Appunti, spunti e riflessioni raccolti nel corso della ricerca “Integrare le ICT nei progetti di cooperazione internazionale. Costruzione di un know-how per un uso strategico e sostenibile delle ICT4D da parte delle Ong italiane”, progetto cofinanziato da Volontari per lo sviluppo insieme a Fondazione Goria e Fondazione CRT nell’ambito del Master dei Talenti della Società Civile.

Autore
Serena Carta è laureata in Relazioni internazionali e tutela dei diritti umani presso la Facoltà di Scienze politiche di Torino. Per Volontari per lo sviluppo studia le ICT nella cooperazione e collabora alla realizzazione e organizzazione del programma formativo di Ong 2.0. Ha lavorato in un’agenzia delle Nazioni Unite occupandosi di e-Learning e comunicazione per il no profit. Nel tempo libero scrive di #cervellidiritorno sul magazine Vita non profit. Per segnalazioni su #ICT4dev, la trovate su Twitter: @SerenaCarta.
 
 

 

“Make, unmake, remake”: il motto del progetto Agbogbloshie Makerspace Platform

Quest’anno vincitrice del premio dell’Innovazione Urbana di Le Monde, nella categoria “Partecipazione cittadina”, l’Agbogbloshie Makerspace Platform è un progetto innovativo all’insegna dell’economia circolare che ha trasformato la più grande discarica di rifiuti elettronici al mondo in una risorsa per lo sviluppo dell’economia locale del Ghana. 

Di Anna Filippucci

Agbogbloshie è la più grande discarica di rifiuti elettronici al mondo. Essa si trova in un quartiere periferico di Accra, in Ghana. Computer, telefoni, elettrodomestici… tutti gli scarti tecnologici del mondo, frutto dell’obsolescenza programmata, si ritrovano qui, accatastati in questo luogo fuori dal tempo e spaventoso. Luogo che, non a caso, è stato soprannominato “Sodoma e Gomorra”.

Old Fadama è il nome dello slum che sorge negli immediati pressi di questa discarica. Gli abitanti della baraccopoli sono specializzati da generazioni nel recupero dei rifiuti di Agbogbloshie. Da decenni ormai, si tramandano informazioni sulle componenti metalliche preziose che possono essere isolate nei singoli oggetti e rivendute e/o riutilizzate per costruire altri apparecchi elettronici. La discarica è una delle cosiddette urban mining – miniere urbane – più sfruttate della terra: riciclare è la parola d’ordine. Allo stesso tempo, vi è un enorme problema di inquinamento correlato: i rifiuti infatti, per essere trattati, vengono sovente bruciati e i loro resti in parte dispersi nell’ambiente, nel terreno oppure trasformati in nubi tossiche, altamente dannose per la salute. 

Ciò che tuttavia appare davvero impressionante è l’expertise sviluppata dagli abitanti di questo luogo fuori dal comune: conoscere esattamente tutte le componenti di ogni oggetto elettronico costituisce un vantaggio enorme e sovente l’unica fonte di reddito per intere famiglie. L’approccio learning by doing è l’unico conosciuto e applicato: smontando, bruciando, riassemblando oggetti, gli emarginati della società hanno appreso come sfruttare al massimo qualsiasi scarto

Dall’osservazione di questa situazione prende vita il progetto dell’Agbogbloshie Makerspace Platform (AMP). Fondata nel 2013 da DK Osseo-Asare e Yasmine Abbas, entrambi laureati ad Harvard ed esperti di design, e aperta a tutti gli studenti di arte, tecnologia, scienze, ingegneria, chimica e matematica, questa piattaforma, digitale e fisica allo stesso tempo, ha permesso uno scambio di competenze e conoscenze inedito

Studenti, studiosi, insegnanti, abitanti della baraccopoli, tutti quanti hanno avuto la possibilità di contribuire alla realizzazione di un manuale open source grassroots e partecipativo: una lista di tecniche, saperi e conoscenze teoriche che permettano di riciclare i rifiuti in maniera rispettosa dell’ambiente e della salute. L’interazione tra persone provenienti da background completamente diversi ha permesso un’ibridazione di saperi tecnici, teorici e pratici e ha portato alla realizzazione anche di prodotti altamente tecnologici (dalle stampanti 3D ai droni!). 

Il processo è ancora in corso, ma esso ha finora coinvolto oltre 1500 persone, di cui 750 provenienti dall’ambiente universitario e altrettanti dalle baraccopoli di Agbogbloshie. Il risultato tangibile del progetto è una piattaforma appunto, chiamata dai partecipanti Spacecraft, composta da tre elementi: un chiosco modulare e facilmente trasportabile interamente creato con materiali riciclati e utilizzabile come laboratorio e punto vendita, delle cassette degli attrezzi personalizzabili in base a che cosa si vuole costruire e con quali materie prime e infine una app commerciale. Quest’ultima costituisce un incentivo importante per gli artigiani delle baraccopoli per rendere i loro prodotti più green: l’espansione del business al di fuori del quartiere, li spinge infatti a innovare maggiormente l’offerta. 

Il successo del progetto è dato innanzitutto dal fatto di saper mettere in relazione efficacemente domanda e offerta di prodotti finiti, ma anche di materie prime e saperi, il tutto in maniera innovativa e all’insegna dell’economia circolare. In secondo luogo, ed è così che si conclude la TED talk del co-fondatore di AMP, la piattaforma costituisce un esempio virtuoso di come l’Africa potrebbe guardare al futuro; soltanto costruendo un network efficace tra tutte le proposte innovative e grassroots già esistenti nel continente (dagli hub tecnologici, agli incubatori di start-up, ai saperi tradizionali e molto altro ancora), che travalichi ogni confine politico e nazionale, si può pensare a uno sviluppo co-partecipato, inclusivo e duraturo per l’Africa

Design Thinking e Data Visualization come risorse chiave per innovare la Cooperazione allo Sviluppo

Design Thinking per l’Innovazione Sociale e Data Visualization per il Bilancio Sociale: strumenti e metodologie innovative al servizio del mondo della cooperazione. Vuoi saperne qualcosa in più? Leggi l’intervista ai docenti e scopri il corso che fa per te!

Di Anna Filippucci

Innovare strumenti e metodi della cooperazione internazionale è una sfida ormai improrogabile. Con i corsi di formazione e i progetti che portiamo avanti, noi di Ong 2.0 cerchiamo di rispondere a quest’esigenza, contribuendo alla diffusione di nuovi approcci alla progettazione.

Sulla scia di quest’impegno condiviso, torna anche quest’anno il programma Innovazione per lo Sviluppo cui abbiamo contribuito realizzando 4 nuovi percorsi formativi articolati e completi, in collaborazione con Techsoup Italia. Si tratta di programmi dedicati agli operatori della cooperazione internazionale, ma adatti anche a chi vuole acquisire e mettere in pratica metodologie e strumenti innovativi nel sociale. 

Da due settimane ormai, sono aperte le candidature per i primi due corsi in partenza: Design Thinking per l’Innovazione Sociale e Data Visualization per il Bilancio Sociale.

Per introdurre i temi e i protagonisti dei due percorsi abbiamo deciso di intervistare Azzurra Spirito e Giovanni Pierantoni, rispettivamente docenti di Design Thinking e Data Visualization. 

  • Come e perchè ti sei inizialmente interessato/a al tema oggetto del tuo corso?

