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Nasce ImpactSkills, il nuovo spazio digitale per lavorare nel sociale

Dopo oltre 10 anni di lavoro congiunto tra ong ed enti dell’innovazione tecnologica per supportare l’uso delle tecnologie digitali nella cooperazione allo sviluppo, 102 percorsi formativi realizzati, oltre 7 mila persone coinvolte in 54 paesi, Ong 2.0 è entusiasta di presentare oggi la sua nuova avventura: ImpactSkills , il nuovo spazio digitale appena nato per acquisire competenze, incontrarsi, progettare e lavorare nel Terzo Settore e nella Cooperazione Internazionale in Italia.

di Silvia Pochettino  

Stiamo uscendo – speriamo – da due anni di pandemia in cui vivere lo spazio digitale è diventato la normalità, forzata, di tutti. E’ stata molto dura perché ci ha obbligato a un cambiamento radicale, repentino e spesso totalizzante del nostro modo di vivere impedendoci di mantenere quell’equilibrio tra vita online e offline che è assolutamente necessario per il benessere fisico e psicologico.

Tuttavia ha permesso a molte categorie di persone, enti e istituzioni, prima ampiamente avulse dal digitale, di imparare rapidamente l’uso di molti strumenti e soprattutto di acquisire la consapevolezza che si possono fare moltissime più cose online che guardare i social e che, in alcuni casi, questo è estremamente conveniente. Noi come Ong 2.0 l’avevamo intuito oltre 10 anni fa, quando abbiamo iniziato a realizzare i primi webinar collegando persone da tutte le parti del mondo, in anni in cui la stessa parola webinar era misteriosa e sconosciuta nel mondo non profit.

Il processo di evoluzione è stato lento. Fino all’arrivo della pandemia. Con il Covid in pochi mesi l’Italia, come quasi tutto il mondo, ha fatto un balzo tecnologico che avrebbe richiesto ancora parecchi anni. Nel bene e nel male.

E’ per questo che anche noi come Ong 2.0 abbiamo sentito il bisogno di ripensarci e fare dei passi avanti creando uno spazio digitale più articolato e performante al servizio del lavoro sociale, ma volutamente in controtendenza con l’automatizzazione che molta digitalizzazione porta con sé.  Abbiamo voluto creare uno spazio che pur essendo totalmente digitale recuperi in modo molto forte la relazione umana, di cui abbiamo sentito tanto la mancanza in questi due anni.

Prima di tutto siamo persone.

E ImpactSkills è un luogo di incontro tra persone (che ormai sanno che possono relazionarsi in modo autentico anche attraverso il web) dove  chi vuole inserirsi nel mondo sociale o è già un operatore ma vuole rinnovare le sue skills e ampliare i suoi contatti, può avere colloqui individuali face to face, essere seguito da un mentor o da un coach, partecipare a percorsi formativi live online dove si ricreano le dinamiche di aula fisica, mettersi in gioco nei weblab, laboratori  applicativi e pratici per la produzione di risultati concreti subito. Oppure può partecipare alle  community tematiche di social learning, scambio e co-progettazione. O, meglio ancora, può fare tutte queste cose insieme 🙂

 

Insomma un campus virtuale per l’impegno sociale dove speriamo nasceranno anche nuove relazioni, progetti e idee. Siamo solo all’inizio, è evidente, e la direzione si rinforzerà con la partecipazione delle persone e le idee che loro stessi porteranno. Sappiamo però anche che la tecnologia continua a evolvere velocissima e questo ci permetterà a breve di implementare nuove funzionalità e fare cose che forse oggi neanche ancora immaginiamo.

In questo momento la nostra rete di esperti è la nostra forza: persone altamente qualificate, con una lunga esperienza alle spalle, che hanno fatto dell’impegno sociale la loro scelta di vita e la loro professione. Esperti di tecnologie digitali, progettazione, comunicazione e fundraising, mentoring e coaching e molto altro. Abbiamo avviato partnership con numerose associazioni, ong di cooperazione internazionale e startup a impatto sociale in cui è possibile realizzare tirocini e stage, per iniziare o per mettere a frutto le competenze acquisite.

