Gianluca Iazzolino e dedicato interamente all’utilizzo delle nuove tecnologie nell’ambito dell’inclusione finanziaria.

Il settore dei servizi finanziari digitali si amplia sempre più velocemente; in poco tempo si è passati dalla semplice possibilità di pagare tramite mobile, alla possibilità di effettuare transazioni e operazioni più complesse, come prestiti o assicurazioni, utilizzando un dispositivo come il cellulare o il tablet. Ormai non si parla più solamente di mobile banking, di “un sistema cioè che permette ai clienti di istituzioni finanziarie di accedere al proprio account tramite un dispositivo mobile”, ma di mobile money, “un network di infrastrutture per depositare e trasferire denaro facilitando il cambio da cash alla valuta elettronica tra diversi attori”(Kendall et al. 2012), “un’innovazione strategica per tagliare i costi e rafforzare la portata dei servizi finanziari” (Porteous 2007; Kumar, McKay and Rotman 2010; Donovan 2012).

MasterCard Foundation's partnership with Opportunity International and Opportunity Bank is expanding access to financial services to 1.4 million people, particularly in rural areas. Mobile phone banking is a large component of these activities. Julius Sakiaiiuu at his mobile phone shop and mobile money kiosk in Kanjuki Village. Julius received loans from Opportunity Bank to expand his mobile phone shop in Kanjuki Village. "Before mobile banking, I would have to bay 10,000 shillings to go to the nearest bank branch to deposit 10,000 shillings," he said.Oggi, spiega Iazzolino, si delinea quindi un nuovo mobile money ecosystem, in cui gli attori coinvolti non sono più solamente le banche e i loro clienti, ma tutte le istituzioni e gli attori che offrono servizi finanziari, gli operatori, i proprietari di attività, i produttori, gli utenti, ecc. Lo scenario è quindi quello di un network, di una nuova partnership di digital financial actors, che sviluppa nuove relazioni, nuovi scambi e nuove opportunità.

In questo scenario emerge con prepotenza il tema dell’inclusione finanziaria, focus specifico delle lezioni del settimo modulo del corso. “L’accesso per tutti a un gran numero di servizi finanziari – risparmio, entrate, assicurazione e pagamenti – offerti in modo responsabile e sostenibile da una serie di providers in un ambiente ben regolato”(Porter, 2015) è la precondizione per lo sviluppo, soprattutto nei Paesi a basso reddito, e secondo molti costituirebbe un elemento importante nella lotta alla povertà.

Iazzolino tuttavia mette in guardia sulle problematiche che l’inclusione finanziaria può trovarsi ad affrontare in questa nuova compagine mondiale e sulle conseguenze che questa può avere. In particolare, la grande componente digitale del settore finanziario ha portato oggi alla “capitalizzazione dei dati e delle informazioni personali”, la cosiddetta “datafication”. Questa deriva dell’utilizzo della tecnologia nel settore, offre sì possibilità importanti, ma rischia anche di condurre a una maggiore esclusione di alcune persone che vivono in determinate condizioni.

Immagine2Il docente riporta due esempi africani: Branch e Firstaccess, due providers di servizi finanziari. Sono sostanzialmente due app che è possibile installare sul telefono; queste acquisiscono tutte le informazioni sull’utente a partire dai dati del suo cellulare, dalle sue attività, dai social media, dalle transazioni economiche, ecc. e sulla base di queste un algoritmo valuta le condizioni finanziarie dell’utente, permettendogli o impedendogli l’accesso ai diversi servizi. I dati diventano quindi una fonte di valore, sulla base della quale includere o escludere una persona dalla grande costellazione dei nuovi servizi finanziari.

Un altro aspetto (tra molti altri) che il docente spiega per ottenere una vera inclusione finanziaria è il contesto locale. La sola esportazione di piattaforme, tecnologie o modelli finanziari non sarà mai davvero efficace ed inclusiva, se la popolazione di riferimento non è disposta ad accettarla, se la tecnologia proposta è troppo avanzata, se nel contesto sociale in cui si desidera inserirsi non sono presenti le condizioni adatte per farlo.

Un esempio è Telesom Zaad, la prima piattaforma mobile money in Somaliland. “Il servizio offerto da Telesom è dilagato nel Paese essendo molto attrattivo, poiché semplifica la vita alle persone” spiega Abdirahman Adan Shire, il Manager di Zaad Service, rispondendo a dei bisogni reali della popolazione locale.