Azzurra: Nella mia pratica mi sono sempre occupata di abilitare le comunità ad agire per il bene comune. Inizialmente mi sono concentrata su comunità minoritarie e seconde generazioni, recentemente sono arrivata invece a concentrarmi su sviluppo di modelli e policy. Ho sperimentato moltissimi strumenti a tal fine, da forme innovative di costruzione narrativa fino alla progettazione sociale. 

La domanda ricorrente per me era “cosa serve realmente alle comunità per cui stavo progettando?”, con l’urgenza di attivarne le risorse nello sviluppare soluzioni realmente rispondenti alle loro esigenze e capaci di evolvere autonomamente. Il framework offerto dal design thinking e la sua permeabilità ad altri approcci mi ha mostrato come sia possibile raggiungere questi obiettivi, in ambiti e territori molto diversi.

Giovanni: Mi occupo di progettazione da oltre 15 anni. Una buona progettazione non esiste senza un attento e profondo studio del mondo in cui si vive e si opera. Parlando di design di prodotto, ad esempio, è impossibile fare un nuovo prodotto senza avere studiato nel dettaglio tutti i competitors, i rispettivi prodotti, le tecniche produttive, le campagne pubblicitarie, etc. Per fare questo, e va fatto molto bene, c’è bisogno di raccogliere tanti dati e informazioni di varia natura, e poi, in seconda istanza bisogna elaborare tutti i dati e renderli oggettivi e ben comprensibili a tutto il team. Quindi, concludendo, l’interesse nasce da una esigenza di comunicare nel modo più efficace importanti moli di dati.

  • Qual è il valore aggiunto che questo corso dovrebbe fornire a un cooperante?

Azzurra: Il design thinking è prima di tutto l’occasione di porre in dialogo le proprie competenze con uno specifico mindset, quello dei designer. Su questo aspetto può essere utile un chiarimento: quando parliamo di design non intendiamo quello tradizionalmente inteso come attenzione allo sviluppo di un prodotto, magari in ambito manifatturiero. La moderna concezione vede in questa professione la capacità di abilitare un sistema relazionale desiderato: stimolandolo e infrastrutturandolo attraverso comunicazione, prodotti e servizi. Questo corso assume quindi valore per chi opera nella cooperazione allo sviluppo in quanto offre la possibilità di acquisire strumenti di facile utilizzo, che allenino a queste competenze, e metodi/pratiche facilmente condivisibili con il proprio team e stakeholder. In particolar modo perché focalizzato rispetto all’Innovazione Sociale, una categoria che cresce con forza per la capacità di connettere esperienze diverse: riuscire ad acquisire il linguaggio che renda evidente questa relazione è davvero prezioso per chi opera in questa direzione e spesso fatica a renderlo riconoscibile.

Un testo fondamentale per approfondire e comprendere meglio il tema dell’Innovazione Sociale è il Libro Bianco Per l’Innovazione Sociale, di cui consiglio fortemente la lettura!

Giovanni: Prima di tutto una coscienza diversa del proprio lavoro. Il rischio che noi tutti corriamo è di dare per scontato e/o trattare come prassi il nostro lavoro, in realtà, ogni lavoro, è un bene ricco di dati e informazioni. Informazioni che, prima di tutto, bisogna avere coscienza di possedere e poi bisogna poterle condividere con successo al team e a tutte le persone presenti nell’intero processo.

  • Dicci qualcosa in più sulla metodologia del corso: cosa aspetta i partecipanti?

Azzurra: Ong 2.0 e TechSoup, con il supporto di Fondazione Cariplo e Fondazione Compagnia di San Paolo, rendono possibile un’occasione preziosa di formazione dedicata. Il percorso che abbiamo sviluppato permetterà ai partecipanti di acquisire nuove capacità e competenze, strutturate per essere agilmente trasferite al proprio team (anche) attraverso la sperimentazione su un caso concreto. Grazie alla library di video-pillole i partecipanti potranno iniziare a prendere dimestichezza coi concetti base del design thinking e dell’innovazione sociale, esplorando in autonomia i contenuti in funzione delle loro esigenze e disponibilità di tempo. All’avvio del percorso, con il mio supporto, identificheranno il proprio project work e attiveranno il team. Ogni martedì, a partire dal 12 gennaio, si alleneranno nell’uso degli strumenti alternando sessioni online di sperimentazione su casi condivisi ad approfondimenti teorici. Riceveranno feedback sull’avanzamento delle loro applicazione al project work, avendo così l’occasione non solo di acquisire competenze nuove ma di confrontarsi con colleghi attivi in diverse parti del mondo sviluppando una vera e propria comunità di pratica.

Giovanni: Da oltre quattro anni insegno in differenti Università, corsi di varia natura: dalla progettazione industriale, alla storia della grafica e dell’illustrazione, dalla morfologia all’ergonomia; questo fa sì che il metodo che applicherò ha delle forti e consolidate basi universitario/accademiche, nate però dalla pratica e dal lavoro di tutti i giorni. Per questi motivi le lezioni teoriche saranno sempre affiancate ad esempi pratici e nelle sessioni live i partecipanti saranno invitati a presentare i loro casi, di modo da discuterne e parlarne in maniera pragmatica.

Ambientalisti senegalesi in rete: un progetto di rimboschimento innovativo

Si chiama Ecopas, ed è un progetto per rimboschire la costa senegalese con oltre 10.000 alberi e promuovere la nascita di una politica ambientale sostenibile nella regione di Guediawaye, periferia di Dakar. A sostegno del programma, 400 organizzazioni della società civile si sono messe in rete utilizzando diverse tecnologie digitali. Per la prima volta, i giovani hanno seguito formazioni online, per potenziare la conoscenza collettiva dell’ambiente in cui vivono e del dramma dell’accaparramento delle terre che inasprisce i rischi ambientali e impedisce l’agricoltura, già provata dall’erosione costiera, dalla carenza d’acqua e dai forti venti. 

di Agnese Glauda

La cosiddetta ‘Nyiaes’ è un’area costiera a nord di Dakar che per le sue caratteristiche si presenta adatta all’agricoltura. Tuttavia, il cambiamento climatico sta sottoponendo a forte pressione gli agricoltori che, come se non bastasse, spesso vengono espropriati delle loro terre per dar spazio alla costruzione di complessi residenziali. Lo scenario è alquanto complesso: il mare avanza di 1.33 m all’anno e allo stesso tempo l’acqua per la popolazione non è facilmente accessibile, molte abitazioni non sono infatti allacciate all’acquedotto, altre hanno l’acqua razionata poche ore al giorno.

Negli anni, lungo la costa, era stata creata una fascia di filaos, alberi preziosi perché forniscono protezione per i campi coltivati dai forti venti marini. Questa banda è oggi pressoché scomparsa a causa dell’accaparramento delle terre da parte dello Stato e di multinazionali straniere. Questo fenomeno drammatico, presente in molte parti dell’Africa, viene definito land grabbing.

