Internet salverà il giornalismo?
Tablet, ipad, social media: la rivoluzione tecnologica degli ultimi dieci anni sembra aver assestato un duro colpo al settore editoriale. Ma c’è un modo per usare queste tecnologie a favore delle notizie? Pare di sì, e Pierre Haski (@pierrehaski), direttore di Rue89.com, ci spiega come.
di Donata Columbro
«Molti editori credono che il web sia un contenitore dove mettere gli stessi contenuti della carta. Si sbagliano». Iniziano così le lezioni di web journalism di Pierre Haski al Festival di Internazionale, tre mattinate dense di analisi e consigli pratici per giornalisti e operatori dei media ansiosi di capire qualcosa in più dell’universo di siti informativi, blog e social media che sembrano minacciare l’esistenza dei giornali di carta così come li abbiamo conosciuti e apprezzati fino a oggi.
Haski è cofondatore e direttore di Rue89.com, sito d’informazione indipendente tra i più letti d’Europa, nato nel 2007 per idea dello stesso Haski insieme ad altri due ex corrispondenti di Libération: «Ho capito la potenzialità e la differenza del web rispetto alla carta stampata quando ero corrispondente in Cina e mi svegliavo ogni mattina domandandomi cosa scrivere sul blog e non sul mio giornale».
Il web al servizio delle notizie
L’entusiasmo di Haski non è condiviso dalla maggior parte delle redazioni. Una delle obiezioni viene proprio dai giornalisti, che reputano la carta un mezzo ‘superiore’ al web, e rifiutano di veder i propri pezzi pubblicati solo on-line. Un esempio è il quotidiano francese Le Nouvel Observateur, 150 giornalisti di cui 10 dedicati al sito e 140 al giornale che va in edicola: «Finalmente ora hanno capito che queste due realtà devono fondersi e ci hanno chiesto una consulenza per formare i giornalisti ‘tradizionali’ alle regole del web».
Un’apertura che sembra arrivare nel momento giusto: secondo uno studio di ComStore il numero dei visitatori unici sui siti dei quotidiani europei è cresciuto lo scorso giugno dell’11% rispetto al 2010, toccando i 167,2 milioni, con una media di tempo dedicato all’informazione on-line di 40,5 minuti in un mese, poco più di 1,3 minuti al giorno.
«In realtà gli editori non colgono le opportunità che il web può dare: possiamo risolvere in un colpo solo la crisi morale e la crisi tecnologica che ha colpito i news media», dice Haski. La crisi morale è quella che vede sempre più i lettori diffidenti verso il lavoro del reporter, mentre in rete ‘il giornalista è nudo’ e può subito essere commentato, contestato e verificato dai lettori. Così «la costruzione della notizia diventa più trasparente». Basti pensare alla novità attuata da Il Guardian (tra i news media più avanzati, con il New York Times, nel giornalismo digitale), che ha ‘aperto’ la sua redazione con il blog Inside the Guardian, che rende pubbliche le notizie cui si lavora ogni giorno, il giornalista che se ne occupa e il relativo account twitter (per ‘sbirciare’ la redazione al lavoro: https://www.guardian.co.uk/help/insideguardian).
L’abc del giornalista digitale
«Le recenti innovazioni tecnologiche, dalla banda larga agli smartphone, hanno cambiato totalmente il modo di scrivere, ma anche il modo di fruire le notizie da parte dei lettori, convinti che se una notizia è importante, prima o poi arriverà da loro, attraverso l’e-mail, il link di un amico su facebook, un’applicazione». E se il lettore smette di cercare la notizia, è il giornalista che deve riuscire a fargliela arrivare. «Quando produco un articolo per il web devo attivare la mia creatività», raccomanda Haski agli studenti, «pensare che ci sono centinaia di mezzi e modalità nuove per rendere più fruibile la notizia ai lettori».