Innovazione nel settore sanitario: basta un cellulare

La nuova edizione di “ICT Facts & Figures” dell’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (ITU) rivela che la copertura cellulare è ormai quasi onnipresente. Infatti circa il 95% della popolazione mondiale – sette miliardi di persone – vive in una zona coperta da una rete cellulare di seconda generazione. Le reti più avanzate a banda larga raggiungono invece quasi quattro miliardi di persone – circa il 53% della popolazione mondiale.
Il settore sanitario cerca di sfruttare al massimo la presenza ormai capillare dei telefoni cellulari e la fitta rete di relazioni che essi generano per garantire il maggior accesso possibile non solo alle cure sanitarie, ma anche alle informazioni e ai dati utili a pazienti, medici e operatori sanitari.

Di Laura Andreoli

 

L’uso della tecnologia mobile nel settore sanitario è il tema al centro del modulo “ICT for Health” del corso “ICT Innovations for Development”. Ne parliamo con Paola Fava, esperta in tecnologie per lo sviluppo e relatrice nel modulo in questione.

Paola ha una grande esperienza nell’ambito sanitario, sia tecnica che sul campo; ha potuto infatti lavorare all’implementazione di progetti di telefonia mobile in diversi Paesi, oltre che alla mappatura e all’analisi dei dati in questo settore. È co-fondatrice e Business Developer presso Gnucoop, una Cooperativa Sociale che sviluppa servizi e software per organizzazioni no profit, istituzioni pubbliche e agenzie umanitarie. La caratteristica specifica e unica della cooperativa è quella di produrre software libero e condivisibile, a cui tutti possano attingere e dare il proprio contributo.

Il modulo del corso verte nello specifico sulla m-health (mobile health), l’utilizzo dei telefoni cellulari nel settore sanitario, in particolare in contesti di paesi in via di sviluppo. Paola sottolinea la differenza tra questa e l’e-health, ossia l’eletronic health, “che considera diversi elementi, tra cui per esempio la telemedicina, in cui si usano delle applicazioni web piuttosto che altri sistemi per fare una diagnosi remota, quindi non necessariamente tramite l’utilizzo di telefoni. Il mobile-health è primariamente concentrato sull’utilizzo della telefonia mobile per o la raccolta dati o ad attività legate alla promozione della salute e delle pratiche sanitarie”.

In particolare, il telefono cellulare, sebbene esistano numerose altre tecnologie utili nel settore sanitario, vanta una diffusione mondiale e permette in molti casi di arrivare anche laddove non c’è copertura della rete internet. Le sue applicazioni e i suoi possibili utilizzi in campo sanitario sono quindi molteplici e differenziati.

Si può spaziare in quest’ambito da applicazioni mobile che permettono di identificare a partire dai sintomi il tipo di malattia, per poi portare alla definizione o al suggerimento del trattamento necessario, quindi una sorta di guida, a sistemi di messaggistica che ricordano all’utente per esempio se ci sono determinate scadenze da rispettare o visite che devono essere fatte. L’m-health può essere usato anche per delle campagne di salute, promuovendo ad esempio messaggi di igiene o di cura della persona. Il mobile health può essere usato anche per segnalare o monitorare i corsi di epidemie, e quindi una combinazione tra la telefonia e applicazioni web, dove delle mappe accompagnano i messaggi di warning per identificare e localizzare determinate malattie”.

È evidente quindi che non solo gli obiettivi e gli strumenti utilizzati nella m-health sono diversi e molteplici, ma lo sono anche i destinatari di queste tecnologie. Applicazioni, sistemi di messaggistica e chiamate possono essere infatti indirizzati a medici e operatori sanitari come strumenti di formazione, di diagnosi, di raccolta dati, ma possono essere sfruttati anche direttamente dai pazienti, per accedere a informazioni, per consulti, per organizzare appuntamenti e visite. “Ci sono diversi livelli”, ci spiega Paola, “all’interno dello stesso progetto ci possono essere diversi moduli utilizzati dai medici locali, dai community health workers o direttamente dai pazienti. Gli strumenti vengono quindi tarati a seconda dell’utente finale che li utilizza”.

