Digitale non vuol dire green; e se smettessimo di mandare mail?
Nella Giornata Mondiale della terra, mentre infuria il dibattito sul raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e dopo un anno che innumerevoli attività si sono convertite online a causa della pandemia, è importante ribadire che non basta essere digitali per non inquinare. Qualunque azione facciamo online, una ricerca, un acquisto, un post sui social network richiede che ci siano dei server, dislocati da qualche parte, che la elaborano. All’energia consumata dai dispositivi connessi (quali PC e smartphone) si aggiunge dunque quella di server, data center, infrastrutture di comunicazione e relativi sottosistemi. Si stima che entro il 2040 l’impatto del settore ICT sulle emissioni inquinanti arriverà a pesare per il 14%
di Silvia Pochettino
Se ognuno di noi decidesse di inviare anche solo una mail in meno, risparmieremmo circa 16.433 tonnellate di carbonio all’anno. Per fare una stima orientativa, sarebbero circa 81 mila voli aerei tra Roma e Londra. Lo rivelava già cinque anni fa uno studio dell’Agenzia francese per l’ambiente, riportato da Repubblica. Un messaggio da 1 megabyte emette 19 grammi di CO2, in pratica 8 mail inquinano come un km in auto. E di mail inutili ne mandiamo a bizzeffe! Secondo uno studio commissionato da Ovo Energy solo in Inghilterra si inviano ogni anno oltre 64 milioni di email inutili.
La cosa diventa ancora più inquietante se, andando oltre la semplice mail, cominciamo a considerare sistemi complessi come quelli di Intelligenza Artificiale (IA), che ormai pervadono gran parte della nostra vita quotidiana. Se da una parte gli algoritmi di IA possono contribuire in diversi modi a diminuire l’impatto inquinante sul pianeta, dall’altra i ricercatori dell’Università del Massachusetts, Amherst, eseguendo una valutazione sull’energia necessaria ad “addestrare” gli algoritmi di Deep Learning in NLP ( comprensione ed elaborazione del linguaggio naturale, utilizzati ad esempio per la traduzione automatica da una lingua all’altra), hanno rilevato che si arriva ad emettere 284 tonnellate di anidride carbonica equivalente, emissioni pari a quasi cinque volte quelle della vita media di un’auto americana, produzione inclusa.
Secondo lo studio “Assessing ICT global emissions footprint”, pubblicato sulla rivista Journal of Cleaner Production, l’impatto dell’intero settore delle ICT sulle emissioni globali di gas serra è triplicato in dieci anni; dal 2007, in cui le ICT contavano per l’1% delle emissioni inquinanti, le proiezioni indicano che entro il 2040 arriverà a pesare per il 14%. Per fare un paragone i mezzi di trasporto pesano sull’ambiente per il 20% e questo dato non è variato in maniera sostanziale nel corso degli ultimi cinquant’anni nonostante l’aumento del traffico (aereo, terrestre e marittimo), a causa di progressi tecnologici. Già oggi le tecnologie dell’informazione e della comunicazione rappresentano l’8-10% del consumo di elettricità in Europa e sono responsabili di emissioni di anidride carbonica pari a circa un 4% circa.
Stiamo parlando sempre di percentuali ridotte se confrontiamo l’impatto dell’industria pesante e della maggioranza dei servizi, tuttavia, difronte alla crescita esponenziale che stiamo vivendo nell’utilizzo delle tecnologie digitali non si può non porsi seriamente il problema. Secondo Greenpeace, che monitoa il settore IT dal 2010 , solo il 20% delle aziende si è impegnato a investire in energie rinnovabili, ed è particolarmente preoccupante l’assenza di politiche green in alcuni Paesi del mondo quali Cina, Taiwan e Corea del Sud.
Forse allora dovremo iniziare a interrogarci non solo quando prendiamo l’aereo per andare in vacanza o l’auto per andare al lavoro tutti i giorni, ma anche quando mandiamo quella mail di troppo al collega o pubblichiamo l’ennesimo post sui social per polemizzare su un caso di attualità o raccontare quello che abbiamo mangiato? Forse sì, e potrebbe essere molto più difficile del previsto