Il team di Ecopas – Archivio CISV: Vittorio Avataneo

In quest’ ottica è nato il progetto Ecopas, promosso dall’ong CISV in collaborazione con SUNUGAL, Hydroaid e FONGS e finanziato dall’Unione Europea. Il progetto, iniziato nel 2018, ambisce a creare una politica di tutela dell’ambiente condivisa da una rete di 400 organizzazioni della società civile e 200 micro-imprese verdi. In particolare, quelle gestite da donne e giovani. Il focus è posto sul rimboschimento della banda di filaos per arrestare l’avanzata dell’oceano. Nel primo anno i volontari hanno piantato 5.000 nuovi alberi, grazie al progetto e al sostegno popolare. Inoltre, attraverso la formazione fisica ed online, le piccole imprese agricole, agroforestali, di gestione dei rifiuti e difesa della biodiversità hanno acquisito nuovi strumenti di lavoro. I comuni interessati sono Sam Notaire, Ndiarème Limamoulaye, Wakhinane Nimzatt e Yembeul Nord e finora più di 2000 giovani sono stati coinvolti .

Secondo Ousseynou Mbodgi, amministratore del progetto la sfida più urgente è: “La scarsità d’acqua e i venti forti che vengono dal mare ora che manca la protezione dei filaos.” Alcune zone ricevono acqua solo due o tre ore al giorno. Per questo motivo gli abitanti usano pompe elettriche per estrarla dalle falde, che però non sempre sono potabili. Anzi, facendo così peggiorano la qualità dell’acqua delle falde, perchè intercettano fosse di scarico delle case di periferia non allacciate alla fognatura. ”

Un giovane volontario pianta una palma – Archivio CISV: Vittorio Avataneo

I giovani spesso vivono in periferia perché non possono permettersi di abitare in aree più centrali. Conoscono molto poco la zona e i problemi locali come l’accaparramento di terra e la scarsità d’acqua. Ma non solo, Mbodgi, mette in evidenza come le conoscenze siano ancora scarse anche riguardo ai problemi globali. “Il risveglio della coscienza ambientale dei giovani senegalesi sia in ritardo; anche se qualcosa inizia a muoversi.”

Il progetto ha un carattere innovativo perché combina la prima esperienza di formazione online con la prima esperienza in un’area periferica di una grande città, racconta Mbodgi. “Per quanto riguarda la progettazione, abbiamo usato i social per comunicare con i partner internazionali ma anche per organizzarci all’interno dell’equipe dirigente. Per i giovani abbiamo creato pagine facebook per diffondere i materiali per la formazione. I nostri archivi sono stati dematerializzati su drive, insieme a tutte le carte amministrative. Quando i corsi si sono conclusi abbiamo regalato a tutti i partecipanti un archivio digitale delle risorse su chiavetta usb.”

Momento di formazione – Archivio CISV : Vittorio Avataneo

L’innovazione ha portato con sé alcune sfide che Mbodgi sintetizza con “la mancanza di connessione e di infrastrutture digitali (computer, smartphone etc.)”. Per ovviare a questa situazione i giovani si sono recati in internet cafè. I promotori del progetto hanno invece organizzato alcuni incontri conclusivi per ricapitolare i contenuti, dando a tutti la possibilità di ascoltare una sintesi del percorso di formazione e confrontarsi.

Nonostante le difficoltà incontrate, il progetto Ecopas ha avuto un gran successo. Secondo il suo amministratore, il più grande obiettivo raggiunto è stata la collaborazione tra le varie organizzazioni ambientaliste della società civile, anche tramite l’uso della tecnologia. “Molte sono appena nate e composte da giovani che hanno molta volontà ma poche conoscenze. La formazione è di grande aiuto in questo senso. Massimizzare la collaborazione tra i partner è di fondamentale importanza per la tutela dell’ambiente sul lungo periodo.”

ICT for Social Good: i 25 finalisti

Il premio “ICT for Social Good” entra nella fase finale. Dopo i primi tre mesi di selezione, la rosa dei candidati ai due premi da 10.000 e 12.000 euro, messi in palio dal programma Innovazione per lo Sviluppo e da Fondazione Mission Bambini Onlus, si restringe a 25. Vi presentiamo gli straordinari progetti della “short list” finale, che nel prossimo mese saranno al vaglio di una giuria internazionale d’eccellenza.

di Viviana Brun

 

I 233 progetti innovativi arrivati da 57 Paesi del mondo, negli ultimi tre mesi sono stati oggetto di un’attenta selezione, basata su criteri formali e di aderenza alle richieste del regolamento e sull’analisi della documentazione aggiuntiva. I progetti che accedono alla fase finale della selezione sono 25.

Il Comitato Scientifico del Premio -composto da rappresentanti delle organizzazioni SocialFare, Fundacion Paraguaya, Moxoff, E4impact e Nesta– è già al lavoro per valutare i progetti, ponendo grande attenzione all’innovazione sia dal punto di vista tecnologico che della metodologia e degli approcci adottati. Il tutto senza tralasciare l’impatto positivo generato dai progetti, vero protagonista di questo premio.

I vincitori verranno resi noti a fine settembre e premiati ufficialmente durante gli Open Days dell’Innovazione previsti a Milano, il prossimo 6 e 7 novembre.

 

Il profilo dei finalisti

I 25 innovatori arrivati in finale provengono da sedici Paesi diversi. I Paesi più rappresentati sono Nigeria e Kenya, entrambi con quattro progetti. La presenza africana è molto forte, venti dei progetti finalisti provengono proprio da questo continente. Si aggiungono poi due progetti indiani, un progetto della Bosnia Herzegovina, uno della Cambogia e uno della Colombia.

Quasi il 40% dei progetti finalisti è stato presentato da donne, 9 su 25, assicurando una buona rappresentanza femminile tra i finalisti. Se si parla spesso di gap di genere nell’accesso alla tecnologia, le innovatrici di ICT for Social Good sembrano smentire questa tendenza. I progetti realizzati da donne sono passati da circa il 25% delle candidature totali al 36% di quelle in finale, dimostrando un alto livello di competenza e qualità delle proposte presentate.

Tra i temi maggiormente affrontati ci sono agricoltura e sanità, ma anche il tema dell’educazione e della partecipazione alla vita politica e sociale è presente in molte proposte. Sette dei progetti finalisti sono dedicati in particolare al mondo dell’infanzia e concorreranno per il premio dedicato, messo in palio da Fondazione Mission Bambini Onlus.

 

Ecco i 25 finalisti

 

