In viaggio tra piccoli agricoltori e ICT.

Autori

Giorgio Gotra è laureato in Sviluppo Ambiente e Cooperazione presso l’Università di Torino dopo aver conseguito il titolo triennale in Scienze Sociali per la Globalizzazione (all’Università di Milano).
Nel corso degli anni ha affiancato gli studi a numerosi stage ed esperienze all’estero, precisamente in area euromediterranea e su progetti di partecipazione giovanile ed inclusione sociale.
Appassionato di tecnologia, mobilità sostenibile ed interculturalità, non si lascia scappare occasioni di confronto e conoscenza che vedono protagonisti i giovani.
Attualmente collabora con ONG 2.0 e C.I.S.V. nel quadro del bando UNICOO per un progetto nel nord del Sénégal su ICT e gestione del territorio in ambito rurale

Cecilia Nessi è laureata in Sviluppo Ambiente e Cooperazione all’Università di Torino e all’IEP de Bordeaux (laurea binazionale). Sta svolgendo un dottorato in sociologia urbana presso l’Università di Milano Bicocca, ed è interessata al tema delle diversità e diseguaglianze in ambito urbano, alle discriminazioni – in particolare verso LGBTQI – e alla questione dei beni comuni. Attualmente collabora con ONG 2.0 e C.I.S.V. nel quadro del bando UNICOO per un progetto nel nord del Sénégal su ICT e gestione del territorio in ambito rurale.

Diario del Senegal, pensieri sulla via del ritorno

Sono fermo in aeroporto. Avvolto da mille pensieri vengo riportato alla realtà “grazie” alla coppia di signori spagnoli seduta di fianco a me: non so come, ma probabilmente stanno facendo a gara di chi ha comprato i souvenir più trash.
Cerco di distrarmi, mentre il grande orologio davanti a noi dice che tra meno di un’ora inizia l’imbarco.

Di Giorgio Gotra

L’aeroporto di Dakar, quello che tra poco verrà smantellato e trasferito fuori città, non offre particolari attrazioni o svaghi, se non la gente stessa.

Ripenso così alle cose fatte poche ore prima: il tragitto in taxi sembrava non finire mai, il traffico della capitale, il canto dei muazzin, i venditori ambulanti e gli odori di cibo sembravano mi volessero tenere lì. Ed io ad occhi chiusi pensavo a tutte le persone incontrate sulla mia strada fino a quel momento. Le ultime settimane a Dakar sono state completamente diverse dalla routine di Saint Louis, ed il ritorno nella capitale ha visto un lavoro quasi esclusivamente dedicato a interviste e incontri per proseguire nella nostra ricerca centrata sulla question foncier.

Grazie ad alcuni contatti forniti dall’università, dal CISV e da ex studenti che già si erano occupati della tematica, siamo riusciti ad approfondire meglio la controversa questione della riforma del foncier, sui rapporti tra i soggetti implicati che determinano il fragile equilibrio attuale e sui possibili sviluppi e ricadute che un cambiamento giuridico potrebbe innescare.

Tra i tanti incontri avuti in circa 3 settimane (UTL cooperazione italiana, prof. universitari, presidente del catasto cittadino, etc…) uno dei più significativi è stato quello alla FAO: presso la sede nazionale dell’organizzazione abbiamo incontrato Mr. Kader, esperto giuridico sulla questione foncier e sull’agricoltura, il quale dopo anni trascorsi a lavorare sul campo a Saint Louis e Casamance ha intrapreso la carriera UN. Oltre all’estrema disponibilità mostrataci nel rispondere a tutte le nostre domande (e farcene qualcuna per metterci alla prova) mi ha colpito la passione sull’argomento trattato: già solo dagli occhi si capiva quanto fosse cara la questione al nostro interlocutore. Il fatto che sia stato in grado di fornirci una panoramica dettagliata e critica (nonostante il ruolo ricoperto) è stato un buon fattore motivante per la nostra ricerca.

Un’altra cosa degna di nota (ma forse solo per il sottoscritto e collega (Cecilia Nessi, ndr) è stata la possibilità di svolgere l’intervista in un clima quasi informale e soprattutto a una temperatura accettabile, ovvero sopra i 15 gradi. Non sono impazzito, anzi. In quasi tutti gli uffici amministrativi i condizionatori (attivati spesso con ventilatori al seguito) erano impostati su una temperatura di 13/14 gradi, dimenticandosi della questione ambientale e del risparmio energetico: per questo (nel caso fossero previsti incontri con autorità locali o nazionali) consiglio a chi dovesse fare esperienze simili alla mia, di portarsi sempre dietro un maglioncino, anche se il termometro esterno dovesse segnare i 40 gradi.

