9 lezioni “Edu-Tech” imparate durante la risposta digitale al Covid-19

Di seguito un interessante articolo pubblicato sul sito https://www.ictworks.org/che passa in rassegna i più importanti insegnamenti del periodo della Pandemia in termini di utilizzo delle tecnologie per l’educazione. EduTech è un hub di ricerca internazionale che lavora per trovare soluzioni condivise per un corretto ed efficace utilizzo delle nuove tecnologie in ambito educativo. Quello che segue è una sintesi dei consigli che l’Help Desk dell’hub ha fornito agli operatori della Banca Mondiale o ai consulenti per l’istruzione del Dipartimento inglese per lo sviluppo internazionale (DFID) durante il periodo di lockdown.

NB: l’Help Desk si occupa di rispondere alle domande esclusivamente relative a 70 paesi a medio-basso reddito parte di una lista precedentemente stabilita.

In Italia si è parlato tanto di DAD negli ultimi mesi, e se ne riparla adesso che le scuole hanno riaperto con mille interrogativi e paure. Abbiamo pensato potesse essere interessante mostrare quali siano state le problematiche e le soluzioni sperimentate in altre aree del mondo. Segnaliamo infine il nostro report dedicato a tematiche simili ed intitolato Covid ed educazione in emergenza.

L’articolo originale si trova al seguente link ed è intitolato “9 EduTech Lessons Learned During COVID-19 Digital Response”. Di seguito la traduzione in italiano.

“Dall’inizio del periodo del Coronavirus, il team dell’helpdesk dell’hub EduTech si è occupato di rispondere alle richieste dei consulenti DFID e della Banca mondiale in 15 paesi in Africa, Asia e Medio Oriente per esaminare e fornire input su vari documenti relativi alla  risposta digitale alla crisi da COVID-19. Di seguito condividiamo un elenco di nove insegnamenti utili.

La maggior parte di questi insegnamenti è un risultato che dipende direttamente dallo specifico contesto creato dal Coronavirus; ma la loro rilevanza va aldilà della sola risposta alla pandemia. Si tratta di buone idee in ambito di tecnologie educative che qualsiasi decisore dovrebbe prendere in considerazione, in qualsiasi momento.

  • Utilizzare ciò che già esiste

Nel 2013, la Banca Mondiale ha pubblicato un post: “ la migliore tecnologia è quella che già possiedi, sai come usare e puoi permetterti.” Sagge parole. La nostra ricerca suggerisce che i programmi che utilizzano tecnologie educative siano effettivamente più efficaci quando dedicano del tempo a considerare le infrastrutture digitali già esistenti e come queste potrebbero essere utilizzate meglio. 

Dati riguardanti fenomeni quali la copertura di Internet, il possesso di telefoni cellulari,  radio e i contenuti digitali già esistenti sono utili, soprattutto se si concentrano sull’accessibilità di questi strumenti da parte dei gruppi marginalizzati (ad esempio le studentesse). A tal proposito, potete trovare maggiori informazioni consultando la nostra ricerca riguardante la creazione di infrastrutture TIC durante una pandemia.

  • Possedere un device non è abbastanza per imparare

Possedere un dispositivo digitale non significa che quest’ultimo sia utilizzato nel modo giusto, e non significa che il bambino stia imparando davvero. I dati di Uwezo dal Kenya mostrano che mentre il 62% delle famiglie keniote possiede una radio, solo il 19% circa degli studenti kenioti si sintonizza sulle “lezioni radio”.

Una minore percentuale di famiglie kenyote (45%) possiede una televisione, ma solo il 42% degli studenti kenyoti si sintonizzano su canali dedicati a programmi educativi. E’ utile per i decisori raccogliere dati sull’utilizzo (o il non-utilizzo) dei dispositivi da parte degli studenti e le loro famiglie.

Questo tipo di dati dovrebbe essere raccolto continuamente, con l’obiettivo di informare e migliorare i progetti educativi. 

  • A volte la carta funziona ancora molto bene

In paesi in cui le infrastrutture TIC sono molto limitate, il materiale cartaceo è ancora un ottimo metodo per raggiungere gli studenti più marginalizzati. Abbiamo visto che parecchi programmi di EdTech sono stati costruiti partendo da questo assunto di base. 

Ad esempio, un progetto prevedeva che gli studenti di consegnassero i compiti cartacei svolti a casa in luogo prestabilito affinché gli insegnanti della comunità potessero in seguito passare a prenderli e correggerli. Ci è piaciuta molto questa idea come soluzione per mantenere coinvolti sia gli studenti che gli insegnanti. Mancava soltanto l’ultimo step per rendere l’interazione totalmente riuscita: ovvero, la chiusura del ciclo con la riconsegna dei compiti agli alunni con feedback e correzioni spiegate dell’insegnante. 

  • L’apprendimento a distanza necessita di un approccio pedagogico

Come abbiamo scritto in un paper recentemente pubblicato, buone pratiche pedagogiche sono cruciali per incoraggiare gli studenti ad impegnarsi nell’apprendimento anche quando le scuole sono chiuse. Questo significa per esempio creare delle lezioni ben strutturate ed interattive con controlli frequenti per verificare la comprensione e/o il bisogno di incontri di approfondimento individualizzati. Invece, si è rivelato fin troppo comune che gli insegnanti creassero contenuti video o audio in cui semplicemente leggevano da un libro di testo.

Purtroppo, sappiamo che quest’ultimo approccio non sortisce alcun buon risultato. Al contrario, approfondire del materiale didattico digitale già disponibile e di alta qualità può accrescere la possibilità di accesso degli studenti a percorsi pedagogici di alto livello per due motivi. Primo, è più probabile che in questo modo gli studenti siano esposti ad una pedagogia che altrimenti sperimenterebbero difficilmente in classe; secondo, che gli insegnanti possono dedicarsi maggiormente alla loro “presenza” e l’incoraggiamento degli studenti, piuttosto che alla creazione di contenuti originali. A proposito di questo: 

  • Curare contenuti già esistenti è meglio che crearne di nuovi

Generare nuovi contenuti originali prende molto tempo ed è un processo costoso. Consigliamo invece di investire quel tempo nella ricerca di contenuti già esistenti, da curare sulla base degli specifici obiettivi di apprendimento. 

Raggruppare i contenuti in base ad obiettivi preposti, senza cercare o forzare una corrispondenza con i programmi scolastici risulta essere un approccio più efficace e adatto per rispondere alle esigenze dello studente. La “Guida per i principi di educazione accelerata” è un utile punto di partenza a tal proposito.

  • La fornitura di apparecchi informatici (computer, tablet e quant’altro) dev’essere mirata e supportata

Una fornitura indiscriminata di dispositivi elettronici non funziona, ma quando questi ultimi sono distribuiti a gruppi specifici possono essere d’aiuto. Per esempio, abbiamo assistito a delle proposte di fornitura di radio funzionanti attraverso pannelli solari o di altri dispositivi con contenuti già pre-scaricati da far arrivare agli studenti in situazioni di marginalità. Questo può funzionare.

Tuttavia, coloro che si occupano di definire i programmi dovrebbero pensare maggiormente a cosa potrebbe servire oltre ai dispositivi: ad esempio, un supporto all’alfabetizzazione digitale per i bambini e per coloro che seguono il loro apprendimento o una guida su come mantenere i dispositivi. Le campagne di comunicazione aiutano a rendere le famiglie consapevoli degli strumenti utilizzati nella didattica a distanza e mantengono gli studenti, i genitori e gli operatori sanitari in sintonia rispetto alle raccomandazioni per la salvaguardia della salute.