  • Muhammad Abdullahi di eTrash2Cash, un’applicazione che permette alle persone di raccogliere e vendere i rifiuti che possono essere riciclati, in cambio di un pagamento via mobile. Il progetto garantisce così un ricavo alle persone più indigenti e produce un impatto positivo sull’ambiente in Nigeria.
  • Elijah Amoo Addo di Food for all Africa che in Ghana ha creato una piattaforma che permette di segnalare la presenza di cibo in eccesso, destinato a essere sprecato, e di organizzare la distribuzione mirata alle persone, soprattutto bambini, denutrite o a rischi di malnutrizione.
  • Bukola Bolarinwa di Haima Health Initiative, un’applicazione nata per contrastare il mercato nero delle trasfusioni di sangue in Nigeria e favorire l’incontro dei donatori con i pazienti e i centri sanitari.
  • Ahmed Karim Cisse di Connexion Sans Frontiere, utilizza le ICT per un progetto di telemedicina dedicato soprattutto ai pazienti traumatologici, vittime di incidenti stradali in Senegal.
  • Albin Mathias Fiita di Potential Enhancement Foundation, ha installato nelle scuole in Tanzania laboratori informatici alimentati con energia solare, utilizzando computer Raspberry Pi a basso consumo e software open source per rendere i laboratori sostenibili nel tempo.
  • Kristin Gaensicke di Riziki Source, piattaforma, sviluppata in Kenya, che permette di far incontrare la richiesta di lavoro delle persone con disabilità con le posizioni disponibili più adatte. Le informazioni del database vengono inserite tramite sms, in modo che anche i disabili residenti in aree rurali o che non hanno accesso a internet possano aggiornare facilmente il proprio profilo.
  • Elizabeth Kperrun di Lizzie’s Creations in Nigeria ha sviluppato due app per bambini AfrotalezTeseem. La prima aiuta i bambini a riscoprire le favole tradizionali, divertendosi e imparando con tanti contenuti educativi. La seconda è dedicata all’apprendimento delle lingue. Molti bambini nigeriani non conoscono l’inglese, quest’app tiene conto di tutte le lingue locali e propone contenuti in Inglese, Hausa, Swahili, Igbo e Yoruba.
  • Suzana Moreira di Mowoza, in Mozambico ha creato Mabiz piattaforma educativa che forma le donne alle basi del commercio, in modo che possano avviare un piccolo business o rendere più efficiente quello attuale. Le formazioni e il monitoraggio avvengono anche a distanza via SMS e whatsapp.
  • Clever Mukove di Knowledge Transfer Africa, in Zimbabwe ha lavorato alla creazione di eMKambo un’applicazione web e mobile dedicata a scambiare informazioni sui temi agricoli, sui prezzi di mercato e a mettere in comunicazione produttori e commercianti. All’applicazione è stato abbinato anche un servizio di call center.
  • Jennifer Nantale di Nyaka School, in Uganda ha sviluppato Patient App Care un servizio di mHealth per migliorare l’accesso delle persone alle cure sanitarie.
  • Grâce Françoise Nibizi di SaCoDé, in Burundi forma e sensibilizza i cittadini, soprattutto donne, sui temi della salute sessuale e riproduttiva grazie a un sistema di invio di SMS.
  • Margaret Njenga di @iLabAfrica, lavora alla realizzazione di un sistema di monitoraggio dei fondi pubblici in Kenya, aumentando la trasparenza e permettendo ai cittadini di partecipare e interagire direttamente con i politici e gli amministratori locali, attraverso una piattaforma web e l’invio di sms.
  • Achiri Arnold Nji di Traveler, piattaforma che usa i big data, i sistemi GPS e i sensori per monitorare le performance degli autisti degli autobus, migliorare la sicurezza dei passeggeri e la risposta in caso d’incidente in Camerun.
  • Henri Nyakarundi di Shiriki Hub, in Ruanda ha realizzato dei chioschi solari portatili che permettono a chiunque di collegarsi a contenuti via internet o intranet e ricaricare il proprio device. In questo modo, l’accesso alle informazioni viene garantito anche alle persone che vivono nelle zone rurali più isolate.
  • Francis Obirikorang di AgroCenta, piattaforma agro-tech creata in Ghana, offre una serie di servizi dedicati ai piccoli agricoltori, che vanno dal supporto alla vendita online alle informazioni su prezzi e possibili acquirenti.
  • Simeon Oyando Ogonda di Education for Change, in Kenya utilizza la piattaforma m-shamba per formare le persone delle aree rurali all’uso di metodi alternativi green per cucinare il cibo e gestire i parassiti in agricoltura.
  • Daniel Oulai di Grainothèque, la prima biblioteca comunitaria della Costa d’Avorio dedicata alle sementi di qualità, per preservare la biodiversità africana ma anche per garantire l’accesso ai giovani coltivatori alle sementi tradizionali e a corsi di formazione. Il progetto è accompagnato dalla creazione di una piattaforma web dedicata alla riproduzione delle sementi, a come adattare la produzione agricola ai cambiamenti climatici e a migliorare la commercializzazione dei prodotti locali.
  • Emmanuel Owobu di MobiCure, in Nigeria ha sviluppato l’app OMOMI che permette alle madri di monitorare la salute e la crescita dei propri bambini, ricevendo consigli mirati per le varie fasi di vita dei figli.
  • Alexie Seller di Pollinate Energy, in India offre prodotti ecologici in grado di migliorare la qualità della vita delle persone all’interno delle periferie indiane e usa la tecnologia mobile per gestire le rate dei pagamenti.
  • Victor Shikoli di Hydrologistics Africa in Kenya ha sviluppato HydroIQ, un dispositivo GPS che utilizza i sensori e l’Internet delle cose per monitorare in modo automatico i sistemi di approvvigionamento idrico esistenti e raccogliere dati sull’uso dell’acqua, la qualità e le perdite. Questo sistema consente di valutare l’efficienza del sistema idrico, il consumo effettivo dell’acqua, la capillarità sul territorio, evitando sprechi e consentendo il corretto pagamento delle bollette.
  • Sumeysh Srivastava di Nyaaya, piattaforma web sviluppata in India, che grazie a guide, tutorial e all’uso delle varie lingue locali, rende accessibili ai cittadini le leggi dello Stato, garantendo a tutti la comprensione dei propri diritti.
  • Sovan Srun di Edemy, in Cambogia, ha creato un sistema per rendere le performance degli studenti delle aree rurali in linea con quelle dei centri urbani, migliorando la formazione di studenti e insegnanti senza bisogno della connessione a Internet ma attraverso l’uso di un computer Rasberry a basso costo e di un software educativo sviluppato ad hoc.
  • Branko Vasiljevic di Civil Patrols, applicazione sviluppata in Bosnia Herzegovina, che permette ai cittadini di contribuire a rendere più rapido ed efficiente l’intervento delle forze dell’ordine, segnalando i casi di violenza o di delinquenza.
  • Emily Warne di Health Builders, utilizza le ICT per mettere in rete e digitalizzare le informazioni mediche per rendere più efficienti i centri sanitari in Ruanda.

 

 

ict for social good 2017 partners

 

 

 

 

 

 

ICT for Social Good: gli innovatori ci mettono la faccia

Sono arrivati un po’ da tutte le parti del mondo, i video di presentazione degli innovatori che hanno superato la prima fase di selezione del Premio ICT for Social Good, ideato da Ong2.0 e realizzato all’interno del programma Innovazione per lo Sviluppo, grazie al supporto di Fondazione Cariplo, Compagnia di San Paolo e alla collaborazione di Fondazione Mission Bambini Onlus.

di Viviana Brun

 

Racchiudere in trenta secondi il proprio progetto, la propria idea, ciò per cui si lavora con passione ogni giorno, non è certo un’impresa semplice. Sono stati molti gli innovatori del PremioICT for Social Good” che hanno accettato questa sfida con grande entusiasmo e hanno provato a raccontarsi in pochi istanti.

Nasce così questa galleria di video che offre uno spaccato di quanto il mondo dell’innovazione sociale sia popolato da persone diverse per provenienza, aspirazioni, età… segno di come le ICT siano strumenti versatili, adattabili a contesti e necessità varie, al servizio di uno sviluppo che si fa sempre più inclusivo.

 

Guarda la playlist di tutti i video

 

Un problema, un’idea

A ogni carenza c’è una soluzione, basta studiare quella più adatta. Sembra essere proprio questo il pensiero che ispira il lavoro dei partecipanti a questa prima edizione del premio “ICT for Social Good“.