Tra un pensiero e l’altro, mi ritrovo all’inizio dell’imbarco e documenti alla mano mi metto pazientemente in fila.
Lì ripenso al tassista (ed alla sua pazienza in mezzo al traffico). Una volta aiutato a prendere gli zaini dalla vettura mi porse la mano sinistra e io quasi imbarazzato cercai di porgere l’altra mano: “Lo so che la sinistra per salutarsi è ‘vietata’, ma qui da noi in Senegal quando qualcuno parte, lo si saluta con la mano sinistra per far si che ritorni” mi disse. “Ah, ok”, risposi. “Non vuoi tornare?”. “Ma certo, è che essendo mancino mi hanno sempre guardato storto per aver cercato di salutare con la sinistra”. Un sorriso ed il taxi giallo era già sparito nel traffico.

Cinture allacciate e dimostrazioni di sicurezza terminate arriva l’avviso che devo spegnere il tablet.
Mentre cerco di chiudere gli occhi sento la voce del vicino: “Senti scusa, ma io e te non ci siamo già visti? Non eri per caso a Saint Louis nei mesi scorsi?”.

Ma prima della fine… Un piccolo souvenir: una foto della prima (e unica pioggia)!

La prima e unica pioggia in Senegal

Photocredits: Giorgio Gotra

Diario dal Senegal, il tempo di imparare all’interno dei ritmi senegalesi

Il mese di Ramadan è iniziato ed il gran caldo pure. Esisteranno anche qui gli esperti televisivi che che si divertono a soprannominare le ondate di caldo con nomi mitologici? No, perchè qui il caldo c’è sempre, non è qualcosa di straordinario. Per questo quando dico che “lavoro” a Ross Bethio, la gente prima spalanca gli occhi, poi pensa che stia scherzando. Solo quando capiscono che sono serio ti danno una pacca sulla spalla, ti sorridono e ti fanno gli auguri (per il caldo).

A che punto siamo col GIS? Dopo aver organizzato tutti i dati raccolti col GPS e creato i primi layer indispensabili al progetto, è iniziata la fase della formazione: 4 incontri all’ASESCAW sul GIS e la gestione di dati georeferenziati. Rompere il ghiaccio è stato abbastanza semplice e il gruppetto di circa 10 persone che sta prendendo parte al corso sono motivate e molto curiose.

Siamo partiti con dei semplici brainstorming (cartellone e pennarello, deformazione professionale scout) in riferimento a bisogni ed aspettative circa la gestione di dati georiferiti e subito dopo ho mostrato loro usi e potenzialità di tale risorse. L’intento è quello di arrivare ad un prodotto finale condiviso, partecipato ed utile sia per l’ASESCAW che per le persone che interagiscono con l’organizzazione, ovvero i propri beneficiari.

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Uno dei principali intenti dei quattro incontri previsti è quello di evitare che tutta la piattaforma (GIS) costruita in questi due mesi diventi un qualcosa di statico ed inutilizzabile già nelle prossime settimane, per mancanza di conoscenze e di praticità nell’utilizzo e nella gestione nel suo insieme. Per questo motivo abbiamo coinvolto un po’ tutti in ufficio, ed utilizzando un software open source ed i dati da me raccolti ed elaborati siamo già in grado di gestire piccoli progetti di cartografia e di creare mappe tematiche personalizzate che rispondono a pieno ai bisogni dell’ASESCAW.

Il fattore tempo (più precisamente la questione orari) è un tema molto sensibile e per il quale molti amici expat ancora mi prendono in giro: per il corso infatti avevo creato una locandina con tanto di orario d’inizio e di fine attività ma ho capito la sua inutilità al primo incontro, quando siamo partiti con due ore di ritardo per aspettare i ritardatari (più della metà…) ed abbiamo finito ad orario di cena. Io di certo non ho la puntualità svizzera, ma oltre il quarto d’ora accademico normalmente non sforo: ecco, qui impari ad essere paziente, aspettare e..”Inshallah”.

Nel corso dei primi tre incontri abbiamo svolto dei piccoli esercizi e simulazioni in aula, mentre durante l’ultimo pomeriggio della formazione (per il quale è prevista l’uscita sul campo col GPS e la creazione di layer vettoriali partendo dai waypoints registrati) faremo una rapida verifica per valutare la potenzialità del software ed i suoi sviluppi all’interno del progetto PAMIR, una volta che tutti/e abbiano sperimentato e sviluppato le proprie mappe.

