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Comunicazione sociale tra responsabilità e professionalità

Ancora bambini con le pance gonfie, attività sociali percepite come buonismo tappabuchi, gli appelli alla solidarietà sociale compaiono sui media prevalentemente in casi di emergenza o in occasione di maratone televisive o appelli di personalità mediatiche. Eppure il non profit è oggi in Italia un settore strategico per comprendere i bisogni sociali e costruire una convivenza civile, giorno per giorno. 

Secondo i dati Istat in 10 anni il numero dei lavoratori del Non Profit è passato da 488.523 a 861.919 (il 6,9% rispetto ai lavoratori delle imprese) con un incremento del 76%, senza contare gli italiani che partecipano ad attività associative in forma volontaria e gratuita. Si tratta di una parte significativa e importante dell’economia del nostro paese.

La comunicazione sociale ha bisogno di affermarsi sempre di più con spazi di dignità e professionalità. 

Ma quali sono i principi etici, gli strumenti e le strategie vincenti della comunicazione sociale? A cosa bisogna fare attenzione per non cadere nel pietismo o nel sensazionalismo ma allo stesso tempo coinvolgere? Perché alcune campagne decollano e altre no?

Per rispondere a queste domande e contribuire a potenziare le capacità comunicative del Terzo Settore riparte il percorso formativo No profit Si social, comunicazione digitale integrata per il terzo settore”, ideato e realizzato da Impactskills e Idea Comunicazione, con il patrocinio dell’Associazione Ong Italiane (AOI) e FOCSIV. Dopo una prima edizione di successo, il percorso si arricchisce di nuovi docenti, laboratori pratico applicativi, esercitazioni mirate e simulazioni immersive.

Sul sito di Impactskills tutte le informazioni

 

Co-design e digitalizzazione: un approccio vincente contro l’emergenza sanitaria nel Sud Globale

“Co-design” e “co-partecipazione”, comunicazione continua tra utenti e operatori e uso avanzato delle tecnologie digitali, sono queste le parole chiave per affrontare in modo efficace le situazioni di emergenza sanitaria. Ne sono esempi le piattaforme U-Report e mHero, realizzate per fronteggiare rispettivamente le epidemie di COVID-19 e Ebola e utilizzate in 52 paesi del mondo.

Di Anna Filippucci

Il distanziamento sociale e l’impossibilità di viaggiare liberamente nel mondo a causa del Covid-19 hanno costretto in pausa forzata molti progetti avviati nel Sud Globale e caratterizzati da un intervento fisico in loco degli operatori. In questa situazione straordinaria, la vera sfida che si è presentata per il settore della cooperazione e degli aiuti umanitari è stata di modificare e adattare al nuovo contesto i propri interventi; ne sono uscite vincitrici le organizzazioni che hanno saputo innovarsi e utilizzare un approccio di co-design (digitale) nella realizzazione di progetti. 

Ma cosa si intende per co-design? Letteralmente, con questo metodo, gli interventi diventano frutto di un processo partecipativo e dinamico che coinvolge tutti gli stakeholders e i destinatari dei progetti stessi. Più che mai adesso, in un contesto mutevole ed emergenziale, una “two-way communication”, che permetta di identificare chiaramente e rapidamente i bisogni effettivi dei destinatari di progetti, si è rivelata fondamentale per realizzare interventi efficaci nonostante la distanza fisica. L’interazione diretta tra organizzazioni e destinatari è stata sovente garantita da innovativi strumenti digitali, quali chatbot e sistemi di mapping, per esempio.

Come ha riassunto chiaramente Meg Kemp, fondatrice e consulente di Alma Major, durante il webinar Designing digital tools for COVID-19 response”, organizzato dal “Nethope Solutions Center” ,  gli interventi basati sul co-design in situazioni di emergenza devono essere necessariamente rapidi, ma attenti al contesto mutevole e caratterizzati da una costante ridefinizione degli obiettivi a breve termine. L’utilizzo di piattaforme digitali che permettano una comunicazione diretta e un feedback costante si è rivelato in questo contesto fondamentale per migliorare gli interventi. 

Foto di UNICEF, progetto U-Report

A tal proposito, sono stati raccontate due esperienze portate avanti da UNICEF e USAID in diversi paesi del Sud Globale e in cui l’utilizzo delle nuove tecnologie digitali ha permesso di continuare a lavorare a distanza in situazioni di emergenza sanitaria. Il programma “U-Report” di UNICEF rappresenta un’esperienza di successo in questo senso: si tratta di una piattaforma di raccolta dati, che funziona attraverso un sistema di messaggistica istantanea e accessibile sia attraverso SMS (senza connessione dati), sia da piattaforme di social messaging (Whatsapp, Messenger, Viber…). L’utente che interagisce rimane anonimo e deve unicamente fornire informazioni relative alla propria età, il proprio genere e la location in cui si trova. I dati, raccolti e aggregati, sono utili a UNICEF, le altre ONG partner e le autorità locali per formulare interventi efficaci, ma anche per produrre consapevolezza, favorire l’empowerment delle comunità e conoscere in profondità i bisogni e i problemi delle comunità stesse. 