Tra gli strumenti che un buon giornalista digitale (o web giornalista) non deve ignorare c’è sicuramente twitter, «l’unico luogo al mondo dove le persone sono tutte insieme con uguali diritti per parlare alla stessa audience, senza filtri, da Obama a Lady Gaga. Non ci sono esempi simili nella storia della comunicazione».
Twitter (dall’inglese ‘tweet’, cinguettio) è un servizio on-line di microblogging dove le persone possono discutere in flusso continuo e aperto, sui propri temi preferiti. Uno strumento che è diventato la principale fonte di lavoro per Andy Carvin, della National Public Radio Usa, il primo ‘twitter reporter’ nella storia del giornalismo: fu lui il giugno scorso a smascherare il caso di Amina, la presunta blogger siriana dietro cui si celava Thomas MacMaster, uno studioso di Medio Oriente che vive in Scozia.
Se twitter è fonte inesauribile di ispirazione e notizie, facebook è «il posto dove tutti devono essere», serve a diffondere contenuti e dialogare con i lettori. Ma quando Haski parla dei nuovi ferri del mestiere del giornalista, il suo discorso va oltre i social network: un esempio è il ‘data journalism’, termine divenuto popolare con l’uscita dei primi cables segreti di Wikileaks. I dati non hanno senso senza l’interpretazione di un giornalista: «Il New York Times e Le Monde hanno utilizzato tecniche meravigliose per elaborarli e pubblicarli sul sito in modo interattivo, con una grafica accattivante e una grande semplicità di fruizione».
«Ma attenzione» avverte Haski, «non siamo geek (appassionati di tecnologia), ma giornalisti, quindi è giusto provare nuovi strumenti ma non cedere alle mode, come quella di Google Plus», il nuovo social network di Google.
Senza carta… senza soldi?
Secondo Iab, associazione di advertising interattivo italiana, nel 2012 internet sarà il secondo canale per la raccolta di spot dopo la tv, ipotizzando una crescita tra il 10 e il 15% rispetto a quest’anno. Ma nel giugno 2010, Rue89.com ha cominciato a produrre anche un mensile cartaceo venduto in edicola. E’ vero allora che senza ‘carta’ non si vive?
All’inizio i giornali on-line tendevano a distribuire gratis tutto il proprio contenuto. Poi si è valutata la possibilità di far pagare i lettori, secondo modelli diversi. Murdoch ha optato per l’accesso a pagamento totale, «che gli ha garantito più entrate ma meno lettori», dice Haski. Le Monde ha aperto una sezione premium dove è a pagamento il contenuto migliore del giornale. Il New York Times invece permette l’accesso a tutto il sito per un totale di 20 articoli a lettore: dal 21° in poi si propone un abbonamento di15 $ al mese: «E’ la soluzione più intelligente, rimane la qualità per attirare i lettori e l’editore si comporta come un bravo pusher: all’inizio la notizia è gratis, poi quando si crea assuefazione viene richiesto il pagamento, a quel punto non resta che abbonarsi».
Rue89.com si sostiene attraverso varie fonti: «Il 60% proviene dalla pubblicità, l’altro 40% è suddiviso tra corsi di formazione che teniamo ad altre testate che vogliono aprirsi al mondo digitale, realizziamo siti internet per associazioni no profit, abbiamo una sezione di merchandising e un muro virtuale, una bacheca dove chiunque può sostenerci con una piccola donazione».
Ma allora internet salverà o no i giornali? «Internet contiene il problema e la soluzione, è il veleno e il siero antiveleno insieme. Non posso dire se salverà i giornali, ma è sbagliato ignorare che il mondo è cambiato».
Al termine del suo workshop, almeno la metà degli studenti ha promesso di aprire un account twitter. Un giornalismo tutto nuovo? Solo in parte, i fondamenti restano, conclude Haski: «Non importa dove scriviamo, quel che conta è la notizia».
[articolo pubblicato sul numero cartaceo di VpS novembre-dicembre 2011]
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