E così se in Bosnia e Herzegovina i cittadini non si sentono abbastanza sicuri, possono contribuire a rendere più rapido ed efficiente l’intervento delle forze dell’ordine, segnalando tramite l’app Civil Patrols i casi di violenza o di delinquenza.

Mentre in Colombia, per aiutare le persone sorde a superare le barriere comunicative che incontrano ogni giorno, è stato studiato un interprete virtuale disponibile da pc e smartphone.

In Nigeria, per contrastare il mercato nero delle trasfusioni di sangue e favorire l’incontro dei donatori con i pazienti e i centri sanitari, Bukola Bolarinwa ha fondato Haima Health Initiative, un’applicazione accessibile da pc e mobile.

In India, la piattaforma Nyaaya grazie a guide, tutorial e all’uso delle varie lingue locali, rende accessibili ai cittadini le leggi dello Stato, garantendo a tutti la comprensione dei propri diritti.

E se la cultura tradizionale africana va man mano perdendosi, l’app realizzata da Elizabeth Kperrun aiuta i bambini a riscoprire le favole nella propria lingua locale e a divertirsi e a imparare con tanti contenuti educativi in Inglese, Hausa, Swahili, Igbo e Yoruba.

Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, in Camerun i decessi causati dagli incidenti stradali superano del 40% quelli dovuti alla malaria, per questo Achiri Arnold Nji ha deciso di sviluppare Traveler una piattaforma che usa i big data, i sistemi GPS e i sensori per monitorare le performance degli autisti degli autobus, migliorare la sicurezza dei passeggeri e la risposta in caso d’incidente.

 

L’innovazione sociale non è solo questione di tecnologia

Non tutti sviluppano soluzioni nuove o altamente tecnologiche. In Benin, dove l’albinismo è una malattia vista con molta diffidenza e fonte di grande discriminazione, Franck Hounsa ha formato al “blogging” e alla scrittura digitale un gruppo di 20 albini perché possano fare informazione corretta, aiutando altre persone affette a uscire dall’isolamento e facendo sensibilizzazione tra la popolazione, per combattere e prevenire la diffusione di forme di pregiudizio e di discriminazione.

In Costa D’Avorio, Daniel Oulai ha unito offline e online attraverso la creazione di “Grainothèque”, la prima biblioteca comunitaria ivoriana dedicata alle sementi, nata per preservare la biodiversità africana ma anche per garantire l’accesso ai giovani coltivatori a sementi autoctone di qualità. Il progetto è accompagnato dalla creazione di una piattaforma web dedicata alla riproduzione delle sementi, a come adattare la produzione agricola ai cambiamenti climatici e a migliorare la commercializzazione dei prodotti locali.

 

Agricoltura e salute tra i temi più ricorrenti

Sono molte le soluzioni dedicate all’agricoltura così come i prodotti e i servizi che hanno come obiettivo la salute e l’empowerment soprattutto femminile.

In Burundi, dove la rete Internet non è ancora capillare sul territorio ma è forte la necessità di diffondere informazioni corrette sui temi della salute sessuale e riproduttiva, l’associazione SaCoDé ha messo in piedi un sistema d’informazione via SMS.

Mentre in Nigeria, Emmanuel Owobu, ha creato MobiCure, un’app che permette alle madri di monitorare la salute e la crescita dei propri bambini, ricevendo consigli mirati per le varie fasi dello sviluppo.

In Mozambico, Suzana Moreira si occupa di migliorare l’accesso delle donne all’imprenditoria grazie a un programma di formazioni e al supporto diretto, via SMS e social media.

Tra i video ricevuti, non mancano anche alcuni esempi italiani. Le organizzazioni IPSIA, CINI ItaliaGlobal Health Telemedicine Onlus hanno raccontato i progetti innovativi che stanno realizzando in diversi Paesi del mondo nel campo della formazione, della tutela delle donne e della lotta ai matrimoni precoci e della telemedicina.

La regola base per tutti è privilegiare l’efficacia, non l’utilizzo della tecnologia fine a se stessa, ma l’utilizzo delle ICT come strumento per avere un impatto reale e produrre un miglioramento concreto a livello locale.

 

ict for social good grant 2017

ICT per i diritti umani, la democrazia e l’attivismo

ICT for human rights, democracy and activism è il sesto modulo, appena concluso, del percorso di formazione “ICT Innovations for Development”, durante il quale si è approfondito il ruolo delle ICT nella promozione e nella difesa dei diritti umani.

 

Il corso ha permesso ai partecipanti di studiare come le ICT possano essere utilizzate all’interno di processi democratici e nell’attivismo. Il modulo si è concentrato nello specifico su come le nuove tecnologie possano essere utilizzate dalla popolazione e dalle ong per monitorare, mostrare e far fronte alle violazioni dei diritti umani. Inoltre, sono stati analizzati i rischi e le conseguenze legate call’uso delle ICT e alla comunicazione digitale. Con lo sviluppo delle tecnologie e delle tecniche di sorveglianza e di monitoraggio online, infatti, gli attivisti di tutto il mondo sono spesso i primi destinatari di questi controlli, quindi il modulo ha analizzato anche tecnologie, piattaforme e tecniche di “anti-sorveglianza”.

Grazie alla partecipazione di diversi esperti, come Satu Valter, attivista anti-razzista e capo del No Hate Speech Campaign in Finlandia, Dr Dan McQuillan, professore a Goldsmiths, Università di Londra e una delle 93 persone che sono state torturate durante il G8 di Genova nel 2001, e Ron Salajattivista per i diritti umani e per la difesa dell’ambiente, durante le lezioni sono emersi molti temi, casi studio, strumenti pratici, piattaforme e applicazioni.

Satu Valtere ha avviato l’analisi di queste tematiche a partire dal concetto di “diritti umani”, evidenziandone le principali caratteristiche, i valori, ma anche i conflitti e i dilemmi, seguiti da un caso studio dalla Finlandia. Satu ha riportato come esempio la No Hate Speech Campaign, una campagna europea lanciata dal Consiglio d’Europa, per analizzare vantaggi e svantaggi delle campagne per i diritti umani promosse dalle organizzazioni internazionali. Considerando che questa campagna si concentra sulla lotta all’hate speech online, è nata un’interessante discussione sul dilemma che vede scontrarsi la libertà di espressione e l’hate speech e che pone la domanda di dove si collochi la linea di demarcazione che li separa.

Durante la seconda lezione Ron Salaj ha parlato del concetto di attivismo nell’era digitale, soffermandosi soprattutto sulle campaigning techniques degli attivisti e dei movimenti dissidenti: dalle tecniche di pubblicazione del samizdat, al sabotaggio culturale e alle radio pirata.
Lattenzione si è poi concentrata su come l’attivismo sia cambiato con l’avvento di internet. Basti pensare a quando gli attivisti hanno chiuso per ore il sito della compagnia aerea Lufthansa utilizzando un attacco DDoS per protestare contro la deportazione degli immigrati con gli aerei della compagnia; o all’utilizzo del Google Bombing, sfruttato dal gruppo English Disco Lovers in senso anti-razzista.