Dato il successo della piattaforma negli ultimi anni, utilizzata in 68 paesi a ritmo di 30 report al secondo, l’UNICEF ha deciso di adattarla e utilizzarla a partire dallo scorso febbraio come sistema di raccolta dati e informazioni relativamente all’emergenza Covid-19. Questo “Covid information Chabot” ha permesso una capillare diffusione delle informazioni nei 52 paesi dove è stato sperimentato; in Costa D’Avorio, per esempio, attraverso una partnership con le principali compagnie di telefonia mobile, esso è stato consultato 2,5 milioni di volte, soprattutto da un pubblico molto giovane. Oltre a fornire informazioni utili per auto-diagnosi e misure di prevenzione, il chatbot è diventato gradualmente la principale e più attendibile fonte di informazioni anche per il governo e i mezzi di informazione di massa, quali radio e giornali. 

Jaclyn Carlsen, ICT policy Advisor presso USAID ha raccontato invece l’esperienza dell’Agenzia in Liberia, durante l’emergenza sanitaria provocata da Ebola, nel 2014. In questo contesto, in collaborazione stretta con il ministero della salute liberiano, USAID ha promosso e implementato il programma mHero, un sistema di messaggistica e mappatura, volto a migliorare la comunicazione con gli operatori sanitari e le strutture situate in zone remote del paese e altrimenti difficilmente raggiungibili. mHero ha permesso la diffusione di informazioni e una migliore organizzazione del lavoro e delle risorse, dimostrandosi estremamente utile; tanto, da essere in seguito utilizzata anche da altri dipartimenti direttamente legati al ministero della Salute, quali l’Unità per la Salute Mentale, per l’Assistenza Familiare e la Gestione della Catena di Distribuzione. 
Entrambe le esperienze illustrano chiaramente i vantaggi di un approccio partecipativo alla realizzazione di progetti in situazioni emergenziali, così come il valore aggiunto dato dall’uso di tecnologie digitali. Solo attraverso delle partnership consolidate, una conoscenza profonda del contesto e un empowerment costante dei destinatari, è possibile sviluppare delle piattaforme che rispondano veramente alle esigenze specifiche di una comunità in situazione di emergenza.

Tecnologia e Ong: il punto debole? La protezione dati

Il Global Ngos Technology Report 2018, ricerca realizzata ogni anno da NonProfit Tech for Good, e che quest’anno ha  intervistato  5352 Ong in 164 paesi del mondo, parla chiaro: il punto più debole nell’utilizzo del digitale da parte del mondo dell’associazionismo è la gestione e la protezione  dei dati.

di Silvia Pochettino

A quanto emerge dal report in verità le Ong sono ormai ampiamente “digitalizzate” sotto molti aspetti,  dal sito web all’uso dell’email mailing, ma soprattutto all’impiego dei social networks come una parte integrante delle proprie strategie di comunicazione e fundraising . Anzi a dirla tutta il report sottolinea come “in verità grandi Ong come Humane Society o Greenpeace sono state le prime a utilizzare i social networks per mobilitare persone e risorse, molto prima che l’idea venisse anche alle istituzioni governative e alle corporations”

Tra i social Facebook continua – per ora – a farla da padrone nel mondo, ma altri social seguono a ruota

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Tuttavia ci sono ancora alcune carenze gravi nell’uso del digitale da parte delle Ong riguardo soprattutto due aspetti,  Mobile Technology e protezione dati.  Riguardo la prima, si registra scarsa consapevolezza sul ruolo del messaging o del text-to-giving per tenere i contatti con i propri supporters e donatori. Solo il 18% li usa in modo strutturato nelle proprie strategie di comunicazione, mentre ancora più assente è la “creatività” nella realizzazione di app per smartphone,  tanto  che molte associazioni addirittura non hanno neanche un sito web responsive, cioè leggibile da telefono.

Ma la seconda carenza è forse la più seria. Solo il 45% delle ong traccia le donazioni e gestisce il rapporto con i donatori grazie a software CRM, molti dei quali sono spesso obsoleti. Sostiene il Report “Il processo antiquato di relazione con i donatori e supporters  attraverso Excel o  software di Customer Relationship Manager (CRM) obsoleti sta ostacolando le Ong nella loro capacità di essere organizzazioni efficienti, data-driven”.