  • Coinvolgere i genitori e “gli insegnanti a casa”

Un recente studio dell’Istituto di Governance e Sviluppo BRAC sottolinea l’importante ruolo che i genitori e i fratelli maggiori giocano nell’apprendimento “remoto”. Per i bambini che vivono in zone remote del Bangladesh, il 35% ha ricevuto un supporto da un fratello o un parente e il 24% ha ricevuto aiuto dalla madre mentre studiava a casa. 

La conclusione è chiara: proprio come ci servono canali differenti per raggiungere gli studenti, ci servono anche molti metodi diversi per raggiungere i genitori. Le opzioni a bassa tecnologia o non-tecnologiche devono sempre e comunque essere prese in considerazione. 

  • Fare attenzione agli incentivi e l’affidabilità

Indipendentemente da quanto siano animati da buone intenzioni, gli incentivi che incoraggiano la frequenza e l’impegno di studenti e docenti possono delle volte essere controproducenti. A volte possono peggiorare problemi pre-esistenti di equità.

Ciò è più che mai evidente durante una pandemia globale, quando i bambini e le famiglie affrontano situazioni stressanti. Gli studenti non vengono aiutati dai voti dei compiti senza un feedback costruttivo da parte degli insegnanti. A loro volta gli insegnanti. se residenti in alcune località rurali, potrebbero avere un accesso limitato alla tecnologia e all’elettricità e quindi non essere in grado di partecipare ad attività di sviluppo professionale virtuale non per colpa loro.

Occorre dunque considerare attentamente le possibili conseguenze negative di un programma basato sugli incentivi prima di implementarlo.

  • Rimani agile

È bene fare piani dettagliati e specifici, ma questi ultimi dovrebbero anche includere una serie di momenti di “riflessione e adattamento” in cui non solo è accettato, ma è previsto che alcuni elementi possano essere modificati in base a ciò che può accadere di imprevisto. Piuttosto che pianificare in anticipo un anno di contenuti educativi, a volte è più efficace lavorare a fondo sullo svolgimento di alcune settimane; in base ai risultati, si potranno utilizzare gli insegnamenti utili per pianificare i momenti futuri.

Di Rachel Chuang, Tom Kaye, Sslim Koomar, Chris McBurnie e Caitlin Moss Coflan. Originariamente pubblicato sul sito di EdTech: Nine takeaways from our reviews of COVID-19 education responses

Salva il mondo giocando ai videogiochi

Approda sul mercato Gamindo: la prima piattaforma online che ti permette di donare in beneficenza giocando ai videogiochi.  

Di Anna Filippucci

“Salva il mondo giocando ai videogiochi”. Questo il claim di Gamindo, una app gratuita ideata e realizzata da un team di giovanissimi under 30 italiani, creata con l’obiettivo doppio di promuovere aziende e finanziare enti e associazioni no-profit. Come?

Il meccanismo è piuttosto semplice: Gamindo crea delle convenzioni con le aziende, le quali vogliono fare un’attività di responsabilità sociale d’impresa e promuoversi in maniera innovativa (in questo caso, attraverso un cosiddetto advergame); sono le aziende stesse a commissionare il videogioco personalizzato e stabilire il budget da donare in beneficenza. Gli utenti, giocando ai videogiochi vincono dei gettoni virtuali (gemme) che corrispondono ad un importo reale in denaro (lo stesso denaro messo a disposizione dalle aziende). Gli utenti, una volta accumulate delle gemme, possono scegliere a quale ente/progetto donarle

La circolarità del processo fa sì che sia un win-win-win per tutti: aziende, enti no-profit e utenti dei giochi.

La trasparenza è totale: sul sito infatti si possono trovare tutti i progetti e le organizzazioni finanziate attraverso la app, con relativo importo raggiunto e donato.

Le tappe che hanno portato Nicolò a trasformare la sua tesi di laurea in economia in una start-up di successo sono state relativamente poche e molto ravvicinate nel tempo: a lui si è innanzitutto unito l’amico Matteo, giovane ingegnere; insieme si sono lanciati nell’avventura che ha cambiato le loro vite: prima Startup Weekend a Milano, poi Startuppato a Torino, le prime interviste, il prototipo e la sua diffusione a livello internazionale. Alla fine del 2018 i primi finanziamenti, il Premio Nazionale Innovazione e la costituzione della Società. 

Nel 2019-2020 il boom. Chiamati da Plug&Play, partono alla volta della Silicon Valley per tre mesi in un acceleratore di start-up. Tornati, cominciano a sviluppare la piattaforma ufficiale e vengono insigniti del Seal of Excellence da parte della Commissione Europea. Gamindo arriva sul mercato a inizio 2020. E’ un successo. Nel 2020 Forbes seleziona i due fondatori, Nicolò e Matteo, tra i Top under 30 dell’anno.
Un dato, che compare nel sito, risulta piuttosto impressionante: 2,3 miliardi di persone nel mondo giocano ai videogiochi attraverso il proprio smartphone. 2,3 miliardi di persone sono un terzo della popolazione mondiale. Le idee innovative sono proprio quelle che partono dall’assunto che la tecnologia sia una via d’accesso ad un pubblico potenzialmente amplissimo; solo indirizzando tale tecnologia e la ricchezza delle aziende verso progetti benefici e di innovazione sociale si può pensare di incidere nel mondo. “Prendi parte a questa missione epica” è, non a caso, il motto di Gamindo.

Ambientalisti senegalesi in rete: un progetto di rimboschimento innovativo

Si chiama Ecopas, ed è un progetto per rimboschire la costa senegalese con oltre 10.000 alberi e promuovere la nascita di una politica ambientale sostenibile nella regione di Guediawaye, periferia di Dakar. A sostegno del programma, 400 organizzazioni della società civile si sono messe in rete utilizzando diverse tecnologie digitali. Per la prima volta, i giovani hanno seguito formazioni online, per potenziare la conoscenza collettiva dell’ambiente in cui vivono e del dramma dell’accaparramento delle terre che inasprisce i rischi ambientali e impedisce l’agricoltura, già provata dall’erosione costiera, dalla carenza d’acqua e dai forti venti. 

di Agnese Glauda

La cosiddetta ‘Nyiaes’ è un’area costiera a nord di Dakar che per le sue caratteristiche si presenta adatta all’agricoltura. Tuttavia, il cambiamento climatico sta sottoponendo a forte pressione gli agricoltori che, come se non bastasse, spesso vengono espropriati delle loro terre per dar spazio alla costruzione di complessi residenziali. Lo scenario è alquanto complesso: il mare avanza di 1.33 m all’anno e allo stesso tempo l’acqua per la popolazione non è facilmente accessibile, molte abitazioni non sono infatti allacciate all’acquedotto, altre hanno l’acqua razionata poche ore al giorno.

Negli anni, lungo la costa, era stata creata una fascia di filaos, alberi preziosi perché forniscono protezione per i campi coltivati dai forti venti marini. Questa banda è oggi pressoché scomparsa a causa dell’accaparramento delle terre da parte dello Stato e di multinazionali straniere. Questo fenomeno drammatico, presente in molte parti dell’Africa, viene definito land grabbing.