Diario dal Senegal, il diritto alla terra e le ICT: sfida tecnica o politica?

Enjeu è una parola difficilmente traducibile dal francese. Indica una questione, una sfida, una situazione controversa.
E per il Senegal, il fondiario è certamente un enjeu majeur, come del resto per molti paesi africani. La terra infatti è una risorsa primaria fondamentale per la sopravvivenza di ogni Stato ed ogni economia, insieme al capitale e alla forza lavoro. La disponibilità di terre e la loro ubicazione rispetto alle risorse condiziona in maniera immediata la povertà o la ricchezza – quando non direttamente la sopravvivenza – di una famiglia o di un intero villaggio. Inoltre, “la terra non è soltanto fondamentale per la sicurezza alimentare, ma è anche profondamente connessa a importanti aspetti della vita sociale quotidiana, a seconda dell’uso e del significato che gli abitanti attribuiscono ad un determinato territorio”, come sostenuto da Cirillo e Yade. Diritto alla terra e diritto al cibo: l’enjeu di accesso, gestione e sicurezza della terra assume quindi un significato economico tanto quanto politico e sociale.

Il Senegal conta circa 13 milioni e mezzo di abitanti – secondo RGPHAE 2013 – distribuiti su una superficie di oltre 196 chilometri quadrati. Il paese presenta una densità demografica relativamente bassa, anche perché – va detto –  la sabbia regna incontrastata in tutto il paese e rende il cuore del Senegal quasi disabitato. Tuttavia la popolazione è di giovani e giovanissimi: l’età media è 22,7 anni. Le zone maggiormente abitate sono le coste, a ovest; le zone fertili tropicali a Sud e il corso del fiume Sénégal, a nord, al confine con la Mauritania e il Mali.

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Dal 1964 la terra senegalese appartiene al Domaine National, ossia a tutta la nazione. Dunque, lo Stato amministra e da in gestione la terra tramite delle affectations – attribuzioni – , cioè la possibilità di far uso di un dato territorio senza averne proprietà nell’ottica di una “messa in valore”. E secondo la legge, se questo non dovesse accadere tale diritto può essere revocato.

Grazie al decentramento – Code des Collectivités Locales -, l’attribuzione delle terre avviene a livello locale tramite il Consiglio Rurale, ma la terra rimane legalmente alla nazione intera, il che significa che “gli occupanti tradizionali della quasi totalità delle terre soggette ad acquisizione non hanno documenti formali scritti che gli permettano di far valere i loro diritti contro i nuovi pretendenti” , sempre secondo la ricerca di Cirillo e Yade.

Ciò che non è rilevato del Domaine National, appartiene al Domaine de l’Etat o al Domaine Privé. E’ possibile avviare una procedura per trasformare un’attribuzione in un titolo di proprietà fondiaria, che comporta un passaggio delle terre dal Domaine National al Domaine Privé, paassando per il Domaine de l’Etat.

Questo sistema di diritto positivo – della colonizzazione prima e dell’indipendenza poi – coesiste con un sistema già esistente di regolazione dell’accesso alla terra e di gestione dei conflitti. Si tratta di un “pluralismo giuridico”, come l’ha definito Delville, che crea un’incertezza “grazie alla quale gli attori più potenti sono in grado di far valere i loro interessi e le loro rivendicazioni sulla terra contro i diritti degli abitanti”, secondo quanto riportato da HLPE . Pur riconoscendo il valore egualitario di accesso alla terra della riforma del 1964, alcuni attori, come ad esempio la Commission Nationale de Reforme Foncière, si sono mobilitati e richiedono una riforma in grado di rispondere anche ai bisogni di sicurezza o riconoscimento della proprietà, in particolar modo contro la tendenza attuale e diffusa in Africa, delle gradi acquisizioni straniere, con particolare attenzione al fenomeno del Land Grabbing.

Dal punto di vista tecnico, questo enjeu chiama in causa le ICTs, grazie al fatto di essere strumenti utili nel raccogliere e registrare informazioni oggettive rispetto alle terre concesse, attribuite e in uso. In particolare, abbiamo notato l’interesse diffuso per i sistemi di geolocalizazione – GIS e GPS – considerato uno strumento decisivo per risolvere contenziosi sulle terre. Questi sono implementati sia da ONG che lavorano con progetti sul territorio, sia da Bureau d’Etudes privati, sia da enti statali come la SAED, la società nazionale che si occupa della gestione del territorio e delle acque lungo la valle del fiume Senegal. Da un punto di vista centralizzato, invece, i dati e la tecnologia GIS interessa al catasto, che è in via di modernizzazione. Infatti nel 2004, il Fondo Africano di Sviluppo ha finanziato 3,25 milioni di euro tramite il progetto PAMOCA – Projet d’Appui à la Modernisation di Cadastre. Ma secondo una prima analisi, questo processo sembra lontano dall’essersi concluso.

