Diario dal Senegal, il diritto alla terra e le ICT: sfida tecnica o politica?
Enjeu è una parola difficilmente traducibile dal francese. Indica una questione, una sfida, una situazione controversa.
E per il Senegal, il fondiario è certamente un enjeu majeur, come del resto per molti paesi africani. La terra infatti è una risorsa primaria fondamentale per la sopravvivenza di ogni Stato ed ogni economia, insieme al capitale e alla forza lavoro. La disponibilità di terre e la loro ubicazione rispetto alle risorse condiziona in maniera immediata la povertà o la ricchezza – quando non direttamente la sopravvivenza – di una famiglia o di un intero villaggio. Inoltre, “la terra non è soltanto fondamentale per la sicurezza alimentare, ma è anche profondamente connessa a importanti aspetti della vita sociale quotidiana, a seconda dell’uso e del significato che gli abitanti attribuiscono ad un determinato territorio”, come sostenuto da Cirillo e Yade. Diritto alla terra e diritto al cibo: l’enjeu di accesso, gestione e sicurezza della terra assume quindi un significato economico tanto quanto politico e sociale.
Il Senegal conta circa 13 milioni e mezzo di abitanti – secondo RGPHAE 2013 – distribuiti su una superficie di oltre 196 chilometri quadrati. Il paese presenta una densità demografica relativamente bassa, anche perché – va detto – la sabbia regna incontrastata in tutto il paese e rende il cuore del Senegal quasi disabitato. Tuttavia la popolazione è di giovani e giovanissimi: l’età media è 22,7 anni. Le zone maggiormente abitate sono le coste, a ovest; le zone fertili tropicali a Sud e il corso del fiume Sénégal, a nord, al confine con la Mauritania e il Mali.
Dal 1964 la terra senegalese appartiene al Domaine National, ossia a tutta la nazione. Dunque, lo Stato amministra e da in gestione la terra tramite delle affectations – attribuzioni – , cioè la possibilità di far uso di un dato territorio senza averne proprietà nell’ottica di una “messa in valore”. E secondo la legge, se questo non dovesse accadere tale diritto può essere revocato.
Grazie al decentramento – Code des Collectivités Locales -, l’attribuzione delle terre avviene a livello locale tramite il Consiglio Rurale, ma la terra rimane legalmente alla nazione intera, il che significa che “gli occupanti tradizionali della quasi totalità delle terre soggette ad acquisizione non hanno documenti formali scritti che gli permettano di far valere i loro diritti contro i nuovi pretendenti” , sempre secondo la ricerca di Cirillo e Yade.
Ciò che non è rilevato del Domaine National, appartiene al Domaine de l’Etat o al Domaine Privé. E’ possibile avviare una procedura per trasformare un’attribuzione in un titolo di proprietà fondiaria, che comporta un passaggio delle terre dal Domaine National al Domaine Privé, paassando per il Domaine de l’Etat.
Questo sistema di diritto positivo – della colonizzazione prima e dell’indipendenza poi – coesiste con un sistema già esistente di regolazione dell’accesso alla terra e di gestione dei conflitti. Si tratta di un “pluralismo giuridico”, come l’ha definito Delville, che crea un’incertezza “grazie alla quale gli attori più potenti sono in grado di far valere i loro interessi e le loro rivendicazioni sulla terra contro i diritti degli abitanti”, secondo quanto riportato da HLPE . Pur riconoscendo il valore egualitario di accesso alla terra della riforma del 1964, alcuni attori, come ad esempio la Commission Nationale de Reforme Foncière, si sono mobilitati e richiedono una riforma in grado di rispondere anche ai bisogni di sicurezza o riconoscimento della proprietà, in particolar modo contro la tendenza attuale e diffusa in Africa, delle gradi acquisizioni straniere, con particolare attenzione al fenomeno del Land Grabbing.
Dal punto di vista tecnico, questo enjeu chiama in causa le ICTs, grazie al fatto di essere strumenti utili nel raccogliere e registrare informazioni oggettive rispetto alle terre concesse, attribuite e in uso. In particolare, abbiamo notato l’interesse diffuso per i sistemi di geolocalizazione – GIS e GPS – considerato uno strumento decisivo per risolvere contenziosi sulle terre. Questi sono implementati sia da ONG che lavorano con progetti sul territorio, sia da Bureau d’Etudes privati, sia da enti statali come la SAED, la società nazionale che si occupa della gestione del territorio e delle acque lungo la valle del fiume Senegal. Da un punto di vista centralizzato, invece, i dati e la tecnologia GIS interessa al catasto, che è in via di modernizzazione. Infatti nel 2004, il Fondo Africano di Sviluppo ha finanziato 3,25 milioni di euro tramite il progetto PAMOCA – Projet d’Appui à la Modernisation di Cadastre. Ma secondo una prima analisi, questo processo sembra lontano dall’essersi concluso.
Sollecitata dall’alto, sia dallo Stato sia da organismi internazionali, la burocratizzazione – in senso weberiano – sembra faticosamente mettersi in atto, come un passaggio inevitabile e necessario verso lo “sviluppo” e verso l’allargamento dell’assiette, per la riscossione delle imposte. Ma quali attori beneficiano della misurazione “oggettiva” delle parcelle di terra? Quali detengono le competenze tecniche necessarie per implementare il sistema? E poi, esiste un collegamento tra l’arena di discussione politica (che sta rinegoziando le regole del gioco) e gli uffici pubblici e privati che stanno sviluppando il sistema catastale?
Queste sono le domande che guidano la nostra ricerca. Gli strumenti invece saranno interviste, osservazione partecipante, analisi di documenti, ecc.
Vi aggiorneremo sui progressi, a mano a mano che il puzzle si compone.
Stay tuned!
Photocredits: Cecilia Nessi
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