Il team di Ecopas – Archivio CISV: Vittorio Avataneo

In quest’ ottica è nato il progetto Ecopas, promosso dall’ong CISV in collaborazione con SUNUGAL, Hydroaid e FONGS e finanziato dall’Unione Europea. Il progetto, iniziato nel 2018, ambisce a creare una politica di tutela dell’ambiente condivisa da una rete di 400 organizzazioni della società civile e 200 micro-imprese verdi. In particolare, quelle gestite da donne e giovani. Il focus è posto sul rimboschimento della banda di filaos per arrestare l’avanzata dell’oceano. Nel primo anno i volontari hanno piantato 5.000 nuovi alberi, grazie al progetto e al sostegno popolare. Inoltre, attraverso la formazione fisica ed online, le piccole imprese agricole, agroforestali, di gestione dei rifiuti e difesa della biodiversità hanno acquisito nuovi strumenti di lavoro. I comuni interessati sono Sam Notaire, Ndiarème Limamoulaye, Wakhinane Nimzatt e Yembeul Nord e finora più di 2000 giovani sono stati coinvolti .

Secondo Ousseynou Mbodgi, amministratore del progetto la sfida più urgente è: “La scarsità d’acqua e i venti forti che vengono dal mare ora che manca la protezione dei filaos.” Alcune zone ricevono acqua solo due o tre ore al giorno. Per questo motivo gli abitanti usano pompe elettriche per estrarla dalle falde, che però non sempre sono potabili. Anzi, facendo così peggiorano la qualità dell’acqua delle falde, perchè intercettano fosse di scarico delle case di periferia non allacciate alla fognatura. ”

Un giovane volontario pianta una palma – Archivio CISV: Vittorio Avataneo

I giovani spesso vivono in periferia perché non possono permettersi di abitare in aree più centrali. Conoscono molto poco la zona e i problemi locali come l’accaparramento di terra e la scarsità d’acqua. Ma non solo, Mbodgi, mette in evidenza come le conoscenze siano ancora scarse anche riguardo ai problemi globali. “Il risveglio della coscienza ambientale dei giovani senegalesi sia in ritardo; anche se qualcosa inizia a muoversi.”

Il progetto ha un carattere innovativo perché combina la prima esperienza di formazione online con la prima esperienza in un’area periferica di una grande città, racconta Mbodgi. “Per quanto riguarda la progettazione, abbiamo usato i social per comunicare con i partner internazionali ma anche per organizzarci all’interno dell’equipe dirigente. Per i giovani abbiamo creato pagine facebook per diffondere i materiali per la formazione. I nostri archivi sono stati dematerializzati su drive, insieme a tutte le carte amministrative. Quando i corsi si sono conclusi abbiamo regalato a tutti i partecipanti un archivio digitale delle risorse su chiavetta usb.”

Momento di formazione – Archivio CISV : Vittorio Avataneo

L’innovazione ha portato con sé alcune sfide che Mbodgi sintetizza con “la mancanza di connessione e di infrastrutture digitali (computer, smartphone etc.)”. Per ovviare a questa situazione i giovani si sono recati in internet cafè. I promotori del progetto hanno invece organizzato alcuni incontri conclusivi per ricapitolare i contenuti, dando a tutti la possibilità di ascoltare una sintesi del percorso di formazione e confrontarsi.

Nonostante le difficoltà incontrate, il progetto Ecopas ha avuto un gran successo. Secondo il suo amministratore, il più grande obiettivo raggiunto è stata la collaborazione tra le varie organizzazioni ambientaliste della società civile, anche tramite l’uso della tecnologia. “Molte sono appena nate e composte da giovani che hanno molta volontà ma poche conoscenze. La formazione è di grande aiuto in questo senso. Massimizzare la collaborazione tra i partner è di fondamentale importanza per la tutela dell’ambiente sul lungo periodo.”

I vincitori del premio “ICT for Social Good”

Henri Nyakarundi e Elizabeth Kperrun sono i vincitori della prima edizione del Premio “ICT for Social Good“, ideato e organizzato da Ong2.0 all’interno del programma Innovazione per lo Sviluppo, grazie al sostegno di Fondazione Cariplo, Compagnia di San Paolo e Fondazione Mission Bambini. I due vincitori saranno premiati ufficialmente durante gli Open Days dell’Innovazione, previsti a Milano il prossimo 6 e 7 Novembre.

di Viviana Brun

 

Per la loro capacità di rispondere a bisogni sociali del territorio con l’uso creativo delle ICT, sul podio degli Open Days dell’Innovazione il prossimo 6 novembre saliranno: Henri Nyakarundi, vincitore del premio di 12.000 euro ICT for Social Good, finanziato da Fondazione Cariplo e Compagnia di San Paolo, e Elizabeth Kperrun, vincitrice del premio speciale di 10.000 euro, denominato ICT for Children, messo a disposizione da Fondazione Mission Bambini e dedicato alla migliore proposta IT per l’infanzia.

Henri Nyakarundi

Henri Nyakarundi - Shiriki Hub

Ruandese, quarant’anni, è il fondatore dell’impresa sociale Ared -African Renewable Energy Distributor– che in Ruanda ha realizzato Shiriki Hub. Un chiosco solare mobile, nato per rispondere all’esigenza di ricaricare i cellulari in qualunque luogo: dalle stazioni di scambio degli autobus nelle grandi città, dove le persone sostano in attesa del prossimo bus, alle zone rurali più remote, dove l’erogazione della corrente elettrica è assente o molto discontinua.

Perché se è vero che in Africa i telefoni cellulari sono ampiamente diffusi tra la popolazione, spesso a mancare è il sistema di infrastrutture che ne consente il funzionamento: dalla disponibilità di corrente elettrica per la ricarica, al wifi e gli altri canali che permettono di fruttare al massimo le potenzialità dei telefoni cellulari, consentendo alla popolazione l’accesso a informazioni e a contenuti multimediali. Proprio per rispondere a questa esigenza, Shiriki Hub nel tempo è diventato un chiosco polifunzionale, completamente alimentato ad energia solare, in grado di garantire la connessione ad Internet e l’accesso a contenuti multimediali precaricati gratuiti, via intranet. Oltre a tanti altri servizi, come il pagamento di tasse e imposte governative e all’acquisto di credito telefonico.

Nel futuro di Shiriki Hub c’è l’integrazione con la tecnologia IOT, il famoso Internet delle cose, che tramite un sistema di sensori e un software di gestione, sfrutterà il chiosco come una stazione di raccolta e analisi di dati. I primi utilizzi di questa implementazione che Nyakarundi si è immaginato sono legati ai dati sulle performance dei gestori dei singoli chioschi e sull’inquinamento dell’aria, ma l’IOT permetterà di certo di spingersi molto oltre queste prime due ipotesi.

Già oggi, le potenzialità e gli utilizzi di Shiriki Hub sono molteplici. I contenuti precaricati diffusi gratuitamente via intranet, ad esempio, sono un’ottima risorsa per le ONG, che possono utilizzare i chioschi per diffondere contenuti educativi e informativi tra la popolazione.

Nel 2015, gli Shiriki Hub sono stati utilizzati anche dalla Croce Rossa in Ruanda, all’interno dei campi profughi, dove è molto sentita la necessità di creare opportunità lavorative per i rifugiati che, soprattutto in una prima fase, hanno difficoltà a trovare un’occupazione nel Paese che li ospita. Grazie all’accordo tra Ared e la Croce Rossa, alcuni rifugiati burundesi sono stati formati alla gestione dei chioschi e hanno così potuto diventare gestori di stazioni di ricarica all’interno dei campi stessi, guadagnandosi da vivere in modo indipendente.