Sollecitata dall’alto, sia dallo Stato sia da organismi internazionali, la burocratizzazione – in senso weberiano – sembra faticosamente mettersi in atto, come un passaggio inevitabile e necessario verso lo “sviluppo” e verso l’allargamento dell’assiette, per la riscossione delle imposte. Ma quali attori beneficiano della misurazione “oggettiva” delle parcelle di terra? Quali detengono le competenze tecniche necessarie per implementare il sistema? E poi, esiste un collegamento tra l’arena di discussione politica (che sta rinegoziando le regole del gioco) e gli uffici pubblici e privati che stanno sviluppando il sistema catastale?

Queste sono le domande che guidano la nostra ricerca. Gli strumenti invece saranno interviste, osservazione partecipante, analisi di documenti, ecc.

Vi aggiorneremo sui progressi, a mano a mano che il puzzle si compone.

Stay tuned!

Photocredits: Cecilia Nessi

Diario dal Senegal: un bilancio dopo tre settimane di lavoro

Nonostante abbia imparato la strada per arrivare al distributore di benzina, punto di ritrovo solito con Mbodj e Matteo, son sempre di fretta e non ho mai tempo per prepararmi il caffè in Moka. Marie, la simpaticissima signora senegalese presso cui sono alloggiato, mi “rimprovera” sempre perché non trovo il tempo di fare colazione, e comincia a raccontarmi di tutti quei conoscenti che saltando le petit dej hanno passato giornate infernali e sono state vittime di cose incredibili: insomma, qui tutti vogliono farti mangiare.

Ogni mattina, arrivati a Ross Bethio presso gli uffici ASESCAW, inizia un nostro piccolo rito prima di partire per la missione giornaliera: mini-riunione del team con l’interprete e la guida, preparazione del foglio delle autorizzazioni per visitare le microimprese (ed eventuali locali pubblici), annotazione della nuova cifra segnata dal contachilometri ed immancabile colazione con caffè pepato (non conta come colazione ma lo faccio per avere la coscienza a posto con Marie).

Le prime due settimane abbiamo concentrato il lavoro nella regione nord del fiume Senegal, caratterizzata dalla cultura del riso ed in alcuni casi della cipolla: la maggior parte delle microimprese sono a gestione famigliare e molte di queste contano veramente pochi addetti. La terza settimana invece siamo stati più nell’entroterra arido, caratterizzato da allevamenti (ovini a bovini) ed attività di trasformazione e commercializzazione dei prodotti.

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Per ogni micro impresa visitata abbiamo quindi registrato col GPS le coordinate della sede (siege), gli appezzamenti di terra coinvolti nel progetto promosso dall’ASESCAW e raccolto alcune informazioni aggiuntive circa bisogni o criticità incontrate nel corso dei mesi. Punti di interesse per la ricerca sono stati anche i mercati (settimanali o giornalieri), le istituzioni finanziarie (piccole banche e istituti di microcredito) e i magazzini (di proprietà collettiva o delle singole MER). A nostra disposizione vi era solo il recapito del responsabile della MER ed il suo nome: a noi poi il compito di trovarlo e di cercare tutti gli altri elementi sopracitati.

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Arrivati al termine delle prime tre settimane di lavoro è tempo di fare un minimo di debriefing, fermarsi un attimo e pensare che: Yatma ha guidato per quasi 1500 km, Babacar mi ha aiutato nelle traduzioni wolof-francese con più di un centinaio di persone (raccontandomi inoltre la storia del Senegal, tutti i campionati di calcio popolare, la sua vita…) e io ho registrato più di 300 waypoints col GPS, utili per poi creare una piattaforma GIS con tutte le informazioni utili ad AESCAW. Temperatura minima 28°, temperatura massima 46°.
Devo riconoscere a Yatma la bravura nel non perdersi mai, nonostante le strade senegalesi non abbiamo nessun tipo d’indicazione e spesso ci siamo ritrovati in mezzo a distese desertiche, e a Babacar la pazienza nello spiegare ogni volta il motivo delle visite e le attività di geolocalizzazione. A me invece va il premio nel saltare i piccoli fossi artificiali creati per irrigare i campi di riso (solo una volta non ci ho preso nel saltare e sono finito metà dentro) e nell’avere bevuto latte fresco di capra (con le conseguenze del caso).