Secondo gli autori si tratta quindi di fare un salto di qualità nell’Information Technology delle organizzazioni. Infatti, solo il 41% delle organizzazioni intervistate usa qualche forma di protezioni dei dati,  mentre questo aspetto diventa sempre più importante  “In un’epoca di forte crescita delle minacce alla cybersecurity, il rafforzamento nella gestione e nella sicurezza dei dati è un imperativo”.

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E infine un’interessante comparazione tra la predominanza di diversi strumenti nei diversi continenti, che mette in luce come le diverse aree del pianeta privilegino mezzi di comunicazione differenti.

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Puoi approfondire la questione cybersecurity (1)della protezione dei dati e imparare qualche semplice soluzione per migliorare la sicurezza online durante il Webinar gratuito Cybersecurity: introduzione alle tecniche di autodifesa digitale  che si terrà lunedì 26 febbraio alle ore 18

“Adotta un Danese” è l’ironia la chiave della comunicazione virale

Molti danesi si lamentano su Facebook di come molto denaro venga inviato in Africa invece di essere utilizzato per accudire gli anziani in Danimarca“. Questa provocazione apre il video della fantomatica “Adopt-a-Dane-Foundation” che in pochi giorni è già diventata un fenomeno virale. Co-prodotto dalla radio danese DR-P3 e dall’organizzazione umanitaria Danmarks Indsamling (DKI) il video è stato realizzato per sensibilizzare su cliché e stereotipi e rispondere con ironia alle politiche sempre più severe di molti Paesi europei in materia di migranti.

di Viviana Brun

 


 
Il 26 gennaio il Parlamento della Danimarca ha approvato una controversa riforma del diritto di asilo mirata a scoraggiare gli arrivi di profughi e richiedenti asilo nel Paese. Tra le varie misure previste, la nuova legge dell’accoglienza prevede la confisca dei beni di valore superiore alle 10 mila corone (1350 euro) ai rifugiati in ingresso in Danimarca per rifarsi dei costi dell’accoglienza e un allungamento dei tempi previsti per i ricongiungimenti. Le migrazioni sono un tema chiave nella politica del Paese. Secondo quando riportato in questo articolo da Il Sole 24 ore, un recente sondaggio rivela che la questione dei rifugiati è il tema più importante per il 70% degli elettori danesi.

Nonostante il consenso di gran parte dell’elettorato, le misure adottate dalla Danimarca hanno suscitato non poche polemiche, soprattutto sul piano internazionale. Una delle iniziative che ha richiamato maggiormente l’attenzione è stata la decisione da parte dell’artista cinese Ai Weiwei di chiudere per protesta le due esposizioni artistiche in corso a Copenhagen. In un tweet, Ai Weiwei ha definito “senza vergogna” la decisione presa dal Parlamento danese.

 

 

Quella di Ai Weiwei non è stata l’unica reazione di fronte all’avanzare delle “politiche del rifiuto”. Domenica 31 gennaio su YouTube è comparso il video “Fondazione Adotta un Danese. L’Africa sta salvando molti anziani della Danimarca” che in un paio di giorni è già diventato un fenomeno virale. Dietro al nome inventato della “Adopt a Dane Foundation” si nasconde la P3 Dr, una delle stazioni radio nazionali danesi. L’ideatore del progetto, Jackson Nouwah, ha deciso di usare la satira e di giocare con gli stereotipi per rispondere con ironia alle politiche sempre più severe di molti Paesi europei in materia di migranti e ironizzare sui danesi che si lamentano sui social network per i soldi spesi per i progetti di cooperazione internazionale invece che investiti per i bisogni dei cittadini in Danimarca. “Certo – dice Nouwah – noi abbiamo acque inquinate, epidemie e poca elettricità, ma dai commenti di Facebook sembra che gli anziani danesi stiano peggio di noi. Per favore, prendiamoci cura di loro”.

Il video riporta subito alla mente la satira utilizzata nella campagna “Africa For Norway” realizzata dalla SAIH, organizzazione che riunisce gli studenti di sviluppo e cooperazione in Norvegia per ironizzare sull’immagine pietistica dell’Africa dipinta da molte campagne di raccolta fondi.
 

La comunicazione organizzativa, oltre la buona causa

Assicurare la circolazione dei flussi di informazione all’interno di una organizzazione, anche piccola, è un elemento imprescindibile per il funzionamento dell’organizzazione stessa e per il raggiungimento di qualunque obiettivo. Non basta che la causa sia buona, bisogna anche saper far funzionare l’organizzazione.

di Silvia Pochettino

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