Le ICT in generale e i telefoni cellulare in particolare possono avere un impatto importante sulle attività sanitarie e possono rappresentare un valore aggiunto fondamentale in questo settore. Grazie al cellulare infatti è stato possibile, ad esempio, digitalizzare le informazioni, per cui “molti degli errori che si farebbero inserendo i dati in un form cartaceo vengono automaticamente eliminati o per lo meno controllati”. Da qui deriva anche una netta accelerazione della comunicazione delle informazioni, che, come racconta Paola, vengono salvate nel telefono e condivise non appena sia presente una connessione internet. Per contro, la connessione internet può rappresentare anche un limite in alcuni casi nell’utilizzo di applicaziondownloadi o semplicemente del web laddove la connessione sia scarsa o assente. Riemerge qui la necessità di scegliere gli strumenti dell’m-health considerando non solo gli utenti finali, ma anche gli apparecchi che essi hanno a disposizione. Tuttavia Paola Fava rassicura che guardando al futuro questi limiti sono destinati a ridursi o addirittura a scomparire, dal momento che i sistemi di connessione e il network che ne deriva crescono costantemente e sono destinati a migliorare. “Anche le statistiche per il 2020 confermano che il numero dei telefoni aumenterà in tutta l’Africa, i sistemi di connessione e la connessione stessa miglioreranno”. Un problema riscontrato sul campo invece è dato dal possesso di oggetti tecnologici, che può generare gelosie e disparità a livello locale, nonché perplessità a causa del contrasto tra questi strumenti innovativi e contesti territoriali in cui talvolta non si riesce a rispondere nemmeno ai bisogni primari. “Ovviamente si tratta per chi deve implementare un progetto del genere di valutare bene questi aspetti e cercare di creare un sistema in modo tale da prevenire e rispondere a queste problematiche”.

Un elemento che influisce fortemente sulla definizione degli obiettivi, del target e degli strumenti per l’intervento nel settore sanitario è il contesto d’azione; Paola infatti afferma: “ogni contesto va analizzato a sé e vanno prese delle misure adeguate affinché il progetto sia efficace”. Tuttavia, dal momento che molti paesi in via di sviluppo vivono le stesse situazioni problematiche e difficoltà simili, grazie all’utilizzo del telefono cellulare, tecnologia comune e diffusa, gli strumenti e le innovazioni della m-health sono spesso replicabili anche in paesi diversi. Molti degli strumenti sviluppati e utilizzati nell’ambito sanitario sono quindi facilmente adattabili; inoltre, “se ci si serve di un software libero, di un software condiviso, sicuramente anche a livello più strettamente tecnologico e tecnico risulta più facile fare degli adattamenti che consentano l’applicazione di progetti e strumenti in zone diverse”.

Gli esempi pratici di m-health sono infiniti, Paola durante il corso ne affronta diversi.

Uno fra tutti è RapidSMS,strumento per i sistemi di messaggistica volti alla raccolta dati, che permette la semplificazione dei flussi di lavoro e il coordinamento di gruppo utilizzando i telefoni cellulari e gli SMS. Il sistema nasce per monitorare lo stato nutrizionale dei bambini. Gli operatori sanitari inviavano un messaggio contenente un codice in cui le cifre rappresentavano l’età del bambino, il peso, l’altezza, la circonferenza brachiale. In questo modo, senza l’utilizzo di alcuna connessione, era possibile la raccolta dati e la creazione di una piattaforma online.

FrontlineSMS invece è un sistema di raccolta e condivisione di informazioni tramite SMS, che non richiede connessione internet. FrontlineSMS è un software aperto che permette agli utenti di connettere diversi dispositivi mobile a un computer tramite messaggi; tramite questo strumento è possibile mandare e ricevere SMS e contatti di gruppi e rispondere ai messaggi. Questo servizio è stato utilizzato per monitorare le elezioni politiche in diversi paesi (Filippine, Afghanistan e Nigeria); nel 2010 dopo il terremoto di Haiti ha favorito la raccolta di informazioni sulla situazione di emergenza nel Paese. Nei PVS è molto utilizzato nel settore sanitario, soprattutto nella raccolta dati e nell’assistenza ai pazienti.