La forza di Shiriki Hub non è solo sul piano tecnologico ma anche nel suo modello di business. Nyakarundi ha sviluppato un sistema di micro franchising, creando una rete di affiliati che, investendo una cifra iniziale contenuta di 50 dollari per gli uomi, 25 dollari per le donne e 10 dollari per le persone con disabilità, ottengono in gestione il chiosco e la possibilità di vendere i servizi a esso collegati. I micro-imprenditori hanno anche accesso a un programma specifico di formazione sulla contabilità, sul pagamento delle tasse e sul marketing. Shiriki Hub contribuisce così a creare nuovi posti di lavoro, creando un impatto positivo sulle comunità locali a livello economico, sociale e ambientale.

Il chiosco solare Ared rappresenta quindi un sistema vincente per:

  • i clienti che hanno accesso a energia elettrica e contenuti digitali ovunque a basso costo,
  • gli operatori dei chioschi che, una volta associati, possono gestire in autonomia il proprio business,
  • Ared, l’impresa sociale fondata da Henry Nyakarundi, che sta espandendo la sua attività in altri paesi africani, primo fra tutti l’Uganda.

Scopri di più sul progetto Shiriki Hub.

Leggi l’intervista che Ong2.0 ha realizzato a Henri Nyakarundi.

 

Elizabeth Kperrun

Elizabeth-Kperrun

Nigeriana, trentun’anni, è la cofondatrice di Lizzie’s Creations, una startup che mira a preservare e a fare rivivere la cultura tradizionale africana grazie all’uso delle tecnologie digitali.

Nel 2013, ha creato la sua prima app dedicata all’infanzia, AfroTalez, una raccolta di favole africane dedicata ai bambini dai 2 ai 10 anni. “La tartaruga, l’elefante e l’ippopotamo” è il primo racconto animato a essere stato pubblicato. Accanto alla narrazione, l’applicazione propone ai bambini alcuni giochi interattivi per imparare a contare e a riconoscere gli oggetti.

Nel 2016, Elizabeth ha realizzato Teseem-First Words, un’app che insegna ai bambini le loro prime parole in inglese e in alcune delle principali lingue africane e nigeriane, tra cui Hausa, Swahili, Igbo e Yoruba. Nello sviluppare questa app, Elizabeth è stata ispirata da alcuni studi che mostrano come, nonostante i bambini a scuola siano chiamati ad apprendere nella lingua franca del proprio Paese (tipicamente inglese, francese, portoghese o arabo), questa in realtà non rappresenti la loro lingua madre. Questo aspetto spesso rende più faticoso e prolunga i tempi di apprendimento. Anche l’UNESCO sottolinea come il modo migliore per educare i bambini sia attraverso la lingua natale ma produrre materiale didattico nelle diverse lingue locali è spesso troppo costoso. Così, Elizabeth e il suo team hanno cercato una soluzione digitale per abbattere i costi, sviluppando Teseem – First Words.

Il viaggio nella cultura africana che Elizabeth propone ai bambini, prosegue anche grazie all’ultimissima app, Shakara, dedicata alla moda.

Le app realizzate da Lizzie’s Creations sono un primo esempio di come le ICT possano contribuire a preservare la cultura locale e a favorire l’educazione in un modo semplice ed economico. Molti sono ancora i contenuti in fase di realizzazione, il team di Elizabeth è al lavoro con docenti e genitori per testare quanto fatto finora e renderlo più efficace e coinvolgente. Il suo modello di business è basato sui contenuti freemium: gli utenti possono scaricare e utilizzare gratuitamente le app, tranne alcuni contenuti che sono a pagamento o per cui è richiesta la visione di un breve video pubblicitario.

Scopri di più sulle app di Lizzie’s Creations.

Leggi l’intervista che Ong2.0 ha realizzato a Elizabeth Kperrun.

 

I progetti di Henri Nyakarundi ed Elizabeth Kperrun sono stati selezionati tra le 233 candidature ricevute da 57 Paesi del mondo. Il Comitato Scientifico, composto da membri di SocialFare, Fundacion Paraguaya, Moxoff, E4impact e Nesta, ha valutato i progetti prestando grande attenzione all’impatto sociale e all’innovazione, sia dal punto di vista tecnologico sia delle metodologia e degli approcci adottati.

Il due vincitori saranno premiati ufficialmente il 6 novembre 2017 a Milano, durante gli Open Days dell’Innovazione, due giorni dedicati alle idee, le tecnologie e il networking per la cooperazione allo sviluppo e il sociale.

 

ict for social good grant 2017

Intervista a Henri Nyakarundi, vincitore del Premio “ICT for Social Good”

Il vincitore del Premio “ICT for Social Good“, organizzato da Ong2.0 nell’ambito del programma “Innovazione per lo Sviluppo“, si chiama Henri Nyakarundi, è Ruandese, ha 40 anni ed è un imprendotore sociale. È il fondatore di ARED – Africa Renewable Energy Distributor – un’impresa sociale impegnata nella settore delle energie rinnovabili. Nel 2013 ha sviluppato Shiriki Hub, un chiosco solare che offre soluzioni a basso costo per ricaricare il cellulare o altri piccoli dispositivi elettronici, navigare sul web e accedere gratuitamente a contenuti digitali precaricati. Shiriki Hub non è solo una soluzione tecnologica, è soprattutto un modello di business, basato sul micro franchising, in grado di creare nuovi posti di lavoro soprattutto tra la popolazione più povera.

Lo abbiamo intervistato per saperne di più.

 

Di Viviana Brun

 

Cominciamo dalle basi, quali sono le tue origini e che tipo di formazione hai avuto?

Sono nato in Kenya ma cresciuto in Burundi come rifugiato ruandese. Quando mi sono diplomato nel 1996 alla scuola francese di Bujumbura in Burundi, i miei genitori hanno deciso di mandare me e mia sorella negli Stati Uniti per continuare gli studi. In quel periodo, la Regione dei Grandi Laghi era particolarmente instabile: in Burundi c’era la guerra e il Ruanda si stava riprendendo dal genocidio. Ho studiato Informatica all’Università della Georgia, dove mi sono laureato nel 2003.

 

Qual è la persona che ha avuto l’impatto maggiore sulla tua carriera?

L’impatto maggiore l’ha avuto mia madre. Mia madre era la spina dorsale della nostra famiglia, è lei che ci ha permesso di andare all’università. Lavorava a tempo pieno e in più faceva dei lavori extra per pagare i nostri studi. Nonostante fossimo rifugiati in Burundi, ci ha permesso di ricevere l’istruzione migliore. La sua etica e la sua disciplina nel lavoro erano ineguagliabili. Era proprietaria della sua casa in un periodo in cui per le donne era particolarmente difficile possedere dei beni propri. Ogni volta che mi sento giù o che mi viene la tentazione di rinunciare, mi ricordo delle sfide che ha dovuto affrontare lei e mi riprendo subito.

 

Perché hai deciso di tornare in Africa e cosa ti ha spinto a scegliere il Ruanda come Paese in cui vivere?

Nel 2009 ho cominciato a tornare regolarmente in Africa e ho iniziato a vedere come questo continente stesse cambiando. L’innovazione era in forte espansione. Negli Stati Uniti, avevo raggiunto un punto di stallo e là avevo l’impressione di non riuscire ad avere davvero un impatto positivo. Poiché l’Africa stava e sta tutt’ora affrontando così tante sfide, sapevo che era questo il posto in cui potevo davvero mettere a frutto alcune delle mie competenze.