28476745294_3f9e28e373_bDan McQuillan ha invece approfondito il concetto di open source intelligence. Partendo dal significato di “tecniche di sorveglianza”, che etimologicamente indica il “guardare dal basso”. Per illustrare questa tecnica il docente ha descritto il caso Rodney King a Los Angeles e il #BlackLivesMatter, un movimento internazionale di lotta alla violenza e al razzismo contro le persone di colore; il movimento è coordinato, ma decentralizzato e senza un leader, e si distingue per la sua etica inclusiva, coinvolgendo donne, attivisti LGBT, ecc.

Nel corso dell’ultima lezione, tenuta dallo stesso docente, si è parlato di online surveillance and tracking, di sorveglianza e monitoraggio online. In particolare, si è cercato di ampliare le abilità pratiche dei partecipanti tramite la dimostrazione e l’utilizzo di diversi strumenti e piattaforme, quali Lightbeam, il plugin di Mozilla che aiuta l’utente a verificare in diretta se qualcuno sta seguendo le sue mosse online; e Panopticlick, un progetto di ricerca di EFF o Tor browser, un sistema per mantenere il browser e le ricerche sul web anonime.

Infine, parte della lezione è stata dedicata alla discussione sull’utilizzo da parte di grandi democrazie di avanzati strumenti di spionaggio, in contrapposizione alla nascita di nuovi movimenti, il cui obiettivo è quello di resistere, agire ed educare contro il monitoraggio online. Un esempio su tutti? Cryptoparty un movimento decentralizzato che mira a formare e informare sulla protezione personale nello spazio digitale.

Un nuovo “mobile money ecosystem”

Si è da poco concluso anche il settimo modulo del corso ICT Innovations for Development tenuto da Gianluca Iazzolino e dedicato interamente all’utilizzo delle nuove tecnologie nell’ambito dell’inclusione finanziaria.

Il settore dei servizi finanziari digitali si amplia sempre più velocemente; in poco tempo si è passati dalla semplice possibilità di pagare tramite mobile, alla possibilità di effettuare transazioni e operazioni più complesse, come prestiti o assicurazioni, utilizzando un dispositivo come il cellulare o il tablet. Ormai non si parla più solamente di mobile banking, di “un sistema cioè che permette ai clienti di istituzioni finanziarie di accedere al proprio account tramite un dispositivo mobile”, ma di mobile money, “un network di infrastrutture per depositare e trasferire denaro facilitando il cambio da cash alla valuta elettronica tra diversi attori”(Kendall et al. 2012), “un’innovazione strategica per tagliare i costi e rafforzare la portata dei servizi finanziari” (Porteous 2007; Kumar, McKay and Rotman 2010; Donovan 2012).

MasterCard Foundation's partnership with Opportunity International and Opportunity Bank is expanding access to financial services to 1.4 million people, particularly in rural areas. Mobile phone banking is a large component of these activities. Julius Sakiaiiuu at his mobile phone shop and mobile money kiosk in Kanjuki Village. Julius received loans from Opportunity Bank to expand his mobile phone shop in Kanjuki Village. "Before mobile banking, I would have to bay 10,000 shillings to go to the nearest bank branch to deposit 10,000 shillings," he said.Oggi, spiega Iazzolino, si delinea quindi un nuovo mobile money ecosystem, in cui gli attori coinvolti non sono più solamente le banche e i loro clienti, ma tutte le istituzioni e gli attori che offrono servizi finanziari, gli operatori, i proprietari di attività, i produttori, gli utenti, ecc. Lo scenario è quindi quello di un network, di una nuova partnership di digital financial actors, che sviluppa nuove relazioni, nuovi scambi e nuove opportunità.

In questo scenario emerge con prepotenza il tema dell’inclusione finanziaria, focus specifico delle lezioni del settimo modulo del corso. “L’accesso per tutti a un gran numero di servizi finanziari – risparmio, entrate, assicurazione e pagamenti – offerti in modo responsabile e sostenibile da una serie di providers in un ambiente ben regolato”(Porter, 2015) è la precondizione per lo sviluppo, soprattutto nei Paesi a basso reddito, e secondo molti costituirebbe un elemento importante nella lotta alla povertà.

Iazzolino tuttavia mette in guardia sulle problematiche che l’inclusione finanziaria può trovarsi ad affrontare in questa nuova compagine mondiale e sulle conseguenze che questa può avere. In particolare, la grande componente digitale del settore finanziario ha portato oggi alla “capitalizzazione dei dati e delle informazioni personali”, la cosiddetta “datafication”. Questa deriva dell’utilizzo della tecnologia nel settore, offre sì possibilità importanti, ma rischia anche di condurre a una maggiore esclusione di alcune persone che vivono in determinate condizioni.

Immagine2Il docente riporta due esempi africani: Branch e Firstaccess, due providers di servizi finanziari. Sono sostanzialmente due app che è possibile installare sul telefono; queste acquisiscono tutte le informazioni sull’utente a partire dai dati del suo cellulare, dalle sue attività, dai social media, dalle transazioni economiche, ecc. e sulla base di queste un algoritmo valuta le condizioni finanziarie dell’utente, permettendogli o impedendogli l’accesso ai diversi servizi. I dati diventano quindi una fonte di valore, sulla base della quale includere o escludere una persona dalla grande costellazione dei nuovi servizi finanziari.

Un altro aspetto (tra molti altri) che il docente spiega per ottenere una vera inclusione finanziaria è il contesto locale. La sola esportazione di piattaforme, tecnologie o modelli finanziari non sarà mai davvero efficace ed inclusiva, se la popolazione di riferimento non è disposta ad accettarla, se la tecnologia proposta è troppo avanzata, se nel contesto sociale in cui si desidera inserirsi non sono presenti le condizioni adatte per farlo.

Un esempio è Telesom Zaad, la prima piattaforma mobile money in Somaliland. “Il servizio offerto da Telesom è dilagato nel Paese essendo molto attrattivo, poiché semplifica la vita alle persone” spiega Abdirahman Adan Shire, il Manager di Zaad Service, rispondendo a dei bisogni reali della popolazione locale.

ICT for Social Good: un premio per gli innovatori locali

L’innovazione è una potente forza di sviluppo locale, capace di generare idee che rivoluzionano la vita delle comunità. Per questo, abbiamo deciso di organizzare un premio, dedicato a quella miriade di progetti, di realtà, di idee innovative create dal basso che spesso faticano a essere riconosciute e a partecipare ai programmi di sviluppo internazionale ma che rappresentano un terreno fertile da cui partire per costruire un nuovo approccio alla cooperazione internazionale e allo sviluppo locale.

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Innovazione nel settore sanitario: basta un cellulare

La nuova edizione di “ICT Facts & Figures” dell’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (ITU) rivela che la copertura cellulare è ormai quasi onnipresente. Infatti circa il 95% della popolazione mondiale – sette miliardi di persone – vive in una zona coperta da una rete cellulare di seconda generazione. Le reti più avanzate a banda larga raggiungono invece quasi quattro miliardi di persone – circa il 53% della popolazione mondiale.
Il settore sanitario cerca di sfruttare al massimo la presenza ormai capillare dei telefoni cellulari e la fitta rete di relazioni che essi generano per garantire il maggior accesso possibile non solo alle cure sanitarie, ma anche alle informazioni e ai dati utili a pazienti, medici e operatori sanitari.

Di Laura Andreoli

 

L’uso della tecnologia mobile nel settore sanitario è il tema al centro del modulo “ICT for Health” del corso “ICT Innovations for Development”. Ne parliamo con Paola Fava, esperta in tecnologie per lo sviluppo e relatrice nel modulo in questione.

