Maker, un movimento di artigiani digitali a servizio della cooperazione

Immaginate un mondo in cui sviluppatori di software, esperti di stampanti 3D e di fabbricazione digitale lavorino a fianco dei cooperanti per portare aiuti umanitari nelle aree più remote del mondo. Vi sembra impossibile? Per l’agenzia di cooperazione Usaid, l’equivalente della nostra Cooperazione italiana allo sviluppo, questo mondo è già realtà.

Tanto che ha aperto un profilo sulla piattaforma Github e ad aprile ha lanciato il Global Fab Award. Un contest, in collaborazione con la Banca Mondiale, la Intel Corporation e la Fab Foundation, con l’obiettivo di “scoprire i progetti più innovativi sviluppati da maker internazionali negli ultimi anni, sostenere lo sviluppo locale e incoraggiare il cambiamento nelle comunità che ospitano fablab, maker space e hackerspace, dimostrando il potenziale della fabbricazione digitale e dei progetti open source”.

E nella speciale sessione del premio intitolata “Sensor for global development” sono stati incoraggiati progetti che includessero idee per utilizzare la tecnologia dei sensori, parte integrante dell’evoluzione dell’internet delle cose, in cui gli oggetti interagiscono tra loro e con gli esseri umani tramite applicazioni che ne ricevono i segnali e ci comunicano informazioni.

Per dare un’idea di cosa siamo parlando, pensate a sensori indossabili come Shine (wearable technology, un altro settore in crescita dell’internet of things) che, ad esempio, forniscono feedback sulla propria salute a chi li indossa. Oppure sensori di rilevamento sulla qualità dell’aria, come Birdi, che percepisce quando l’aria in casa è “viziata” e manda un alert al tuo telefono per avvisarti di aprire le finestre. L’internet delle cose può migliorare le nostre vite in molte direzioni, ma c’è un diviario globale che deve essere colmato, e l’agenzia di sviluppo Usaid ne è consapevole.

Un gap notato anche da Juliana Rotich, fondatrice della piattaforma di crowdmapping Ushahidi, osservando il mondo su Thingful, una directory che mappa gli oggetti connessi nel mondo: «Quando ho visto la mappa non ho potuto fare a meno di pensare quella che oggi chiamiamo la “rivoluzione industriale dell’internet delle cose” non è distribuita equamente tra paesi e continenti».

thingful

 

Anche se proprio in queste aree del mondo l’impiego di sensori potrebbe migliorare le condizioni di vita della popolazione, con applicazioni che vanno dall’agricoltura all’accesso all’acqua potabile, producendo informazioni utili anche per le organizzazioni non governative che lavorano sul campo.

Ad aggiudicarsi i 10mila dollari del premio finale, consegnato alla conferenza internazionale dei fablab a Barcellona, è stato il “Momo” (mobile monitor) realizzato da Ben Armstrong, un sensore per monitorare l’avanzamento delle infrastrutture nei paesi in via di sviluppo, con un’estensione applicabile anche ai pozzi per segnalarne i guasti.

Tra gli altri finalisti di Sensors for Global Development Fab Award segnaliamo Fresh air, un network di sensori di qualità dell’aria per monitorare l’inquinamento urbano in Benin realizzato dall’italiano Marco Zennaro; il GrowerBot, “social gardening assistant” che può fornire informazioni accurate su come ottimizzare la produttività di orti in piccola scala, e Safecast un sensore open source per la misurazione dei livelli di radiazione.

 

Leggi anche:

Mobile money, in Africa supera i conti bancari tradizionali

Quando la cooperazione si fa con gli sms

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Fornisci il tuo contributo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *