Da Kibera a Mirafiori Sud, crowdmapping di successo

Chi ha detto che l’innovazione tecnologica può nascere solo nella Silicon Valley o tra i corridoi delle più prestigiose università europee? A Mirafiori Sud, borgata storica di Torino dove è nata la Fiat, un gruppo di ricercatori del Politecnico ha coinvolto i cittadini in un esperimento di crowdmapping utilizzando la piattaforma Ushahidi, che ha le sue radici in Kenya. Vediamo insieme cosa ha funzionato.

[Serena Carta – dalla rubrica ICT4dev]

Così come a Kibera (slum di Nairobi) nel 2008 è nata l’idea di raccogliere in una mappa online le segnalazioni dei cittadini che denunciavano le violenze post elettorali, allo stesso modo – ma in un contesto pacifico – gli abitanti di un quartiere di Torino sono stati invitati a segnalare online le barriere architettoniche che ogni giorno incontrano sotto casa. In entrambi i casi è stata adottata Ushahidi, la piattaforma di crowd (o community) mapping ad oggi più conosciuta e diffusa.

Crowdmapping e crowdsourcing

Il crowdmapping – che consente di trasformare input informativi in output visuali da analizzare – fa parte della grande famiglia del crowdsourcing, una modalità grazie alla quale si chiede a un gruppo di persone di trasmettere delle informazioni su quello che sta succedendo in un certo luogo. Se abbinato alle ICT, il crowdsourcing può semplificare il processo per cui l’utente – possessore di uno strumento tecnologico – si trasforma in cittadino attivo capace di fare sentire la sua voce e contribuire al raggiungimento di un obiettivo comune insieme a tanti altri individui. In questo senso, Ushahidi permette agli osservatori locali di inviare informazioni – tramite i loro telefoni cellulari o internet – che vengono raccolte, organizzate e visualizzate in un archivio temporale e geospaziale online accessibile da chiunque disponga di una connessione a internet.

Crowdmapping Mirafiori Sud: il progetto

Il progetto avviato a Mirafiori Sud ha utilizzato la metodologia del crowdsourcing per avviare un processo partecipativo allo scopo di creare dialogo e collaborazione tra la cittadinanza e la pubblica amministrazione. «Abbiamo scelto di dare la parola ai cittadini e raccogliere le informazioni sulla loro vita nel quartiere attraverso la tecnologia – dice Francesca De Filippi, coordinatrice del progetto e direttrice del Centro di ricerca e di documentazione in ‘Tecnologia, architettura e città nei Paesi in via di sviluppo’ del Politecnico di Torino – Da architetti e pianificatori, il nostro obiettivo era quello di individuare soluzioni e strategie per la pianificazione degli interventi di miglioramento». Francesca spiega che la grande potenzialità del crowdmapping sta nello «stabilire un luogo – la mappa online – che diventa il terreno comune e trasparente dove cittadino e pubblica amministrazione possono avere accesso alle stesse informazioni nello stesso momento. In questo ambiente, tutti hanno lo stesso diritto di sollecitare un bisogno e lo stesso dovere di dare una risposta. Questo significa che cittadino e PA condividono alla pari delle responsabilità; nella loro collaborazione, aumenta il legame e si instaura un sentimento di fiducia».

Nel corso di 6 mesi (aprile – ottobre 2013), una trentina di abitanti si sono messi volontariamente a disposizione del gruppo di ricerca del Politecnico. Come spiega Francesca, il team ha camminato in lungo e in largo per il quartiere: «In una prima fase abbiamo organizzato passeggiate di gruppo per vedere insieme quali erano gli ostacoli maggiori. Le abbiamo chiamate “transect-walk” e ci sono servite per poter definire le categorie da inserire sulla piattaforma Ushahidi. Dopo abbiamo ripercorso il quartiere insieme per geolocalizzare i problemi (o le soluzioni) con il cellulare. Questo lavoro è stato spesso intervallato da momenti assembleari, comunicazioni ai consigli circoscrizionali e riunioni aperte per comunicare il più possibile l’iniziativa, stimolare l’interesse di tutta la cittadinanza e fare formazione». In totale, sul sito del progetto, sono state raccolte 60 segnalazioni e oggi la Circoscrizione, il Comune e il Politecnico stanno cercando di capire come dare seguito all’iniziativa, sperimentando il metodo del crowdmapping su un periodo medio-lungo e adottandolo a livello istituzionale.

Cosa ha funzionato?

1) La conoscenza approfondita del contesto e la partnership già avviata con le associazioni locali, fondamentali nel fare da tramite tra il gruppo di ricercatori, la cittadinanza e le istituzioni.
2) La delimitazione dell’area di lavoro da mappare: il quartiere intero sarebbe stato troppo vasto e dispersivo.
3) La definizione chiara e coerente degli obiettivi da raggiungere.
4) La formazione dei cittadini, che sono stati accompagnati in maniera continuativa nelle diverse fasi del progetto. In questo senso, Francesca sottolinea «l’importanza di mettersi all’ascolto degli abitanti, veri protagonisti del progetto».

Chiarezza degli obiettivi e formazione degli osservatori locali sono i due elementi che gettano le basi affinché le segnalazioni siano pertinenti, facilitando così il monitoraggio della credibilità e attendibilità delle informazioni condivise.
5) Aver adattato la tecnologia ai cittadini. Spiega Francesca: «Non potevamo aspettarci che tutti avessero uno smartphone e che quindi fosse automatico scaricare Ushahidi. Abbiamo allora chiesto a un gruppo di colleghi del Politecnico (l’iXem Labs) di ovviare al problema, progettando un sistema grazie al quale abbiamo potuto ricevere le segnalazioni anche grazie a messaggi vocali».
6) Non aver delegato tutto alla tecnologia, essersi seduti intorno a un tavolo e aver camminato insieme. Per citare Francesca, «parlare di persona, stringere mani e guardarsi negli occhi sono state esperienze fondamentali e bellissime per iniziare con il piede giusto un percorso come il nostro. Grazie agli incontri periodici nel quartiere, abbiamo potuto riscontrare nei cittadini il fortissimo interesse di partecipare attivamente alla vita della propria comunità e, soprattutto, il desiderio di poter esprimere le proprie idee. Le domande e i commenti ricevuti durante le passeggiate, poi, ci hanno aiutato a rivedere alcuni concetti che forse avevamo dato per scontato».

Riflessioni conclusive 

1) La tecnologia è lo strumento, non la soluzione: aiuta a raggiungere gli obiettivi se considerata nella sua funzionalità e se adattata alle esigenze delle persone. Per riprendere le parole di Francesca, deve essere «personalizzata» e «umanizzata».
2) La parte tecnica è la più semplice. Ciò che richiede uno sforzo in più è la formazione delle persone che si vogliono coinvolgere: senza un accurato accompagnamento – e la creazione di un senso di responsabilità – si rischia di perdere la potenzialità del progetto.
3) Anche al Nord le ICT possono essere usate per promuovere benessere e cambiamento. Nel caso di Crowdmapping Mirafiori Sud, Ushaidi (spesso usata in contesti di crisi) è stata utilizzata nell’ottica delle “nuove tecnologie per il sociale” per stimolare la cittadinanza attiva e favorire la partecipazione pubblica. Un progetto come questo stravolge il rapporto convenzionale che vede un Nord “avanzato” aiutare un Sud “in ritardo”: a Mirafiori abbiamo visto che lo scambio di conoscenze è possibile ed è già realtà.


Leggi anche: 

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photo credit: mapmirafiorisud

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