Paola ha una grande esperienza nell’ambito sanitario, sia tecnica che sul campo; ha potuto infatti lavorare all’implementazione di progetti di telefonia mobile in diversi Paesi, oltre che alla mappatura e all’analisi dei dati in questo settore. È co-fondatrice e Business Developer presso Gnucoop, una Cooperativa Sociale che sviluppa servizi e software per organizzazioni no profit, istituzioni pubbliche e agenzie umanitarie. La caratteristica specifica e unica della cooperativa è quella di produrre software libero e condivisibile, a cui tutti possano attingere e dare il proprio contributo.

Il modulo del corso verte nello specifico sulla m-health (mobile health), l’utilizzo dei telefoni cellulari nel settore sanitario, in particolare in contesti di paesi in via di sviluppo. Paola sottolinea la differenza tra questa e l’e-health, ossia l’eletronic health, “che considera diversi elementi, tra cui per esempio la telemedicina, in cui si usano delle applicazioni web piuttosto che altri sistemi per fare una diagnosi remota, quindi non necessariamente tramite l’utilizzo di telefoni. Il mobile-health è primariamente concentrato sull’utilizzo della telefonia mobile per o la raccolta dati o ad attività legate alla promozione della salute e delle pratiche sanitarie”.

In particolare, il telefono cellulare, sebbene esistano numerose altre tecnologie utili nel settore sanitario, vanta una diffusione mondiale e permette in molti casi di arrivare anche laddove non c’è copertura della rete internet. Le sue applicazioni e i suoi possibili utilizzi in campo sanitario sono quindi molteplici e differenziati.

Si può spaziare in quest’ambito da applicazioni mobile che permettono di identificare a partire dai sintomi il tipo di malattia, per poi portare alla definizione o al suggerimento del trattamento necessario, quindi una sorta di guida, a sistemi di messaggistica che ricordano all’utente per esempio se ci sono determinate scadenze da rispettare o visite che devono essere fatte. L’m-health può essere usato anche per delle campagne di salute, promuovendo ad esempio messaggi di igiene o di cura della persona. Il mobile health può essere usato anche per segnalare o monitorare i corsi di epidemie, e quindi una combinazione tra la telefonia e applicazioni web, dove delle mappe accompagnano i messaggi di warning per identificare e localizzare determinate malattie”.

È evidente quindi che non solo gli obiettivi e gli strumenti utilizzati nella m-health sono diversi e molteplici, ma lo sono anche i destinatari di queste tecnologie. Applicazioni, sistemi di messaggistica e chiamate possono essere infatti indirizzati a medici e operatori sanitari come strumenti di formazione, di diagnosi, di raccolta dati, ma possono essere sfruttati anche direttamente dai pazienti, per accedere a informazioni, per consulti, per organizzare appuntamenti e visite. “Ci sono diversi livelli”, ci spiega Paola, “all’interno dello stesso progetto ci possono essere diversi moduli utilizzati dai medici locali, dai community health workers o direttamente dai pazienti. Gli strumenti vengono quindi tarati a seconda dell’utente finale che li utilizza”.

Le ICT in generale e i telefoni cellulare in particolare possono avere un impatto importante sulle attività sanitarie e possono rappresentare un valore aggiunto fondamentale in questo settore. Grazie al cellulare infatti è stato possibile, ad esempio, digitalizzare le informazioni, per cui “molti degli errori che si farebbero inserendo i dati in un form cartaceo vengono automaticamente eliminati o per lo meno controllati”. Da qui deriva anche una netta accelerazione della comunicazione delle informazioni, che, come racconta Paola, vengono salvate nel telefono e condivise non appena sia presente una connessione internet. Per contro, la connessione internet può rappresentare anche un limite in alcuni casi nell’utilizzo di applicaziondownloadi o semplicemente del web laddove la connessione sia scarsa o assente. Riemerge qui la necessità di scegliere gli strumenti dell’m-health considerando non solo gli utenti finali, ma anche gli apparecchi che essi hanno a disposizione. Tuttavia Paola Fava rassicura che guardando al futuro questi limiti sono destinati a ridursi o addirittura a scomparire, dal momento che i sistemi di connessione e il network che ne deriva crescono costantemente e sono destinati a migliorare. “Anche le statistiche per il 2020 confermano che il numero dei telefoni aumenterà in tutta l’Africa, i sistemi di connessione e la connessione stessa miglioreranno”. Un problema riscontrato sul campo invece è dato dal possesso di oggetti tecnologici, che può generare gelosie e disparità a livello locale, nonché perplessità a causa del contrasto tra questi strumenti innovativi e contesti territoriali in cui talvolta non si riesce a rispondere nemmeno ai bisogni primari. “Ovviamente si tratta per chi deve implementare un progetto del genere di valutare bene questi aspetti e cercare di creare un sistema in modo tale da prevenire e rispondere a queste problematiche”.

Un elemento che influisce fortemente sulla definizione degli obiettivi, del target e degli strumenti per l’intervento nel settore sanitario è il contesto d’azione; Paola infatti afferma: “ogni contesto va analizzato a sé e vanno prese delle misure adeguate affinché il progetto sia efficace”. Tuttavia, dal momento che molti paesi in via di sviluppo vivono le stesse situazioni problematiche e difficoltà simili, grazie all’utilizzo del telefono cellulare, tecnologia comune e diffusa, gli strumenti e le innovazioni della m-health sono spesso replicabili anche in paesi diversi. Molti degli strumenti sviluppati e utilizzati nell’ambito sanitario sono quindi facilmente adattabili; inoltre, “se ci si serve di un software libero, di un software condiviso, sicuramente anche a livello più strettamente tecnologico e tecnico risulta più facile fare degli adattamenti che consentano l’applicazione di progetti e strumenti in zone diverse”.

Gli esempi pratici di m-health sono infiniti, Paola durante il corso ne affronta diversi.

Uno fra tutti è RapidSMS,strumento per i sistemi di messaggistica volti alla raccolta dati, che permette la semplificazione dei flussi di lavoro e il coordinamento di gruppo utilizzando i telefoni cellulari e gli SMS. Il sistema nasce per monitorare lo stato nutrizionale dei bambini. Gli operatori sanitari inviavano un messaggio contenente un codice in cui le cifre rappresentavano l’età del bambino, il peso, l’altezza, la circonferenza brachiale. In questo modo, senza l’utilizzo di alcuna connessione, era possibile la raccolta dati e la creazione di una piattaforma online.

FrontlineSMS invece è un sistema di raccolta e condivisione di informazioni tramite SMS, che non richiede connessione internet. FrontlineSMS è un software aperto che permette agli utenti di connettere diversi dispositivi mobile a un computer tramite messaggi; tramite questo strumento è possibile mandare e ricevere SMS e contatti di gruppi e rispondere ai messaggi. Questo servizio è stato utilizzato per monitorare le elezioni politiche in diversi paesi (Filippine, Afghanistan e Nigeria); nel 2010 dopo il terremoto di Haiti ha favorito la raccolta di informazioni sulla situazione di emergenza nel Paese. Nei PVS è molto utilizzato nel settore sanitario, soprattutto nella raccolta dati e nell’assistenza ai pazienti.

