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Comunicazione sociale tra responsabilità e professionalità

Ancora bambini con le pance gonfie, attività sociali percepite come buonismo tappabuchi, gli appelli alla solidarietà sociale compaiono sui media prevalentemente in casi di emergenza o in occasione di maratone televisive o appelli di personalità mediatiche. Eppure il non profit è oggi in Italia un settore strategico per comprendere i bisogni sociali e costruire una convivenza civile, giorno per giorno. 

Secondo i dati Istat in 10 anni il numero dei lavoratori del Non Profit è passato da 488.523 a 861.919 (il 6,9% rispetto ai lavoratori delle imprese) con un incremento del 76%, senza contare gli italiani che partecipano ad attività associative in forma volontaria e gratuita. Si tratta di una parte significativa e importante dell’economia del nostro paese.

La comunicazione sociale ha bisogno di affermarsi sempre di più con spazi di dignità e professionalità. 

Ma quali sono i principi etici, gli strumenti e le strategie vincenti della comunicazione sociale? A cosa bisogna fare attenzione per non cadere nel pietismo o nel sensazionalismo ma allo stesso tempo coinvolgere? Perché alcune campagne decollano e altre no?

Per rispondere a queste domande e contribuire a potenziare le capacità comunicative del Terzo Settore riparte il percorso formativo No profit Si social, comunicazione digitale integrata per il terzo settore”, ideato e realizzato da Impactskills e Idea Comunicazione, con il patrocinio dell’Associazione Ong Italiane (AOI) e FOCSIV. Dopo una prima edizione di successo, il percorso si arricchisce di nuovi docenti, laboratori pratico applicativi, esercitazioni mirate e simulazioni immersive.

Sul sito di Impactskills tutte le informazioni

 

Gli Oscar della comunicazione sociale 2016

Anche quest’anno l’Ong norvegese SAIH ha eletto i vincitori dei Radi-Aid Awards, il riconoscimento che dal 2013 premia le migliori e le peggiori campagne di comunicazione sociale e di raccolta fondi realizzate nel corso dell’ultimo anno.

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10 buone pratiche per contattare le comunità locali nelle emergenze

Arrivi all’aeroporto di Bangui nella Repubblica Centro Africana (RCF) dalla sede centrale. Accendi lo smartphone per dire alla tua famiglia e ai tuoi colleghi che sei arrivato senza nessuna complicazione: “Non c’è campo!”, dice Jean-Luc Mootoosamy, manager del programma per la RFC per la Foundation Hirondelle, organizzazione sullo sviluppo dei media.
Mootoosamy, al primo forum annuale del Communicating with Disaster Affected Communities (CDAC) Network, annunciava uno dei temi focali della discussione: contattare le comunità locali nelle emergenze. Dal 2009 i membri del CDAC Network hanno fatto progressi significativi nel costruire due metodi di comunicazione con le comunità colpite da disastri naturali, “ma sappiamo veramente cosa fare in ambienti in conflitto come lo Yemen, la RFC o Sud Sudan?”, ha chiesto il presidente del comitato Gregory Barrow, capo del World Food Programme (WFP) a Londra. “Quando parliamo di comunicazione in contesti di conflitto, dobbiamo fare i conti con la realtà” dice Ana de Vega, Emergency Community-Based Protection Officer per l’UNHCR. “C’è anche un importante elemento di incertezza che rende ogni tipo di comunicazione più complesso” sottolinea Philippe Stoll, capo deputato della comunicazione pubblica all’ICRC. “In un disastro naturale sappiamo che le cose miglioreranno, nelle situazioni di conflitto non possiamo saperlo.”

di Jacobo Quintanilla*

Se ti sei perso il Forum dei membri del CDAC, una registrazione della discussione di gruppo sul “comunicare con comunità in contesti di emergenza” è qui disponibile:

 

 

Di seguito 10 suggerimenti presi da questa discussione su come affrontare queste mancanze critiche:

 

1. Comprendere il contesto locale: Le situazioni di conflitto presentano particolari sfide, come l’instabilità e il limitato accesso fisico alle comunità, l’interruzione dell’energia elettrica e delle infrastrutture tecnologiche, la limitata capacità ad usare le tecnologie, la protezione dei dati e, certamente, la cattiva informazione e propaganda.
Capire gli attori locali, le loro capacità e modi di fare, il contesto economico, politico e sociale è la chiave, come Nigel Fisher, precedente coordinatore umanitario ad Haiti e in Siria, rimarca durante il suo discorso di apertura.

 

2. Fare presa sull’ecosistema di informazioni locali: La necessità di migliorare la comprensione delle agenzie di sviluppo di come le persone locali hanno accesso all’informazione e alla comunicazione era un tema ricorrente durante i due giorni di forum. “Abbiamo bisogno di conoscere l’ecosistema delle informazioni locali, di sapere chi sta possedendo cosa e chi sta parlando in quale canale. Occorre prestare attenzione al modo in cui ci approcciamo a tale ecosistema, e vedere come possiamo essere percepiti”, dice Stoll da ICRC. Capire il contesto delle informazioni locali include anche capire su cosa le persone vogliono essere informate, di quali canali di comunicazione attualmente si fidano e quali usano, il modo in cui li usano e quali informazioni seguono.