In breve con Impactskills vogliamo vivere lo spazio digitale al meglio, aiutare i giovani a entrare negli enti sociali e dare il nostro piccolo contributo per far crescere un terzo settore professionale, smart e sempre più efficace.    

Gli enti fondatori di Impactskills rappresentano tutta l’Italia: ACCRI Trento e Trieste, CELIM Milano, CISV Torino, COPE Catania, CVCS Gorizia, Informatici senza frontiere Treviso, LVIA Cuneo e Torino, Progettomondo Verona, Social Innovation Teams Milano. I soci fondatori sono Silvia Pochettino, giornalista e formatrice; Paolo Landoni, professore al Politecnico di Torino; Rosa Maria Manrique, project manager. Gli enti partner: Aspem (Cantù), Amici dei Popoli (Bologna e Padova), Comi (Roma). Gli enti con cui già si collabora per la realizzazione di iniziative e prodotti: Cospe (Firenze), Gnucoop (Milano), Coaching Inside School (Milano), Idea Comunicazione (Roma), SAA- School of Management (Torino),  TechSoup, Università di Torino

HATSI JARI: L’Allevamento e il Digitale si incontrano nel Ferlo

Di Pietro Orfei, collaboratore ONG 2.0/CISV Onlus

L’Allevamento e il Digitale si incontrano nella regione del Ferlo, in Senegal. Il punto di incontro tra questi due mondi è il sistema Hatsi Jari, una soluzione ICT sviluppata da ProSE (centro senegalese di consulenza informatica) e promossa nel progetto DIGIT-ALF. L’iniziativa rientra nel programma Tecnologie per lo Sviluppo Sostenibile della Fondazione Cariplo in partenariato con CISV, RBM (Reseau Billittal Maroobe, rete internazionale che tutela i pastori transumanti) e lo stesso ProSE.
L’obiettivo del progetto è la diffusione di Hatsi Jari come strumento innovativo a disposizione del settore agro-pastorale con particolare attenzione alla sicurezza alimentare. Nell’area agro-pastorale del Ferlo l’allevamento è il settore principale di sostentamento delle popolazioni. Durante le stagioni secche, spesso le mandrie sono costrette a spostarsi a causa della difficile reperibilità di mangime. Ciò causa un’inadeguata alimentazione per il bestiame che si traduce in un’altrettanta insicurezza alimentare per le comunità che risiedono nel Ferlo.  
Hatsi Jari si propone come innovazione per l’allevamento: 

  • Rendendo accessibile l’informazione sulle disponibilità di stock di mangime per gli allevatori nei periodi di siccità. Ciò favorisce la sedentarizzazione delle mandrie presso le comunità di provenienza per il mantenimento delle famiglie;
  • Proponendosi come nuovo strumento gestionale dei magazzini forniti di foraggio, attraverso transazioni e movimenti tracciabili e visibili e pagamenti digitali. Spesso sia per i magazzinieri che per i pastori avere con sé ingenti somme di denaro rappresenta un rischio non trascurabile;
  • Garantendo la sostenibilità e il reinvestimento dei guadagni al fine di acquistare nuovi stock alimentari.

Nella prima parte di DIGIT-ALF, ProSE ha inserito su Hatsi Jari i 6 magazzini individuati da progetto e si è occupata della formazione rivolta ai responsabili dei magazzini. Nel corso della formazione si è spiegato come si inserisce lo stock prodotto e come si aggiornano le relative entrate ed uscite, nonché come si indicano i prezzi e come si procede con gli acquisti.
Successivamente DIGIT-ALF ha vissuto la sua prima fase nei mesi tra Aprile e Giugno. Come Ong 2.0 abbiamo svolto lo scorso luglio una missione nel Ferlo al fine di valutare i benefici apportati dal sistema Hatsi Jari, indicando eventuali suggerimenti in prospettiva della seconda fase progettuale e della replicabilità in altri contesti.Abbiamo incontrato i 6 magazzinieri coinvolti nel progetto assieme alle organizzazioni pastorali ed allevatori che beneficiano di Hatsi Jari, per un totale di circa 50 persone coinvolte. Lo scopo dei focus group tenuti nelle 6 differenti comunità del Ferlo ( Dahra, Dayane, Linguère, Namarel, Bombodé e Ganina) è stato quello di apprendere dai nostri interlocutori l’esperienza maturata con Hatsi Jari.
Alla luce dei dati raccolti, possiamo evidenziare che:

  •  Hatsi Jari è un sistema digitale utilizzato direttamente da 3 dei 6 magazzini a causa dell’assenza di segnale. Un quarto magazziniere ha difficoltà di utilizzo laddove sorge il magazzino ed è costretto a spostarsi per avere la connessione.
  • Laddove non c’è Connessione Internet, i magazzinieri inviano i dati a ProSE che si occupa di aggiornarli per ridurre il margine d’errore nell’informazione.
  • Tutti i magazzini coinvolti ritengono poco efficace la formazione ricevuta e chiedono una nuova formazione. Per loro stessi e per gli allevatori soprattutto. In lingua locale e non in lingua francese. Una formazione funzionale con tempi utili all’assimilazione.
  • Hatsi Jari è una piattaforma disponibile in più lingue, ma non nelle lingue locali (wolof, pulaar). Quanto emerso dalle interviste evidenzia la necessità di renderlo più accessibile partendo proprio dalla questione linguistica.
  • I magazzinieri e gli allevatori utilizzano Hatsi Jari come sistema informativo e non nelle sue molteplici funzionalità (acquisto digitale, ad esempio). Da parte dei magazzinieri migliora l’informazione sulle disponibilità di stock e rende più semplice il gestionale del magazzino, rendendo i dati più facili da consultare rispetto ai registri tradizionali. Dalla parte degli allevatori, il sistema mette a disposizione sia le quantità che le posizioni e i numeri telefonici dei magazzini e viene utilizzato raramente e solo nella messaggistica audio (la quale permette di esprimersi in lingua locale), rendendo poco fruibile l’informazione nei canali di comunicazione.
  •  Tra i pro di Hatsi Jari ci sono una migliore visibilità e trasparenza, nonché rapidità nella raccolta e consultazione dei dati.
  • I contro sono invece
    1. l’assenza di segnale che rende l’informazione difficile da aggiornare e consultare.
    2. La mancanza di strumenti adeguati per l’utilizzo di Hatsi Jari (telefoni, tablet).
    3. La sensibilizzazione verso i pastori, scettici di effettuare pagamenti digitali e a favore invece di pagamenti in contanti.

Concludiamo la valutazione su Hatsi Jari utilizzando i Principi Digitali lo Sviluppo Digitale come indicatori. Sono 9 linee guida per supportare decisioni sul design e/o l’implementazione delle ICT per lo Sviluppo.

  • Hatsi Jari nasce come soluzione digitale per la sicurezza alimentare. La problematica è reale e considerata tale anche dalle comunità del Ferlo. Ciò che manca alla fine della prima fase di progetto è sicuramente la fase di Design con l’utente. Gli utenti di Hatsi Jari sono diversi: sono i magazzinieri, ma sono anche gli allevatori. Ciò che emerge dai dati è che si tratta sicuramente di una ICT sviluppata PER questi users, ma non CON questi users. Di conseguenza la sensibilizzazione rimane superficiale, a tal punto che per i magazzinieri diviene uno strumento gestionale della loro attività mentre per gli allevatori rappresenta un mezzo di informazione, ma non uno strumento per effettuare transazioni in modo rapido e sicuro.
  • Per aumentare l’impatto di una soluzione ICT è utile non soltanto conoscere lo spazio d’intervento, ma anche adattare il sistema per facilitarne l’utilizzo. Gli ecosistemi non sono neutrali ai fini di una ICT: si compongono di vari attori con le loro esigenze e complessità (alfabetizzazione, assenza di segnale, barriere linguistiche…).
  • Una soluzione ICT deve mettere a disposizione i propri metadata. Hatsi Jari ad oggi non ha la possibilità di consultare il numero di visitatori e membri attivi, ma permette solo di scaricare la lista di transazioni. Avere dei metadata consente di orientare il progetto verso certi orizzonti piuttosto che altri.
  • Oggigiorno, l’informazione è potere e di conseguenza è importante che la privacy e sicurezza dei dati sia considerata adeguatamente. Hatsi Jari mette a disposizione numeri telefonici e nomi dei membri iscritti senza garantire sufficientemente la privacy di chi ne fa parte e questo potrebbe essere un problema considerando la legislativa di realtà come le Nazioni Unite o la stessa Unione europea in merito alla data protection.
  • Oltre ai nove Principi Digitali, continuo a considerare di fondamentale importanza l’introduzione di un decimo parametro. L’educazione digitale. In un mondo in cui il digital divide è accentuato sempre più ed è alla base di disuguaglianze sempre maggiori, una ICT per lo Sviluppo deve sempre tenere in considerazione il fattore educativo. L’alfabetizzazione digitale è possibile laddove ci siano i giusti mezzi.