Twine è una piattaforma online sviluppata da Gnucoop e UNHCR che favorisce e facilita la raccolta, l’archiviazione e la gestione dei dati dell’Agenzia e dei suoi partner sulla situazione sanitaria nei campi profughi a livello locale, regionale e globale.

Photo Credit:CreativeCommons

Tecnologie differenti per un’educazione che cambia

Anche il quarto modulo del corso ICT Innovations for Development si è da poco concluso. Il docente Alfred Assey Mukasa durante tre incontri ha cercato di identificare e valutare insieme ai partecipanti le sfide globali dell’educazione, analizzando il ruolo che le ICT svolgono nella risoluzione dei problemi e delle difficoltà che oggi si incontrano in quest’ambito.

Di Laura Andreoli

 

Secondo la Global Partnership for Education l’educazione oggi si trova ad affrontare 10 sfide fondamentali:

1. Mancanza di accesso;

2. Scarso investimento nell’educazione, solamente una parte dell’investimento totale nell’ambito umanitario;

3. Conflitti globali e disastri naturali, che incidono sull’educazione;

4. Deficit di finanziamento anche a livello nazionale;

5. Squilibrio di genere nell’accesso all’educazione;

6. Costo dell’educazione eccessivamente alto nei Paesi in via di sviluppo;

7. Scarsità di insegnanti;

8. Insufficienza di classi e infrastrutture per l’educazione;

9. Insegnanti non sufficientemente qualificati, che portano a scarsa alfabetizzazione anche dopo quattro anni di scuola;

10. Disabilità e bisogni speciali, che spesso impediscono l’accesso all’educazione, soprattutto nei PVS.

 

Ma le sfide non finiscono qui. Nel mondo globalizzato di oggi, infatti, il contenuto dell’educazione continua ad ampliarsi e a modificarsi, così come i suoi strumenti e le tecnologie a sua disposizione. Essa rischia di diventare quasi obsoleta di fronte a cambiamenti così profondi e così rapidi e di fronte a un eccesso di informazioni tipico dei giorni nostri.

Alfred ha spiegato che per vincere queste sfide è necessario lavorare per la creazione di un’educazione che sia:

• Trasformazionale

• Distruttiva/creativa

• Misurabile

• Modulare

• Personalizzata

• Per il cambiamento comportamentale.

 

L’educazione deve quindi essere in grado di mutare e di adattarsi ai cambiamenti che il mondo oggi affronta, superando i modelli obsoleti che non rispondono più alle necessità degli allievi. Deve costruirsi sulla persona come singolo individuo con le sue specificità e come membro di una società di cui fa parte e a cui deve dare il suo contributo. “La scuola è fatta per l’istruzione, ma l’educazione, quella deve formare le persone ad essere cittadini e cittadini del mondo” riassume esaustivamente il docente.

Gli obiettivi dell’educazione del ventunesimo secolo quindi sono vari e complessi:

1. Aiutare l’allievo ad essere in grado di crescere e di raggiungere il suo massimo sviluppo come essere umano; l’educazione deve sviluppare i talenti innati dell’individuo e fare in modo che possa contribuire al miglioramento del contesto in cui si trova.

2. Rendere l’allievo “una persona ben istruita” per il ventunesimo secolo; non si parla solo di scuola e di istruzione, ma di educare una persona alla cultura, all’esistenza globale, ai problemi globali, al problem solving, ad agire e prendere iniziative. Si tratta di formare la persona nella sua interezza, affinché voglia e possa migliore e apportare un contributo positivo nella società in cui vive.

3. Risvegliare l’interiorità dell’allievo, sviluppandone curiosità e creatività; l’insegnante non dovrebbe quindi essere veicolo di conoscenze e nozioni, ma dovrebbe invece insegnare allo studente come imparare, come essere curioso.

4. Rimuovere la paura dell’apprendimento; essa nasce spesso dalla grande quantità di informazioni e tecnologie disponibili e utilizzabili che disorientano l’allievo.

5. L’insegnante deve preparare l’allievo ad imparare, deve offrirgli gli strumenti e le indicazioni per poterlo fare.

 

Dopo questa prima analisi del docente e un confronto tra i partecipanti sulla situazione attuale dell’educazione, Alfred si è concentrato sull’approfondimento delle possibili risposte tecnologiche e innovative alle sfide che l’educazione si trova ad affrontare.
Le ICT infatti sono state utilizzate in diversi modi e in molte occasioni anche nell’ambito dell’educazione: un esempio semplice e immediato è l’utilizzo dei computer nelle scuole; le ormai note piattaforme online per le università; i learning spaces, le aule virtuali di ultima generazione; l’utilizzo di strumenti tecnologici come lo smartphone o il tablet in aula, per ridurre la distanza che gli studenti vivono tra la scuola e la vita di tutti i giorni, portando in classe oggetti che utilizzano quotidianamente.
Gli esempi delle nuove tecnologie e delle loro applicazioni nell’educazione sono innumerevoli e variano a seconda del contesto in cui vengono utilizzate e delle problematiche cui devono rispondere.

Il docente si è soffermato in particolare sui MOOC – Massive Open Online Courses. I corsi aperti online su larga scala sono finalizzati ad una partecipazione illimitata e i partecipanti vi hanno libero accesso tramite il web; l’audience può essere quindi particolarmente numeroso e geograficamente dislocato, avendo eliminato il limite della presenza in aula.MOOC_poster_mathplourde

Certamente i MOOC costituiscono un esempio di come il rapido sviluppo tecnologico apra le porte a nuove possibilità nell’educazione, che oggi sta cambiando completamente forma, abbandonando gli schemi dell’educazione tradizionale.
Tuttavia, dalla discussione in aula (virtuale) è emerso che il cambiamento tecnologico e l’utilizzo di nuove apparecchiature e di strumenti innovativi come i MOOC spesso costituiscono una caratteristica tipica dei Paesi sviluppati e che quindi rispondono alle sfide specifiche di questi contesti.
In contesti più poveri, al contrario, spesso l’educazione deve invece affrontare problematiche come l’impossibilità di accedere all’istruzione, le differenze di genere, la mancanza di infrastrutture, ecc.
Nei Paesi che vivono queste difficoltà anche le soluzioni sono differenti; alcuni partecipanti del corso hanno riportato alcune loro esperienze, raccontando che le tecnologie realmente utili in quei Paesi sono i learning centers, strutture in cui chi sono resi disponibili dei computer comunitari e una connessione internet che le persone possono utilizzare, ad esempio per seguire dei corsi o per ricercare informazioni, sistemi che permettano di seguire lezioni dallo smartphone, anche senza connessione internet, applicazioni che utilizzano gli sms per trasmettere informazioni e che le traducono lingua locale, in modo che tutti possano comprenderle.

Una soluzione innovativa che risponda alle difficoltà dei contesti più poveri è nata proprio in Africa, a Nairobi, Kenya. Il KIO KIT, ideato e creato dalla Brck, “può trasformare qualsiasi classe in una classe digitale in pochi minuti“. Esso offre ai bambini che vivono in Paesi poveri la possibilità di imparare e divertirsi, utilizzando dei tablet che funzionano anche senza connessione internet, grazie ad una piattaforma integrata con diverse sezioni e materie di studio. Il KIO KIT è “un esempio di ciò che succede quando l’Africa progetta una soluzione per le scuole africane“.