 

3. La diffusione delle informazioni: Chiacchiere, cattiva informazione e propaganda sono sempre state una caratteristica presente nelle situazioni di conflitto. Nel mondo digitale, sia su scala globale che locale, esse circolano più velocemente rendendo difficile per le persone percepire le informazioni per quello che sono. In ambienti iper-connessi, l’informazione può così essere un valido strumento o un’arma di guerra.

 

4. Costruire fiducia nel luogo in cui si opera: “Costruire fiducia” era un altro punto ricorrente durante il Forum. E’ più facile a dirsi che a farsi! Costruire fiducia “non riguarda un tentativo ‘spot’, è qualcosa che non si costruisce in due mesi…” dice de Vega. Per Mootoosamy, coinvolgere le persone nella loro stessa lingua e come interagisci con loro sono le chiavi per iniziare questa costruzione. “Alle persone non piace sentirsi dire cosa devono e non devono fare. Esse vogliono invece essere informate, ed elaborare delle opinioni proprie”.

 

5. I media locali, costruire un rapporto di fiducia: La radio è estremamente popolare in molti paesi del mondo. Radio Ergo (“ergo” in somalo significa mediatore o inviato nell’interesse delle persone bisognose) trasmette novità umanitarie e informazioni da Nairobi ogni giorno. Questa radio cerca di lavorare con le ONG e le agenzie delle Nazioni Unite per produrre contenuti per le loro registrazioni giornaliere, ma risulta essere un rapporto difficile “Abbiamo una mancanza di fiducia da parte della comunità internazionale. Gli operatori umanitari sembrano non fidarsi troppo di noi e mi auguro che col tempo si possa creare un coinvolgimento in maggiore”.

 

emergenze

 

6. Ripristinare la connettività: Un articolo,“Providing technology and losing control”, scritto da Meg Sattler, Consigliere in Emergency Telecommunications Cluster (ETC), ci pone una domanda interessante: siamo pronti per diventare facilitatori? Facilitare le persone a riconnettersi, a ristabilire reti di comunicazione vitali e iniziare a coordinare le proprie risposte, è un’operazione cruciale. Un tentativo viene fatto in Rwanda dall’ICRC e MTN Rwanda, una compagnia locale di telecomunicazioni, che stanno aiutando i rifugiati burundesi a mettersi in contatto con i loro familiari usando i propri telefoni che possono caricare in un “Mobile solar kiosk’s” e usare SIM card locali gratuite.

 

7. Il dialogo e le aspettative della comunità: Anche se molte persone sono grate agli operatori umanitari, le agenzie per lo sviluppo possono essere percepite come poco attive sul territorio. Come facciamo a costruire fiducia quando il tempo con le comunità è scarso in momenti di crisi? Che cosa significa il face to face 2.0 per gli operatori umanitari?

 

8. Tenere conte delle inuguaglianze: L’aumento dei telefoni cellulari, dell’accesso a internet tramite smartphone e dell’accesso ai social media sta trasformando il mondo e il suo uso nelle emergenze continuerà a crescere. Ma bisogna sottolineare che la tecnologia può produrre vecchie ineguaglianze e crearne di nuove riguardo al digitale. Questi fattori devono essere considerati. Le agenzie di aiuti devono essere in grado di adattarsi ai bisogni specifici delle persone e coinvolgere la “silenziosa maggioranza” che non è ancora online.

 

9. Miglior collaborazione e miglior evidenza: De Vega sostiene che “C’è una proliferazione di spazi per la discussione, ma non vi dedichiamo abbastanza tempo”. L’advocacy, costruita su una forte programmazione ed evidenza operativa, necessita di essere una parte più ampia della rete di lavoro. Questo include muoversi da un tipo di coordinamento eccessivo dai piani alti, troppo distante dal vero contesto operativo, ad un approccio più collaborativo per supportare le organizzazioni locali.

 

10. Cambiare la mentalità istituzionale: Il coinvolgimento di una comunità richiede competenze tecniche, per esempio nel veicolare bisogni e progettare interventi. “Negli anni a venire le persone ci giudicheranno in base alla qualità del coinvolgimento, alla nostra abilità di ascolto. Il coinvolgimento della comunità non è un strumento di comunicazione o di azione, ma una sfida centrale nel modo in cui operiamo.” dice Yves Daccord, direttore generale della ICRC all’apertura del Forum della CDAC.

 

* Articolo tratto da https://bit.ly/1PxpRex
Photo credit: Albert Madrazo/ICRC & Paese Italia Press

 

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