Il lavoro delle prossime settimane sarà quello di trasferire tutti gli elementi su un software di GIS open source e aggiungere altre informazioni, grazie ai dati già in possesso dell’ASESCAW raccolti nei mesi precedenti al mio arrivo: così verrà creato un database geo referenziato utile agli operatori dell’organizzazione nella gestione delle informazioni del progetto. Una volta raccolti tutti i dati e avviato il progetto sul software inizieremo una formazione ad hoc agli operatori locali, i quali saranno così in grado di gestire gli attributi ed apportare modifiche ogni qual volta si presenti il bisogno.

Piccolo spoiler di una prova col software per quanto riguarda il trasferimento di dati e geolocalizzazione sedi e campi delle MER. Per gli altri elementi vi faccio aspettare i prossimi post 😉

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Diario dal Senegal: il primo giorno di lavoro

Ore 5.08 (GMT 0). Mi sveglio ed ancora mezzo assonnato cerco di preparare la moka. Da Marie (dove sono alloggiato) c’è una simpatica cucina ed i primi ospiti cominciano a svegliarsi per la preghiera mattutina. Le continue porte sbattute e i richiami ai riti religiosi già dalle prime ore diventeranno presto una routine dalla quale è difficile discostarsi. L’appuntamento con Matteo è alle 8.00 al “vicino” distributore di benzina. Di solito il primo giorno di lavoro mi succede sempre qualcosa e anche questa volta non mi sono fatto sfuggire l’occasione: perso la strada mi hanno recuperato dopo 45 minuti che vagavo alla ricerca del punto d’incontro. Non male per uno che deve geomappare e lavorare con la cartografia, eh? Ma nel tragitto verso l’ufficio nessuno è sembrato particolarmente “preso male” per il mio ritardo.

L’arrivo all’ASESCAW è emozionante: dal primo all’ultimo mi hanno accolto, salutato e dato il benvenuto. Pochi minuti dopo ho conosciuto i due ragazzi del team che mi avrebbero accompagnato nel tour di geo mappatura delle microimprese, indispensabili come interpreti ed appoggio logistico. Orario di partenza previsto: 10.00. Orario di partenza effettivo 12.00.

Selfie di rito pre-partenza e siamo in direzione della prima microimpresa rurale. La procedura è abbastanza chiara: avvisare il proprietario del nostro arrivo, presentarci, spiegare il perché della geomappatura e visitare la sede ed eventualmente i luoghi dove vengono svolte le attività.

Una serie di dati sono già stati raccolti nel corso degli ultimi due anni, quindi non resta che creare sul software geografico un archivio delle 60 microimprese aderenti all’organizzazione.
Essendo già tardi (o essendoci già più di 40 gradi) abbiamo dovuto diminuire le MER per ovvie ragioni di tempo ma ciò ha permesso comunque di incontrare quattro realtà famigliari attive nel campo del riso e dell’allevamento caprino, molto disponibili al punto che una di queste ci ha fortemente consigliato di rimanere a mangiare da loro.

Ecco, il pranzo così come si è svolto non me lo sarei mai aspettato. Un unico piatto enorme di riso bianco. Arriva una pentola con pesce, patate e carote, riversata quasi subito sulla portata principale. Mentre aspettavo la forchetta scatta il buon appetito e tutti i commensali allungano le mani verso il riso. «Prima volta senza posate vero?». La mia incapacità ha fatto subito scattare qualcosa nel padrone di casa, il quale molto gentilmente dopo pochi secondi sorridendo mi offre un cucchiaio. A conclusione del pasto l’immancabile the, con tutto il rituale di creazione della spumina che lo accompagna.
Salutati i nostri amici abbiamo poi continuato il nostro tour, GPS alla mano e direzione fiume Senegal. In un villaggio abbastanza sperduto ci aspettava l’ultima micro impresa, e qui la parola “micro” è proprio azzeccata dato che il bestiame vantava meno di una decina di ovini e la forza lavoro era chiaramente di tipo familiare.

Ritorno in jeep a Saint Louis, con sabbia ovunque e naso già spelato dal sole. «Come ti senti? Bene, solo un po’ stanchino per oggi. Ottimo, prendi il ritmo e continua così perché te ne restano 56 da girare per le prossime tre settimane».

