No, la tecnologia non salverà il mondo
Sono sempre più frequenti i titoli che esaltano la potenzialità della tecnologia di rivoluzionare il mondo: dalla Primavera araba alla diffusione dei telefoni cellulari nel continente africano, trasformi la realtà con un iPhone. Ma le cose stanno veramente così? A un’analisi più attenta, la tecnologia appare come uno dei tanti mezzi a nostra disposizione per affrontare le complesse sfide della modernità.
[Serena Carta – dalla rubrica ICT4dev]
La tecnologia può aiutarci a cambiare il mondo? Twitter e Facebook hanno trasformato il nostro modo di vivere e relazionarci? Internet ha il potere di democratizzare l’accesso all’informazione? L’educazione dei bambini africani sarà migliore grazie al cosiddetto m-learning (apprendimento tramite dispositivi mobili)? Sono tante le speranze riposte nella tecnologia, spesso considerata e presentata con toni entusiastici (e un po’ frettolosi) come la panacea per tutti i mali. Eppure la realtà, come spesso accade, è meno brillante degli slogan che la raccontano. Secondo il professore inglese Richard Heeks – che oltre ad essere uno degli accademici più citati tra chi si occupa di tecnologie per lo sviluppo, è anche l’autore del blog ict4dblog.wordpress.com – “che le ICT siano portatrici di cambiamenti epocali e di trasformazioni rivoluzionarie in grado di cambiare le regole del gioco nei processi di sviluppo è una questione aperta”.
Storicamente (ci ricorda Habermas), la tecnologia è stata creata e usata da chi aveva soldi e potere per rafforzare il proprio controllo politico ed economico sulla società; è stata fonte di disuguaglianze, favorendo chi aveva i mezzi per acquistarla ed escludendo chi non la possedeva. Oggi sembra che la situazione sia cambiata, dal momento che assistiamo a un flusso di tecnologia low-cost in grado di raggiungere anche le zone più remote e povere del pianeta. Un articolo apparso a gennaio sul sito della CNN ci dice che il continente africano è diventato il secondo paese al mondo per numero di abbonamenti telefonici. Il Guardian, dal canto suo, precisa che solo il 7% degli utenti africani è connesso a internet e che meno del 20% di chi possiede un cellulare ha uno smartphone. Ma basta la massiccia diffusione dei telefoni cellulari a diminuire le differenze tra i Nord e i Sud del mondo? In questa TedTalk, Kentaro Toyama (un altro “guru” delle ICT4D) dimostra come dal 1959 al 2008 il tasso di povertà negli Usa sia rimasto invariato, nonostante l’emergere e l’affermarsi di tecnologie e attori importanti come Microsoft, Google e Apple. Di fronte a questa evidenza, si domanda Toyama, “perché continuiamo a pensare che la tecnologia salverà il mondo?” Probabilmente (provo a rispondere io) perché ne abbiamo un’idea sbagliata e la sovrastimiamo. O forse, ancor di più, perché non consideriamo gli strumenti tecnologici come solo uno degli elementi che fanno parte del processo di sviluppo di un individuo e della sua comunità.
Con l’obiettivo di porre le basi per una riflessione più ampia sull’utilizzo efficace, appropriato e sostenibile delle ICT nei progetti di sviluppo, ho provato a sintetizzare in 6 punti cosa sono (e cosa non sono) le ICT4D.
1. Iniziamo a ripassarne la definizione. Dall’inglese Information and communication technology for development, le ICT4D sono un nuovo ed estremamente dinamico settore della cooperazione internazionale allo sviluppo. Le ICT comprendono quelle tecnologie che permettono di accedere a, processare e distribuire informazioni sotto forma di testo, suoni, immagini etc. Sono comunemente citate per riferirsi ai media digitali e alle tecnologie per la comunicazione (soprattutto pc, telefoni cellulari e internet). La D di development (sviluppo) individua il loro campo di applicazione. “Quale sviluppo” (economico o umano?) è un punto chiave che merita di essere approfondito in un post a parte.