Il Ruanda era cambiato sensibilmente e questo ha reso più semplice l’avvio di un nuovo business. Oggi è possibile registrare un’impresa in sole 4 ore, avere una buona infrastruttura, insomma è un buon posto per sviluppare nuove tecnologie e, naturalmente, il fatto che io sia Ruandese è stato un motivo in più per iniziare da qui.

 

Ho letto in alcuni articoli che ti definisci “un imprenditore nell’anima”, è vero? Che significato ha questa definizione per te?

È un modo per dire che sono nato per fare l’imprenditore. Ho aperto la mia prima attività a 20 anni e mi sono innamorato di questo mondo, anche se ci sono voluti 10 anni per costruire il mio primo business di successo.  Ho quasi lasciato la scuola per dedicarmici a tempo pieno ma mia madre mi ha impedito di smettere di studiare. Amo risolvere i problemi e credo che sia questo il senso di essere un imprenditore.

 

Dov’è nata l’idea di creare Shiriki Hub?

Inizialmente, Shiriki Hub doveva essere un semplice chiosco di ricarica. L’idea è nata da un viaggio in Burundi e in Ruanda, vedendo che le persone avevano sì i telefoni cellulari ma che erano continuamente alla ricerca di un posto per ricaricarli. Non avevo pensato di creare un prodotto nuovo. All’inizio ero semplicemente alla ricerca di un prodotto già esistente ma non riuscivo a trovare nulla di convincente. Avevo visto dei punti di ricarica all’aeroporto e avevo pensato che sarebbe stato bello avere qualcosa di amalogo sulle strade africane, per aiutare le persone. È lì che tutto ha avuto inizio. Ho assunto un ingegnere e un designer e ho dato inzio a questa avventura.

 

Qual è la difficoltà maggiore quando, come vi è scritto sul sito di Ared, si fanno affari alla “base della piramide“?

Innanzitutto, la mentalità delle persone. Le soluzioni innovative così come i modelli di business innovativi richiedono tempo perché la gente li capisca e scelga di adottarli, quindi è necessario investire molto tempo nella formazione delle persone. In secondo luogo, creare una tecnologia adatta al territorio africano rurale o semi urbano è estremamente difficile, così come la costruzione di un business sostenibile per le fasce più povere della popolazione.

 

Quale aspetto del tuo lavoro ti tiene sveglio la notte?

Finire i soldi prima di essere pronti per espandere l’attività, prima di concludere la nostra tecnologia e costruire un business sostenibile. Questa fase è impegnativa e richiede un forte sostegno finanziario per avere successo.

 

Qual è il miglior consiglio professionale che hai ricevuto?

Non arrendersi mai, c’è sempre una soluzione a un problema.

 

Qual è il ruolo che le ICT – Tecnologie della Comunicazione e dell’Informazione – possono giocare nel favorire lo sviluppo locale e l’ecosistema aziendale in Africa?

Ritengo che le ICT siano la chiave per colmare il divario nell’accesso alle informazioni, soprattutto per le persone a basso reddito. L’accesso alle informazioni è fondamentale per migliorare la vita di ognuno, tuttavia in molte comunità è ancora un bene di lusso. Stiamo affrontando il riscaldamento globale e l’Africa sarà il continente più colpito, in futuro l’accesso a informazioni chiave per ridurre al minimo l’effetto del riscaldamento globale sarà una questione di vita e di morte.

Inoltre, le ICT hanno aperto la porta a una nuova generazione di imprenditori, oggi tutto ciò che serve per creare un’applicazione è il capitale umano e una connessione a Internet. Credo che le ICT abbiano aperto la porta a un nuovo approccio creativo e abbiano dato speranza a una nuova generazione di giovani africani.

 

In che modo Shiriki Hub può essere considerato un modello di business inclusivo?

Shiriki Hub è destinato in modo specifico alle persone a basso reddito, in particolare alle donne e alle persone con disabilità che non hanno altre opportunità di guadagnarsi da vivere. Ci concentriamo anche sui rifugiati che spesso sono esclusi dalle oppurtinità economiche dei Paesi in cui si trovano a vivere. La verità è che molte persone hanno voglia di lavorare ma se non hanno una laurea o provengono da famiglie povere sono tagliati fuori da molte opportunità. Ared è stato creato proprio per questo motivo.

Qual è il prezzo per ricaricare un telefono? E per navigare sul web?

In Rwanda il costo di una ricarica è di 10 centesimi. Internet viene venduto a slot di 5, 10, 30 e 60 minuti ed è gratuito fino a 10 minuti, dopo di ché si pagano 30 cent per 30 minuti e 50 cent per 60 minuti.

 

In termine di guadagni, qual è l’attività principale per Shiriki Hub?

Abbiamo 3 flussi di entrate. Una parte deriva dai guadagni degli affiliati che gestiscono i chioschi, che oltre alle ricariche di telefoni e piccoli device, si occupano anche della vendita di servizi come il credito telefonico, la navigazione su Internet e l’accesso ad alcuni servizi governativi. Un’altra parte delle entrate è garantita dalla pubblicità, dalle campagne e dai sondaggi che i nostri clienti, tra cui spesso le ONG, possono attivare sulla nostra rete wifi. Infine, abbiamo iniziato a raccogliere dati e stiamo lavorando per integrare la tecnologia IOT – Internet delle cose – e trovare clienti interessati ai dati che possiamo fornire, come ad esempio i livelli di inquinamento dell’aria.

 

Qual è il guadagno medio mensile di un affiliato che gestisce uno Shiriki Hub?

I piccoli affiliati generano in media 100 dollari al mese grazie all’insieme dei servizi che forniscono con il chiosco. L’obiettivo è quello di aggiungere più servizi per aumentare sia il reddito dell’affiliato che le entrate di Ared.

 

Che relazione c’è tra l’affiliato che gestisce un chiosco e Ared?

Siamo partner quindi lavoriamo a stretto contatto. Il motivo per cui scegliamo un modello di micro-franchising è che è una situazione win-win. Noi forniamo la formazione, il supporto e la manutenzione, mentre l’affiliato si prende cura degli utenti finali. Questa è la chiave per essere sicuri che tutta la catena del valore sia abbastanza fluida affinché i problemi possano essere risolti rapidamente.

 

Da dove provengono i vari componenti del chiosco?

La batteria e il pannello solare vengono dalla Cina, le ruote dall’Australia, il router dagli Stati Uniti mentre le scocca è prodotta localmente.

 

In Ruanda gli imprenditori sociali ricevono qualche forma di supporto dal governo?

Non ancora, abbiamo bisogno di una legge fiscale che sostenga gli imprenditori sociali offrendo un credito d’imposta, per esempio, le ONG sono esenti dalle tasse, ma noi dato che siamo a scopo di lucro, siamo tassati come un business tradizionale anche se abbiamo in primo piano l’impatto sociale. Abbiamo bisogno delle nostre categorie fiscali, abbiamo bisogno di un accesso migliore ai finanziamenti, abbiamo bisogno di un modo più semplice per lavorare con le amministrazioni locali per raggiungere più comunità sul territorio. Il governo deve rendere più semplice la collaborazione in modo da poter lavorare insieme e accelerare l’impatto. In fondo stiamo combattendo la stessa lotta, quella di migliorare la vita delle persone, se non lavoriamo insieme rischiamo di fallire nella lotta contro la povertà.

 

A oggi, quanti chioschi sono operativi?