Twine è una piattaforma online sviluppata da Gnucoop e UNHCR che favorisce e facilita la raccolta, l’archiviazione e la gestione dei dati dell’Agenzia e dei suoi partner sulla situazione sanitaria nei campi profughi a livello locale, regionale e globale.

Photo Credit:CreativeCommons

Tecnologie differenti per un’educazione che cambia

Anche il quarto modulo del corso ICT Innovations for Development si è da poco concluso. Il docente Alfred Assey Mukasa durante tre incontri ha cercato di identificare e valutare insieme ai partecipanti le sfide globali dell’educazione, analizzando il ruolo che le ICT svolgono nella risoluzione dei problemi e delle difficoltà che oggi si incontrano in quest’ambito.

Di Laura Andreoli

 

Secondo la Global Partnership for Education l’educazione oggi si trova ad affrontare 10 sfide fondamentali:

1. Mancanza di accesso;

2. Scarso investimento nell’educazione, solamente una parte dell’investimento totale nell’ambito umanitario;

3. Conflitti globali e disastri naturali, che incidono sull’educazione;

4. Deficit di finanziamento anche a livello nazionale;

5. Squilibrio di genere nell’accesso all’educazione;

6. Costo dell’educazione eccessivamente alto nei Paesi in via di sviluppo;

7. Scarsità di insegnanti;

8. Insufficienza di classi e infrastrutture per l’educazione;

9. Insegnanti non sufficientemente qualificati, che portano a scarsa alfabetizzazione anche dopo quattro anni di scuola;

10. Disabilità e bisogni speciali, che spesso impediscono l’accesso all’educazione, soprattutto nei PVS.

 

Ma le sfide non finiscono qui. Nel mondo globalizzato di oggi, infatti, il contenuto dell’educazione continua ad ampliarsi e a modificarsi, così come i suoi strumenti e le tecnologie a sua disposizione. Essa rischia di diventare quasi obsoleta di fronte a cambiamenti così profondi e così rapidi e di fronte a un eccesso di informazioni tipico dei giorni nostri.

Alfred ha spiegato che per vincere queste sfide è necessario lavorare per la creazione di un’educazione che sia:

• Trasformazionale

• Distruttiva/creativa

• Misurabile

• Modulare

• Personalizzata

• Per il cambiamento comportamentale.

 

L’educazione deve quindi essere in grado di mutare e di adattarsi ai cambiamenti che il mondo oggi affronta, superando i modelli obsoleti che non rispondono più alle necessità degli allievi. Deve costruirsi sulla persona come singolo individuo con le sue specificità e come membro di una società di cui fa parte e a cui deve dare il suo contributo. “La scuola è fatta per l’istruzione, ma l’educazione, quella deve formare le persone ad essere cittadini e cittadini del mondo” riassume esaustivamente il docente.

Gli obiettivi dell’educazione del ventunesimo secolo quindi sono vari e complessi:

1. Aiutare l’allievo ad essere in grado di crescere e di raggiungere il suo massimo sviluppo come essere umano; l’educazione deve sviluppare i talenti innati dell’individuo e fare in modo che possa contribuire al miglioramento del contesto in cui si trova.

2. Rendere l’allievo “una persona ben istruita” per il ventunesimo secolo; non si parla solo di scuola e di istruzione, ma di educare una persona alla cultura, all’esistenza globale, ai problemi globali, al problem solving, ad agire e prendere iniziative. Si tratta di formare la persona nella sua interezza, affinché voglia e possa migliore e apportare un contributo positivo nella società in cui vive.

3. Risvegliare l’interiorità dell’allievo, sviluppandone curiosità e creatività; l’insegnante non dovrebbe quindi essere veicolo di conoscenze e nozioni, ma dovrebbe invece insegnare allo studente come imparare, come essere curioso.

4. Rimuovere la paura dell’apprendimento; essa nasce spesso dalla grande quantità di informazioni e tecnologie disponibili e utilizzabili che disorientano l’allievo.