2. Se usata correttamente, la tecnologia può offrire grandi opportunità per lo sviluppo e il cambiamento economico e sociale; allo stesso tempo, se considerata come un fine e non come un mezzo, c’è il rischio che l’investimento nelle ICT si trasformi in uno spreco di risorse e che il progetto fallisca. Per questo è bene tenere a mente che le ICT4D sono un insieme di infrastrutture, contenuti e capacità. Distribuire telefoni cellulari è facile, ma non basta. La vera sfida sta nel capire se il telefono cellulare è lo strumento più adatto per portare una soluzione in quel dato contesto e nell’offrire a partner e beneficiari le giuste capacità per essere autonomi ed efficaci nell’utilizzarlo. Allo stesso modo, se un’ong decide di avviare un progetto di e-learning e nell’investire nei computer si dimentica di formare gli insegnanti, è probabile che gli studenti – in mancanza di guide preparate – non beneficeranno dei vantaggi dell’educazione digitale.
3) Il potenziale delle ICT sta quindi nel supportare e amplificare, NON sostituire, le intenzioni e le capacità delle persone. Le ICT non contengono in sé e per sé risposte o soluzioni ai problemi che vogliamo risolvere, ma sono veicoli che possono aiutarci a raggiungere gli obiettivi prefissati in maniera più facile ed efficiente. Per questo motivo dichiarazioni come quella di Nicholas Negroponte (l’inventore di One laptop per child, uno dei progetti ICT4D che ha avuto più impatto mediatico, anche per via dell’endorsement di Kofi Annan nel 2005 in sede Onu) scatenano una certa perplessità: “Lanceremo i computer dagli elicotteri per insegnare i bambini a leggere”. Una visione che la ricercatrice americana Laura Hosman ha commentato così: “Cosa succederebbe se lanciassimo una macchina elettrica di ultimissima generazione nel bel mezzo del deserto del Sahara? Niente, sarebbe una tecnologia sprecata. Lo stesso possiamo dire dei modernissimi pc progettati da Negroponte: i rapporti di ricerca ci dicono che non è stato ottenuto alcun risultato perché il design e l’appeal tecnologico non sono sufficienti a risolvere le complesse questioni sociali dei giorni nostri”.
4) Possiamo allora affermare che le ICT4D, spesso e volentieri, non fanno rima con la tecnologia più avanzata; inoltre, non esiste un modello di riferimento adattabile a tutti i bisogni. Ogni contesto, ogni comunità, ogni progetto ha una storia a sé; allo stesso modo, ICT date per scontate in alcune parti del mondo potrebbero non avere alcun impatto altrove. Facciamo un esempio e prendiamo il caso di un’iniziativa di e-democracy in cui si invitano i cittadini a segnalare casi di corruzione tramite il telefono cellulare. Se il progetto si svolge in un’area rurale ad alto tasso di analfabetismo, è molto probabile che la popolazione preferisca inviare messaggi vocali (tramite i sistemi IVR, Interactive voice response) piuttosto che sms. Anche l’assenza di connessione e di elettricità, onnipresenti tra le fasce della popolazione “ricca”, possono rendere difficile l’utilizzo di servizi tecnologici come i cloud o lo streaming. “Sono sistemi perfetti che facilitano di molto il lavoro quando va tutto liscio – racconta Donata Columbro, di ritorno da una formazione sui social media nelle scuole in Burkina Faso – ma la connessione in Africa non lo permette quasi mai. La chiavetta USB e la scheda estraibile con cui scaricare e spostare dati sono molto più comodi, così come il Bluetooth, praticamente la linfa vitale dei cellulari che girano giù”.
5) Le ICT4D rappresentano per natura un settore multidisciplinare che richiede l’intervento e il coinvolgimento di professionisti con backround diversi e che non può fare a meno di esperti sviluppatori. È poi un settore in cui ha una parte fondamentale la ricerca, per osservare in maniera analitica i progressi fatti e scoprire come migliorare. Last but not least, l’impegno a diffondere e condividere insegnamenti, fallimenti e buone pratiche all’insegna di un approccio open source.
6) Infine, la comunicazione e l’informazione sono un diritto universale e contribuiscono alla sviluppo umano. Non a caso, di recente, 195 associazioni della società civile hanno chiesto all’Onu di mettere al centro del dibattito sugli Obiettivi del millennio post 2015 l’accesso a un’informazione libera e indipendente. In questo senso il contributo delle ICT potrebbe essere fondamentale.
photo credit: World Bank Photo Collection via photopin cc
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