Abbiamo 25 chioschi solari attivi in Ruanda. A maggio abbiamo lanciato Shiriki Hub in Uganda e abbiamo appena ricevuto la maggior parte delle licenze necessarie ad avviare il lavoro, a novembre abbiamo in programma di avviare la fase pilota con 5 chioschi.

 

Qual è il tuo messaggio agli imprenditori sociali?

Se non hai la passione per aiutare gli altri e risolvere grandi problemi, non diventare imprenditore sociale perché è più difficile rispetto a fare business in modo tradizionale. La pazienza e l’estrema attenzione sono la chiave.

 

Quali sono i tuoi piani per il futuro?

Espansione, espansione, espansione. Più di 400 milioni di persone vivono in povertà in Africa, quindi la necessità di soluzioni come ARED è molto forte, vogliamo essere in 20 paesi nei prossimi 10 anni, attuare circa 100.000 chioschi solari. Ma innanzitutto dobbiamo finire il nostro sviluppo del prodotto, stiamo lavorando per aggiungere la tecnologia IOT e monitorare meglio il chiosco mentre è sul terreno e raccogliere anche altri tipi di dati.

Scopri di più sul progetto Shiriki Hub:

Shiriki Hub: smart solar kiosk, powering and connecting Africa

 

Photocredits: Ared

 

ICT for Social Good: i 25 finalisti

Il premio “ICT for Social Good” entra nella fase finale. Dopo i primi tre mesi di selezione, la rosa dei candidati ai due premi da 10.000 e 12.000 euro, messi in palio dal programma Innovazione per lo Sviluppo e da Fondazione Mission Bambini Onlus, si restringe a 25. Vi presentiamo gli straordinari progetti della “short list” finale, che nel prossimo mese saranno al vaglio di una giuria internazionale d’eccellenza.

di Viviana Brun

 

I 233 progetti innovativi arrivati da 57 Paesi del mondo, negli ultimi tre mesi sono stati oggetto di un’attenta selezione, basata su criteri formali e di aderenza alle richieste del regolamento e sull’analisi della documentazione aggiuntiva. I progetti che accedono alla fase finale della selezione sono 25.

Il Comitato Scientifico del Premio -composto da rappresentanti delle organizzazioni SocialFare, Fundacion Paraguaya, Moxoff, E4impact e Nesta– è già al lavoro per valutare i progetti, ponendo grande attenzione all’innovazione sia dal punto di vista tecnologico che della metodologia e degli approcci adottati. Il tutto senza tralasciare l’impatto positivo generato dai progetti, vero protagonista di questo premio.

I vincitori verranno resi noti a fine settembre e premiati ufficialmente durante gli Open Days dell’Innovazione previsti a Milano, il prossimo 6 e 7 novembre.

 

Il profilo dei finalisti

I 25 innovatori arrivati in finale provengono da sedici Paesi diversi. I Paesi più rappresentati sono Nigeria e Kenya, entrambi con quattro progetti. La presenza africana è molto forte, venti dei progetti finalisti provengono proprio da questo continente. Si aggiungono poi due progetti indiani, un progetto della Bosnia Herzegovina, uno della Cambogia e uno della Colombia.

Quasi il 40% dei progetti finalisti è stato presentato da donne, 9 su 25, assicurando una buona rappresentanza femminile tra i finalisti. Se si parla spesso di gap di genere nell’accesso alla tecnologia, le innovatrici di ICT for Social Good sembrano smentire questa tendenza. I progetti realizzati da donne sono passati da circa il 25% delle candidature totali al 36% di quelle in finale, dimostrando un alto livello di competenza e qualità delle proposte presentate.

Tra i temi maggiormente affrontati ci sono agricoltura e sanità, ma anche il tema dell’educazione e della partecipazione alla vita politica e sociale è presente in molte proposte. Sette dei progetti finalisti sono dedicati in particolare al mondo dell’infanzia e concorreranno per il premio dedicato, messo in palio da Fondazione Mission Bambini Onlus.

 

Ecco i 25 finalisti

 

