Data Journalism, la nuova frontiera del giornalismo 2.0.
Con la crescita imponente della mole di dati, pubblici e privati, presenti sul web diventa sempre più necessario acquisire la capacità di “leggere”, interpretare, e rendere fruibili i dati per il grande pubblico. E’ così che nasce il Data Journalism, specializzazione giornalistica sempre più importante nel panorama dell’informazione attuale. Ne parliamo con Andrea Nelson Mauro, co-fondatore di dataninja.it e datamediahub.it e vincitore dei Data Journalism Awards con l’inchiesta #MigrantsFiles.
Ai dati, si sa si può far dire quello che si vuole. Ne sono un esempio i dati sulle migrazioni, di cui si è occupato a lungo Andrea Nelson Mauro, scoprendo, ad esempio, che non esistevano dati certi sulle morti dei migranti nel mediterraneo. Da qui è nata l’inchiesta The Migrants Files, condotta da Nelson Mauro in collaborazione con un team di 10 giornalisti europei ed il sostegno di Journalism Fund. Grazie al lavoro del team è stato possibile incrociare i due maggiori database sulle vittime delle migrazioni verso l’Europa (quello di Fortress Europe di Gabriele Del Grande e di UNITED for intercultural actions), portando alla luce dati inequivocabili, che nessuno aveva mai pubblicato: 23 mila morti in 10 anni. I dati di una guerra. Un esempio di come il data journalism può essere utile per fare chiarezza su questioni sociali corredate da fonti spesso incerte e contraddittorie.
Ma dunque che cos’è il Data Journalism? Come funziona? Quali sono le sue regole? Ne parliamo con Andrea Nelson Mauro.
Personalmente la considero una delle più promettenti e affascinanti specializzazioni del giornalismo moderno, nata e sviluppatasi a partire dal connubio perfetto tra una rivoluzione digitale di natura epocale e un’esigenza sempre più incalzante. La prima consiste nella pubblicazione massiva del bagaglio informativo pubblico/privato costituito dai miliardi di dati che sottendono qualsivoglia fenomeno sociale, economico, culturale etc e che, grazie ad internet, diviene accessibile, immediatamente fruibile e di pubblico dominio; La seconda riguarda la capacità di valorizzare tale bagaglio informativo, facendo un po’ d’ordine nell’universo caotico dei big data, focalizzando l’attenzione su un tema specifico (e relativi dati quantitativi) e costruendo attorno ad essi una storia, con parole semplici e con un occhio di riguardo per l’aspetto comunicativo.
Qual è il suo ruolo nell’era moderna?
È il medesimo ruolo che ha sempre avuto il giornalismo: trovare notizie rilevanti per il pubblico nel mare magnum dei fatti quotidiani, fissare e sviluppare i principali argomenti dell’agenda pubblica, fornire contesto ai fatti e inquadrarli in frame interpretativi condivisi, fornire un potere di controllo e verifica nell’ambito della società democratica. Ciò che lo contraddistingue e qualifica maggiormente è il metodo attraverso cui il giornalista assolve tale ruolo: la realizzazione di prodotti d’informazione nei quali il “dato”, opportunamente sistematizzato, rielaborato e analizzato, è parte integrante e ingrediente fondamentale della “notizia”; lo sviluppo di competenze e l’utilizzo di strumenti che non sono propri del giornalismo classico (statistica, programmazione, grafica etc.); la creazione di una rete di relazioni con altre figure professionali (sviluppatori / hacker, attivisti civici, ricercatori, designer);
Quali sono i pro e i contro del Data Journalism? A quali rischi si espone il Data Journalist?
Un approccio quantitativo al giornalismo, specialmente quando si tratta di giornalismo di inchiesta, è un valore aggiunto se non una necessità per comprendere e inquadrare i fenomeni in un quadro interpretativo coerente e corretto. Il data journalism incarna questo approccio (avendo a che fare con misure, dati quantitativi, procedure riproducibili) ed in senso assoluto non ha pro e contro. Come per tutte le professioni, il vero ago della bilancia è l’individuo (il data journalist) e la sua capacità di trovare di volta in volta un perfetto equilibro tra due esigenze: da un lato, utilizzare al meglio le proprie competenze teoriche e pratiche (pregresse e non), approcciando in maniera scrupolosa tutte fasi del “ciclo di vita” tipico di un prodotto data-driven; dall’altro, creare prodotti smart, con costi/tempi contenuti ma che allo stesso tempo rispondano a requisiti di qualità, accuratezza e originalità. Qualsiasi squilibrio tra le due esigenze espone il data journalist al rischio concreto di cadere in errore…e di errori se ne possono fare veramente tanti: valutazioni statistiche approssimative e inesatte; prodotti graficamente ineccepibili ma fini a se stessi; nessuna verifica delle fonti dei dati e delle metodologie adottate; rincorsa spasmodica alla “notizia” a discapito dell’approfondimento delle tematiche trattate.
Per approfondire questo tema è in programma il webinar gratuito con Andrea Nelson Mauro “Data journalism per comunicare lo sviluppo e le migrazioni” il prossimo 20 febbraio dalle ore 16 alle 17.
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