Finding Home: un progetto multimediale per raccontare le mamme rifugiate
La salute materna e neonatale è un aspetto della crisi dei rifugiati in Europa che viene spesso trascurato e di cui raramente si sente parlare. Eppure, solo nel 2016 sono state più di 1000 le donne rifugiate ad aver partorito in uno dei campi profughi che si trovano in Grecia. Diventare mamma e costruire una famiglia mentre si è in viaggio verso luoghi sconosciuti non è facile e i problemi – e traumi – da affrontare sono molti.
di Camilla Fogli
Con il progetto Finding Home, il TIME ha deciso di portare alla luce questo aspetto delle migrazioni, parlando dei problemi e delle difficoltà legate alla gravidanza e alla maternità direttamente con alcune mamme e famiglie che hanno dovuto affrontarli.
Finding Home è stato pensato per dare spazio e voce a questi bambini e ai loro genitori, seguendoli da vicino fin dalla nascita e documentando così il primo anno di vita di una nuova generazione denominata stateless, figlia di nessuna nazione.
Si tratta di un progetto giornalistico e multimediale a lungo termine – nel progetto originale della durata di un anno – che coinvolge importanti personalità del giornalismo internazionale già impegnate nel campo delle migrazioni. Un team tutto al femminile composto da Aryn Baker, direttrice dell’ufficio Africa del TIME, Lynsey Addario, famosa fotoreporter di guerra e Francesca Trianni, video producer italiana. Le tre giornaliste seguiranno per un anno le storie di quattro bambini e delle loro mamme in diversi campi profughi nella regione di Thessaloniki, in Grecia.
A raccontarsi in prima persona sono quattro donne, quattro giovanissime rifugiate siriane che hanno scoperto delle loro gravidanze sulla strada e che mai avrebbero immaginato di trovarsi a dover partorire in un campo profughi, lontane dalla casa da cui sono dovute scappare, lontane dalla Siria. Le storie raccontate però non riguardano solo queste donne, ma anche – e soprattutto – i loro bambini, che imparano a muovere i primi passi in un paese straniero, seguendo i loro genitori in un futuro incerto, alla ricerca appunto di una nuova casa.
Come si può capire dalle immagini e dalle parole delle protagoniste, la gravidanza durante la migrazione spesso significa solitudine, mancanza di condivisione e soprattutto di quel sostegno che queste donne erano abituate ad avere nei loro contesti di origine, dove hanno lasciato la propria rete di relazioni, familiari e non.
L’obiettivo è quello di avvicinarsi a queste realtà, per cercare di comprendere e mostrare al mondo le intense e intime sfide che si trovano ad affrontare queste famiglie. Il team del TIME segue e seguirà quattro di questi bambini per tutto l’anno successivo alla loro nascita, accompagnando le madri della sala parto alle loro case-tende e osservandole prendersi cura dei neonati in un ambiente senza acqua calda o lavanderia, senza giocattoli o posti sicuri per poter crescere un figlio. Le tre giornaliste seguiranno le famiglie tra le difficoltà giornaliere e attraverso il prossimo viaggio che decideranno di intraprendere, ovunque le porterà.
Le storie di Taimaa e Heln, Suad e Hamida, Nour e Rahaf, Illham e Faraj, sono raccontante giorno per giorno sulla rivista, sul sito TIME.com e naturalmente sui social. Mentre su Facebook vengono pubblicati contenuti periodici direttamente sulla pagina officiale del TIME, su Instagram è stato creato un apposito profilo (@FindingHome) che posta in tempo reale aggiornamenti, notizie e altro ancora.
Uno degli aspetti più interessanti ed innovativi è che si tratta di un reportage giornalistico che non si esaurisce nel tempo, segue delle storie senza cercare una fine. Sulla landing page del sito dedicato al progetto si legge “Their families fled Syria. They were born refugees. What will happen next?“, ed è proprio quel “next” che viene mostrato e raccontato. A tal proposito, la giornalista Aryn Baker, che si occupa della parte editoriale dei testi, parlando del progetto ha detto:
“Di solito una volta che una storia è pubblicata sulla rivista vuol dire che ho chiuso i miei quaderni, ma questa volta posso finalmente rispondere in tempo reale alle domande su quello che accade dopo, e su quello che succede dopo ancora.”
Finding Home è stato reso possibile anche grazie al supporto del Centro Pulitzer, che ha concesso delle sovvenzioni per i reportage dedicati a situazioni di crisi umanitaria.
Fonte: TIME.com
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