  • Muhammad Abdullahi di eTrash2Cash, un’applicazione che permette alle persone di raccogliere e vendere i rifiuti che possono essere riciclati, in cambio di un pagamento via mobile. Il progetto garantisce così un ricavo alle persone più indigenti e produce un impatto positivo sull’ambiente in Nigeria.
  • Elijah Amoo Addo di Food for all Africa che in Ghana ha creato una piattaforma che permette di segnalare la presenza di cibo in eccesso, destinato a essere sprecato, e di organizzare la distribuzione mirata alle persone, soprattutto bambini, denutrite o a rischi di malnutrizione.
  • Bukola Bolarinwa di Haima Health Initiative, un’applicazione nata per contrastare il mercato nero delle trasfusioni di sangue in Nigeria e favorire l’incontro dei donatori con i pazienti e i centri sanitari.
  • Ahmed Karim Cisse di Connexion Sans Frontiere, utilizza le ICT per un progetto di telemedicina dedicato soprattutto ai pazienti traumatologici, vittime di incidenti stradali in Senegal.
  • Albin Mathias Fiita di Potential Enhancement Foundation, ha installato nelle scuole in Tanzania laboratori informatici alimentati con energia solare, utilizzando computer Raspberry Pi a basso consumo e software open source per rendere i laboratori sostenibili nel tempo.
  • Kristin Gaensicke di Riziki Source, piattaforma, sviluppata in Kenya, che permette di far incontrare la richiesta di lavoro delle persone con disabilità con le posizioni disponibili più adatte. Le informazioni del database vengono inserite tramite sms, in modo che anche i disabili residenti in aree rurali o che non hanno accesso a internet possano aggiornare facilmente il proprio profilo.
  • Elizabeth Kperrun di Lizzie’s Creations in Nigeria ha sviluppato due app per bambini AfrotalezTeseem. La prima aiuta i bambini a riscoprire le favole tradizionali, divertendosi e imparando con tanti contenuti educativi. La seconda è dedicata all’apprendimento delle lingue. Molti bambini nigeriani non conoscono l’inglese, quest’app tiene conto di tutte le lingue locali e propone contenuti in Inglese, Hausa, Swahili, Igbo e Yoruba.
  • Suzana Moreira di Mowoza, in Mozambico ha creato Mabiz piattaforma educativa che forma le donne alle basi del commercio, in modo che possano avviare un piccolo business o rendere più efficiente quello attuale. Le formazioni e il monitoraggio avvengono anche a distanza via SMS e whatsapp.
  • Clever Mukove di Knowledge Transfer Africa, in Zimbabwe ha lavorato alla creazione di eMKambo un’applicazione web e mobile dedicata a scambiare informazioni sui temi agricoli, sui prezzi di mercato e a mettere in comunicazione produttori e commercianti. All’applicazione è stato abbinato anche un servizio di call center.
  • Jennifer Nantale di Nyaka School, in Uganda ha sviluppato Patient App Care un servizio di mHealth per migliorare l’accesso delle persone alle cure sanitarie.
  • Grâce Françoise Nibizi di SaCoDé, in Burundi forma e sensibilizza i cittadini, soprattutto donne, sui temi della salute sessuale e riproduttiva grazie a un sistema di invio di SMS.
  • Margaret Njenga di @iLabAfrica, lavora alla realizzazione di un sistema di monitoraggio dei fondi pubblici in Kenya, aumentando la trasparenza e permettendo ai cittadini di partecipare e interagire direttamente con i politici e gli amministratori locali, attraverso una piattaforma web e l’invio di sms.
  • Achiri Arnold Nji di Traveler, piattaforma che usa i big data, i sistemi GPS e i sensori per monitorare le performance degli autisti degli autobus, migliorare la sicurezza dei passeggeri e la risposta in caso d’incidente in Camerun.
  • Henri Nyakarundi di Shiriki Hub, in Ruanda ha realizzato dei chioschi solari portatili che permettono a chiunque di collegarsi a contenuti via internet o intranet e ricaricare il proprio device. In questo modo, l’accesso alle informazioni viene garantito anche alle persone che vivono nelle zone rurali più isolate.
  • Francis Obirikorang di AgroCenta, piattaforma agro-tech creata in Ghana, offre una serie di servizi dedicati ai piccoli agricoltori, che vanno dal supporto alla vendita online alle informazioni su prezzi e possibili acquirenti.
  • Simeon Oyando Ogonda di Education for Change, in Kenya utilizza la piattaforma m-shamba per formare le persone delle aree rurali all’uso di metodi alternativi green per cucinare il cibo e gestire i parassiti in agricoltura.
  • Daniel Oulai di Grainothèque, la prima biblioteca comunitaria della Costa d’Avorio dedicata alle sementi di qualità, per preservare la biodiversità africana ma anche per garantire l’accesso ai giovani coltivatori alle sementi tradizionali e a corsi di formazione. Il progetto è accompagnato dalla creazione di una piattaforma web dedicata alla riproduzione delle sementi, a come adattare la produzione agricola ai cambiamenti climatici e a migliorare la commercializzazione dei prodotti locali.
  • Emmanuel Owobu di MobiCure, in Nigeria ha sviluppato l’app OMOMI che permette alle madri di monitorare la salute e la crescita dei propri bambini, ricevendo consigli mirati per le varie fasi di vita dei figli.
  • Alexie Seller di Pollinate Energy, in India offre prodotti ecologici in grado di migliorare la qualità della vita delle persone all’interno delle periferie indiane e usa la tecnologia mobile per gestire le rate dei pagamenti.
  • Victor Shikoli di Hydrologistics Africa in Kenya ha sviluppato HydroIQ, un dispositivo GPS che utilizza i sensori e l’Internet delle cose per monitorare in modo automatico i sistemi di approvvigionamento idrico esistenti e raccogliere dati sull’uso dell’acqua, la qualità e le perdite. Questo sistema consente di valutare l’efficienza del sistema idrico, il consumo effettivo dell’acqua, la capillarità sul territorio, evitando sprechi e consentendo il corretto pagamento delle bollette.
  • Sumeysh Srivastava di Nyaaya, piattaforma web sviluppata in India, che grazie a guide, tutorial e all’uso delle varie lingue locali, rende accessibili ai cittadini le leggi dello Stato, garantendo a tutti la comprensione dei propri diritti.
  • Sovan Srun di Edemy, in Cambogia, ha creato un sistema per rendere le performance degli studenti delle aree rurali in linea con quelle dei centri urbani, migliorando la formazione di studenti e insegnanti senza bisogno della connessione a Internet ma attraverso l’uso di un computer Rasberry a basso costo e di un software educativo sviluppato ad hoc.
  • Branko Vasiljevic di Civil Patrols, applicazione sviluppata in Bosnia Herzegovina, che permette ai cittadini di contribuire a rendere più rapido ed efficiente l’intervento delle forze dell’ordine, segnalando i casi di violenza o di delinquenza.
  • Emily Warne di Health Builders, utilizza le ICT per mettere in rete e digitalizzare le informazioni mediche per rendere più efficienti i centri sanitari in Ruanda.

 

 

ict for social good 2017 partners

 

 

 

 

 

 

ICT for Social Good: gli innovatori ci mettono la faccia

Sono arrivati un po’ da tutte le parti del mondo, i video di presentazione degli innovatori che hanno superato la prima fase di selezione del Premio ICT for Social Good, ideato da Ong2.0 e realizzato all’interno del programma Innovazione per lo Sviluppo, grazie al supporto di Fondazione Cariplo, Compagnia di San Paolo e alla collaborazione di Fondazione Mission Bambini Onlus.

di Viviana Brun

 

Racchiudere in trenta secondi il proprio progetto, la propria idea, ciò per cui si lavora con passione ogni giorno, non è certo un’impresa semplice. Sono stati molti gli innovatori del PremioICT for Social Good” che hanno accettato questa sfida con grande entusiasmo e hanno provato a raccontarsi in pochi istanti.

Nasce così questa galleria di video che offre uno spaccato di quanto il mondo dell’innovazione sociale sia popolato da persone diverse per provenienza, aspirazioni, età… segno di come le ICT siano strumenti versatili, adattabili a contesti e necessità varie, al servizio di uno sviluppo che si fa sempre più inclusivo.

 

Guarda la playlist di tutti i video

 

Un problema, un’idea

A ogni carenza c’è una soluzione, basta studiare quella più adatta. Sembra essere proprio questo il pensiero che ispira il lavoro dei partecipanti a questa prima edizione del premio “ICT for Social Good“.

E così se in Bosnia e Herzegovina i cittadini non si sentono abbastanza sicuri, possono contribuire a rendere più rapido ed efficiente l’intervento delle forze dell’ordine, segnalando tramite l’app Civil Patrols i casi di violenza o di delinquenza.

Mentre in Colombia, per aiutare le persone sorde a superare le barriere comunicative che incontrano ogni giorno, è stato studiato un interprete virtuale disponibile da pc e smartphone.

In Nigeria, per contrastare il mercato nero delle trasfusioni di sangue e favorire l’incontro dei donatori con i pazienti e i centri sanitari, Bukola Bolarinwa ha fondato Haima Health Initiative, un’applicazione accessibile da pc e mobile.

In India, la piattaforma Nyaaya grazie a guide, tutorial e all’uso delle varie lingue locali, rende accessibili ai cittadini le leggi dello Stato, garantendo a tutti la comprensione dei propri diritti.

E se la cultura tradizionale africana va man mano perdendosi, l’app realizzata da Elizabeth Kperrun aiuta i bambini a riscoprire le favole nella propria lingua locale e a divertirsi e a imparare con tanti contenuti educativi in Inglese, Hausa, Swahili, Igbo e Yoruba.

Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, in Camerun i decessi causati dagli incidenti stradali superano del 40% quelli dovuti alla malaria, per questo Achiri Arnold Nji ha deciso di sviluppare Traveler una piattaforma che usa i big data, i sistemi GPS e i sensori per monitorare le performance degli autisti degli autobus, migliorare la sicurezza dei passeggeri e la risposta in caso d’incidente.

 

L’innovazione sociale non è solo questione di tecnologia

Non tutti sviluppano soluzioni nuove o altamente tecnologiche. In Benin, dove l’albinismo è una malattia vista con molta diffidenza e fonte di grande discriminazione, Franck Hounsa ha formato al “blogging” e alla scrittura digitale un gruppo di 20 albini perché possano fare informazione corretta, aiutando altre persone affette a uscire dall’isolamento e facendo sensibilizzazione tra la popolazione, per combattere e prevenire la diffusione di forme di pregiudizio e di discriminazione.

