Il successo di un progetto dipende dalla chiarezza degli obiettivi
La Cooperazione Internazionale lavora soprattutto attraverso progetti, strutture complesse che se costruite su presupposti sbagliati, rischiano di non produrre alcun impatto positivo. Qual è l’errore più ricorrente in cui cade un progettista? A raccontarcelo è Andrea Stroppiana, docente del percorso “Progettare la Cooperazione Internazionale“.
di Viviana Brun
Raggiungo Andrea Stroppiana su skype, quando è appena tornato da una missione in Marocco. Nel 1989 ha iniziato in Colombia quello che lui stesso definisce il suo “cammino nella progettazione”. Un viaggio professionale che ancora oggi lo porta a trascorrere gran parte del tempo in giro per il mondo. Infatti, è spesso impegnato in missioni di formazione o valutazione per conto di organismi internazionali partner in progetti dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite.
Oltre alle consulenze, Andrea attualmente lavora per l’ONG Ricerca e Cooperazione ed è formatore e docente esperto di Project Cycle Management, con particolare attenzione alla qualità della progettazione.
Il suo punto di forza come docente è subito chiaro: è abituato a mettere in pratica ciò che insegna, a testare sul campo teorie e metodologie, traendone insegnamenti e riflessioni che condivide volentieri con i suoi studenti e le sue studentesse. D’altronde, sottolinea Andrea, “quanto sarebbe credibile un medico che insegna medicina senza aver mai preso il bisturi in mano? Per chi si occupa di formazione nell’ambito della cooperazione internazionale il tipo di approccio dovrebbe essere esattamente lo stesso”.
Di errori e di progetti destinati a fallire purtroppo ce ne sono tanti. Per questo è importante che un progettista investa nella propria formazione prima di buttarsi a capofitto nella pratica. Andrea mi spiega come la chiave del successo di un progetto stia proprio nella forma mentis di chi lo scrive. “Nella progettazione a ogni termine corrisponde un significato preciso. Per questo è necessario partire da pochi concetti chiave per orientarsi meglio, riuscire a leggere e a capire i tanti documenti che esistono sull’argomento e per sviluppare uno spirito critico orientato all’efficacia delle azioni”.
Qual è uno degli errori più ricorrenti nella progettazione?
“Quasi ogni progetto che valuto presenta il grosso inconveniente di avere tra gli obiettivi delle attività. Il malinteso nasce dalla lingua parlata, in cui non è così netta la distinzione tra i termini “obiettivo” e “attività”, tanto che possiamo benissimo dire che – il mio obiettivo è quello di comprarmi una macchina -. Mentre acquistare una macchina è qualcosa che si fa, ovvero un’azione, non certo un obiettivo. Questo tipo di approccio, in cui l’obiettivo coincide con l’attività è disastroso, perché porta a non distinguere più lo strumento dal beneficio. Lo strumento è l’azione, quello che si fa e l’obiettivo è il beneficio, ciò che si ottiene attraverso quell’azione. Se io dico che il mio obiettivo è formare delle persone, non ti sto dicendo qual è il beneficio che voglio ottenere, ti sto solo dicendo ciò che voglio fare. Purtroppo, questa cattiva pratica sussiste in 8 progetti su 10. Per essere un buon progettista, è necessario che nella propria testa la differenza concettuale sia molto netta.”
Il finanziatore penalizza questo tipo di errore?
“Dipende, a volte può anche sfuggire. Spesso i bandi ricevono un enorme mole di progetti da valutare in poco tempo. Poi c’è il fatto che chi valuta ha pochissime interazioni con chi prepara un progetto, non sempre può chiedere al progettista di fare delle correzioni. In due ore deve dare un giudizio e può capitare che il progetto sia molto buono, benché abbia dei vizi di forma, e allora passa lo stesso. Spesso però i vizi di forma nascondono i vizi di sostanza, che compromettono l’efficacia del progetto.
A volte mi capita di valutare dei progetti che non hanno obiettivi. Come si valuta il successo di un progetto che non ha obiettivi? Avere successo non vuol dire fare le attività, ma ottenere benefici, se questi non ci sono, l’efficacia non è misurabile. Ad esempio, vengono finanziati dei corsi di formazione senza sapere quale sia il beneficio atteso e senza poterlo valutare. Un progetto basato sulle attività porta a formare delle persone che poi metteranno il know how acquisito in un cassetto, senza poterlo applicare.”
Qual è il legame tra obiettivi e sostenibilità?
“Se io non ho degli obiettivi chiari non ho neanche la sostenibilità. La sostenibilità infatti non dipende dall’output ma dall’outcome. Mi spiego, un progetto sanitario non è sostenibile perché ho creato un ospedale (outup), è sostenibile se persiste il beneficio che questo output dà, ovvero l’accesso alla cura sanitaria (outcome). È quest’ultimo ciò che deve durare nel tempo. Se pensiamo ai corsi di formazione, ciò che deve essere sostenibile ovviamente non è il corso in sè, ma il know how che ne deriva, che deve essere spendibile. Se non hai degli obiettivi non hai neanche dei validi indicatori e diventa molto difficile misurare il reale impatto di un progetto.”
Se vuoi scoprire se la progettazione fa al caso tuo, vai alla pagina di “Progettare la Cooperazione Internazionale” e esplora il programma del corso.

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