Inizio del tour alla grande dunque, dopo aver macinato quasi 100 km, conosciuto le storie dei primi contadini ed avere già sulla pelle i segni dell’abbronzatura (forse è ancora scottatura) “del cooperante”.

Diario dal Senegal, tra ICT e agricoltura. L’arrivo a Saint Louis

“Viaggerete comodi, vai tranquillo”. Già, tempo 10 minuti e la jeep viene caricata con tutto il possibile ed immaginabile.
Diamo anche un passaggio a 3 donne ed una loro figlia, ovviamente cariche di bagagli e con tanto cibo per il lungo viaggio. 4 ore on the road e finalmente si intravede Saint Louis. Appena arrivato mi accoglie Matteo, cooperante CISV in Senegal da 10 mesi e con una grandissima esperienza alle spalle: tempo una birra ed è come ritrovarsi con un vecchio amico dopo anni senza vedersi. Mi introduce il progetto per il quale è coordinatore e mi prepara “psicologicamente” al lunedì, giorno previsto per il mio inizio ufficiale a Ross Bethio, piccolo centro a 40 km da Saint Louis presso il quale ha sede ASESCAW. Questa realtà, per la quale collaborerò nelle prossime settimane e che da anni ha come obiettivo  lo sviluppo delle micro imprese rurali nella regione (al confine con la Mauritania ed attraversata dal fiume Senegal) costituirà il campo base per le attività di lavoro.
Nelle giorni a venire sarò dunque impegnato nel geo localizzare una sessantina di micro imprese rurali e creare delle mappe GIS con tutte le informazioni raccolte nei mesi precedenti dall’ASESCAW circa le microimprese partner… il tutto per facilitare la gestione e la cooperazione tra la sede dove viene gestito il progetto PAMIR (programma di appoggio alle micro imprese rurali) ed i soggetti aderenti.
Le conversazioni procedono ma la cucina nella quale siamo stati invitati a mangiare sta per chiudere,  vediamo probabilmente gli ultimi pescatori dell’isola tornare alle proprie abitazioni e anche noi ci avviamo verso casa. Le case abbandonate dell’isola, le strade deserte e le poche insegne illuminate danno un senso di malinconia, verso un passato forse ricco, colorato e festaiolo. “Turisti, che ci fate a quest’ora? L’isola dorme, sono 15 anni che dorme”.

 

Diario dal Senegal, tra ICT e agricoltura. Dakar, primo giorno.

Atterrato. 20.45 locali. Dov’è Koulibaly? Dopo 12 ore in viaggio la stanchezza si è già fatta sentire e la coda chilometrica per controllo documenti e sicurezza sanitaria non sono d’aiuto. Dopo l’ennesimo controllo passaporto durato 20 minuti (ho un passaporto sfigato, o sono io che ho una brutta faccia) e con tre zaini in spalla eccomi fuori dall’aeroporto. Una distesa di centinaia di persone sorreggono un cartello con nomi in tutte le lingue. Dov’è Giorgio?
Toubab, taxi? Phone? Hotel? Ma ecco che nella folla, avanzando diversi metri trovo lo sguardo di Koulibaly, ed una stretta di mano mi dà presto la forza di caricare gli zaini in macchina e partire verso un letto, una doccia e un caffè lungo, arabo, aromatizzato al cardamomo (portato da casa).
Tempo delle presentazioni, due battute sull’Italia, sul calcio e sulla politica del Paese e son già “sotto” la zanzariera a dormire. O si dice “dentro”?
Il risveglio è alle 5, dato dal muazzin e dai minareti a fianco. Un paio d’ore e mi ritrovo con Koulibaly, non più vestito con abiti locali ma in giacca e cravatta. Vuoi la stanchezza ed il fuso orario (di due ore, ma è sempre una buona scusa) non l’avevo subito riconosciuto. Mi faccio raccontare il suo lavoro ed il suo ruolo all’interno della rete di micro imprese rurali e mi introduce il progetto al quale lavorerò nei prossimi 3 mesi. “Come primo giorno può andare, vai e goditi Dakar”. A piedi fino all’oceano, abbellito da decine di piroghe, a piedi anche il ritorno, tra viette colorate e merci d’ogni tipo provenienti da ogni dove.
L’indomani sarà la volta di Saint Louis, dove incontrerò Matteo, cooperante CISV e coordinatore del progetto al quale collaborerò. Bon, Dakar ci si rivede tra una quarantina di giorni 😉