In Costa D’Avorio, Daniel Oulai ha unito offline e online attraverso la creazione di “Grainothèque”, la prima biblioteca comunitaria ivoriana dedicata alle sementi, nata per preservare la biodiversità africana ma anche per garantire l’accesso ai giovani coltivatori a sementi autoctone di qualità. Il progetto è accompagnato dalla creazione di una piattaforma web dedicata alla riproduzione delle sementi, a come adattare la produzione agricola ai cambiamenti climatici e a migliorare la commercializzazione dei prodotti locali.

 

Agricoltura e salute tra i temi più ricorrenti

Sono molte le soluzioni dedicate all’agricoltura così come i prodotti e i servizi che hanno come obiettivo la salute e l’empowerment soprattutto femminile.

In Burundi, dove la rete Internet non è ancora capillare sul territorio ma è forte la necessità di diffondere informazioni corrette sui temi della salute sessuale e riproduttiva, l’associazione SaCoDé ha messo in piedi un sistema d’informazione via SMS.

Mentre in Nigeria, Emmanuel Owobu, ha creato MobiCure, un’app che permette alle madri di monitorare la salute e la crescita dei propri bambini, ricevendo consigli mirati per le varie fasi dello sviluppo.

In Mozambico, Suzana Moreira si occupa di migliorare l’accesso delle donne all’imprenditoria grazie a un programma di formazioni e al supporto diretto, via SMS e social media.

Tra i video ricevuti, non mancano anche alcuni esempi italiani. Le organizzazioni IPSIA, CINI ItaliaGlobal Health Telemedicine Onlus hanno raccontato i progetti innovativi che stanno realizzando in diversi Paesi del mondo nel campo della formazione, della tutela delle donne e della lotta ai matrimoni precoci e della telemedicina.

La regola base per tutti è privilegiare l’efficacia, non l’utilizzo della tecnologia fine a se stessa, ma l’utilizzo delle ICT come strumento per avere un impatto reale e produrre un miglioramento concreto a livello locale.

 

ict for social good grant 2017

ICT for Social Good: 233 progetti innovativi da tutto il mondo

Provengono da 57 diversi Paesi del mondo i 233 innovatori locali che hanno risposto all’appello di “ICT for Social Good“, il premio creato da Ong2.0 – nell’ambito del programma Innovazione per lo Sviluppo sostenuto da Fondazione Cariplo e Compagnia di San Paolo e con la collaborazione di Fondazione Mission Bambini – per intercettare, conoscere, raccontare e sostenere i progetti e le esperienze di innovazione locale nei Paesi a basso reddito.

di Viviana Brun

 

Da chi ha sviluppato una app per l’educazione in lingua locale, per facilitare l’apprendimento dei bambini e diffondere la cultura e la storia tradizionale africana, a chi informa e fa prevenzione in ambito sanitario via SMS, passando per chi usa gli smartphone per connettere gli agricoltori e scambiare informazioni sull’andamento del mercato e i metodi di coltivazione, fino a chi installa hot-spot nei villaggi e nelle zone rurali per permettere alle persone di accedere alla informazioni via Internet, ove possibile, o attraverso contenuti precaricati. Ma c’è anche chi sfrutta il potenziale delle ICT per gestire l’approvvigionamento dei medicinali nei centri sanitari e chi usa YouTube per sensibilizzare i giovani sui rischi e le modalità della tratta internazionale.

Si è concluso il 30 aprile il periodo di raccolta delle candidature del premio ICT for Social Good e la risposta a questo primo bando è stata sorprendente. In poco più di un mese abbiamo ricevuto 233 progetti da 57 Paesi del mondo e, già da un primo sguardo, si percepisce la ricchezza delle iniziative presentate e il grande livello di competenza e di creatività dei candidati al premio.

La mappa degli innovatori locali

Per rendere più facile l’esplorazione delle candidature ricevute, abbiamo raccolto in una mappa tutti gli innovatori locali in lizza per il premio. Espandendo e riducendo la mappa è possibile esplorarne le aree di provenienza, mentre cliccando su ogni waypoint si ha accesso ad alcune informazioni di base sui progetti. La mappa è pensata per ospitare nel tempo informazioni via via più dettagliate.

Storie di innovazione sociale

Le candidature al Premio, nella loro totalità, disegnano una splendida galassia di storie d’innovazione sociale. Idee innovative, create dal basso e in grado di portare cambiamento e benefici a livello locale. Queste storie di vita e d’innovazione rappresentano un materiale prezioso per fare cultura” nel mondo della cooperazione internazionale, aprendo la strada a un nuovo approccio allo sviluppo locale, in grado di sfruttare gli strumenti tecnologici del presente e valorizzare i talenti e le professionalità di chi, ovunque nel mondo, si impegna e lavora per costruire una società migliore, anche grazie alla tecnologia.

Nei prossimi mesi, ascolteremo dalla viva voce dei protagonisti le loro storie, approfondiremo lo studio dei loro progetti, ne selezioneremo alcuni e li racconteremo in una sezione ad hoc sul sito di Ong2.0.

Le prossime fasi del Premio

È in corso la prima fase di selezione delle candidature. Una giuria di esperti, selezionati tra gli attori coinvolti nel programma Innovazione per lo Sviluppo, è già al lavoro per verificare che le candidature siano elegibili e coerenti con il regolamento del Premio. I candidati ritenuti formalmente validi saranno invitati a fornire la documentazione completa e la lettera di referenza di un ente internazionale, che attesti la reale messa in opera del progetto. Il Comitato Scientifico del Premio si occuperà quindi di svolgere la valutazione finale.

Il Comitato Scientifico è composto da Guglielmo Gori di SocialFare (Torino) – il primo centro per l’Innovazione Sociale in Italia – Martin Burt, Fondatore e Direttore generale di Fundacion Paraguaya – ONG paraguaiana che si occupa di microfinanza e imprenditoria – Ottavio CrivaroAmministratore delegato di Moxoff spa – spinoff del Politecnico di Milano specializzata in modellistica ed algoritmistica matematica, ha sviluppato anche innovativi tool per il mondo del noprofit Mario Molteni, Senior Fellow di Ashoka per E4IMPACT  – Fondazione che offre master in Business Administration in 5 paesi africani – Giulio Quaggiotto, consulente per l’innovazione dell’Ufficio del primo Ministro degli Emirati Arabi Uniti e associato di Nesta – rinomata fondazione inglese sull’innovazione.

Oltre a ricevere un premio in denaro, i vincitori saranno invitati in Italia in occasione dell’evento finale del programma Innovazione per lo Sviluppo, previsto per il prossimo autunno. In quell’occasione avranno la possibilità di incontrare e confrontarsi con realtà imprenditoriali e centri di ricerca italiani, potenzialmente interessati a sostenere o sviluppare ulteriormente i progetti vincitori.
Il premio “ICT for Social Good” è organizzato da Ong 2.0, CISV, Fondazione Mission Bambini, Opes Impact Fund, con il sostegno strategico e finanziario di Fondazione Cariplo e Compagnia di San Paolo e la collaborazione di SocialFare, E4Impact, Nexa Center, MoxOff, Calandria. Media partner: Agenzia Dire.

ict for social good loghi

ICT for Social Good: un premio per gli innovatori locali

L’innovazione è una potente forza di sviluppo locale, capace di generare idee che rivoluzionano la vita delle comunità. Per questo, abbiamo deciso di organizzare un premio, dedicato a quella miriade di progetti, di realtà, di idee innovative create dal basso che spesso faticano a essere riconosciute e a partecipare ai programmi di sviluppo internazionale ma che rappresentano un terreno fertile da cui partire per costruire un nuovo approccio alla cooperazione internazionale e allo sviluppo locale.

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