5. L’insegnante deve preparare l’allievo ad imparare, deve offrirgli gli strumenti e le indicazioni per poterlo fare.

 

Dopo questa prima analisi del docente e un confronto tra i partecipanti sulla situazione attuale dell’educazione, Alfred si è concentrato sull’approfondimento delle possibili risposte tecnologiche e innovative alle sfide che l’educazione si trova ad affrontare.
Le ICT infatti sono state utilizzate in diversi modi e in molte occasioni anche nell’ambito dell’educazione: un esempio semplice e immediato è l’utilizzo dei computer nelle scuole; le ormai note piattaforme online per le università; i learning spaces, le aule virtuali di ultima generazione; l’utilizzo di strumenti tecnologici come lo smartphone o il tablet in aula, per ridurre la distanza che gli studenti vivono tra la scuola e la vita di tutti i giorni, portando in classe oggetti che utilizzano quotidianamente.
Gli esempi delle nuove tecnologie e delle loro applicazioni nell’educazione sono innumerevoli e variano a seconda del contesto in cui vengono utilizzate e delle problematiche cui devono rispondere.

Il docente si è soffermato in particolare sui MOOC – Massive Open Online Courses. I corsi aperti online su larga scala sono finalizzati ad una partecipazione illimitata e i partecipanti vi hanno libero accesso tramite il web; l’audience può essere quindi particolarmente numeroso e geograficamente dislocato, avendo eliminato il limite della presenza in aula.MOOC_poster_mathplourde

Certamente i MOOC costituiscono un esempio di come il rapido sviluppo tecnologico apra le porte a nuove possibilità nell’educazione, che oggi sta cambiando completamente forma, abbandonando gli schemi dell’educazione tradizionale.
Tuttavia, dalla discussione in aula (virtuale) è emerso che il cambiamento tecnologico e l’utilizzo di nuove apparecchiature e di strumenti innovativi come i MOOC spesso costituiscono una caratteristica tipica dei Paesi sviluppati e che quindi rispondono alle sfide specifiche di questi contesti.
In contesti più poveri, al contrario, spesso l’educazione deve invece affrontare problematiche come l’impossibilità di accedere all’istruzione, le differenze di genere, la mancanza di infrastrutture, ecc.
Nei Paesi che vivono queste difficoltà anche le soluzioni sono differenti; alcuni partecipanti del corso hanno riportato alcune loro esperienze, raccontando che le tecnologie realmente utili in quei Paesi sono i learning centers, strutture in cui chi sono resi disponibili dei computer comunitari e una connessione internet che le persone possono utilizzare, ad esempio per seguire dei corsi o per ricercare informazioni, sistemi che permettano di seguire lezioni dallo smartphone, anche senza connessione internet, applicazioni che utilizzano gli sms per trasmettere informazioni e che le traducono lingua locale, in modo che tutti possano comprenderle.

Una soluzione innovativa che risponda alle difficoltà dei contesti più poveri è nata proprio in Africa, a Nairobi, Kenya. Il KIO KIT, ideato e creato dalla Brck, “può trasformare qualsiasi classe in una classe digitale in pochi minuti“. Esso offre ai bambini che vivono in Paesi poveri la possibilità di imparare e divertirsi, utilizzando dei tablet che funzionano anche senza connessione internet, grazie ad una piattaforma integrata con diverse sezioni e materie di studio. Il KIO KIT è “un esempio di ciò che succede quando l’Africa progetta una soluzione per le scuole africane“.

 

Medicina digitale: sempre più strategica per una sanità efficiente e capillare

Un database su cui gli operatori sanitari registrano le informazioni dei bambini che soffrono di malnutrizione per essere pronti alla prossima visita. Un sistema di informazioni che permette di conoscere in tempo reale la presenza o meno di un numero sufficiente di farmaci in una determinata area. Elettrocardiografi che permettono di conoscere le condizioni di pazienti in aree remote a cardiologi a distanza così che questi possano fornire le informazioni necessarie via SMS. Sono alcune delle applicazioni  di mobile health presentate da Paola Fava durante il modulo “ICT for Health” del corso ICT Innovations for Development organizzato da Ong 2.0 e giunto al sesto modulo. Continua a leggere

Mappare con le ICT in contesti d’emergenza: l’esempio del Nepal

Pochi giorni ancora e il corso “ICT innovations for Development” riprenderà. Il quarto modulo, “ICT for Education” è in partenza il 5 Gennaio. Nel frattempo, ecco gli esempi, gli strumenti e le buone pratiche affrontate durante il terzo modulo del corso, “ICT for Mapping and Emergencies“, guidato da Nama Budhatoki. In sintesi, ecco perché mappare è importante.

Di Federico Rivara

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