ISF: in Africa è cruciale il tema della tecnologia sostenibile

Dal 17 al 19 ottobre, a Rovereto si svolge la terza edizione del Festival di Informatici Senza Frontiere, che si propone di favorire una riflessione e un dialogo sull’impatto sociale delle nuove tecnologie. La seconda giornata del Festival si apre con l’incontro “Sfide e aspirazioni dei giovani africani di oggi: cosa può fare la tecnologia?”, che vedrà tra i relatori Maurizio Bertoldi, coordinatore ISF Africa. Con lui abbiamo approfondito l’attività di ISF nel continente e affrontato alcuni dei temi chiave sull’impatto della tecnologia e del digitale in Africa.

di Luca Indemini

Maurizio Bertoldi, oltre a occuparsi degli interventi nel continente africano per Informatici Senza Frontiere, è partner fondatore e Chief Technology Officer di Sinapto, società che offre consulenze in ambito tecnologico. Il contesto africano è sicuramente moto diverso da quello occidentale, presenta sfide e problematiche peculiari, è dunque importante adeguare e adattare gli interventi, al fine di non sprecare le risorse e di massimizzare gli impatti.

Maurizio Bertoldi, da dove si deve partire?

Il tema centrale è quello della tecnologia sostenibile tanto in occidente, quanto e soprattutto in Africa.

«I danni della tecnologia non sostenibile sono sotto gli occhi di tutti. Penso ad esempio alle miniere in Congo dove si estrae il Coltan, minerale indispensabile per gli smartphone. La tecnologia di alto livello ha un prezzo molto alto, che si paga spesso in Africa. Anche se esistono soluzioni, sempre tecnologiche: ad esempio il Fairphone, il cellulare sostenibile, che tiene conto delle persone che lo producono e dell’impatto sul pianeta.»

«Un altro problema è quello legato allo smaltimento degli hardware, con la creazione di discariche in Ghana e Bangladesh. Meno evidente l’impatto del software, ma non meno problematico: Bitcoin e blockchain in Africa sono sostenibili da un punto di vista energetico? Come Informatici Senza Frontiere ci occupiamo di informare sui vantaggi della tecnologia e del digitale. Prima di tutti, il fatto che è un linguaggio universale: se imparo Java è uguale a New York, in India e in Africa. Questo è un aspetto davvero “disruptive”. Inoltre, Internet mi permette di essere ovunque, in qualsiasi momento. Sono tutte potenzialità da sfruttare, ma in modo etico, ragionato e sostenibile.»

A fronte della mancanza di beni primari potrebbe venire da chiedersi se il gap tecnologico sia davvero una delle priorità per Africa. O forse dovremmo considerare anche quello una necessità primaria?

«Ci capita di dover sentire: “non hanno da mangiare e voi pensate a portare la tecnologia”, ma è un discorso che non ha senso.»

La tecnologia non risolve problemi specifici, ma è un fattore abilitante che permette di affrontare molti problemi.

«Un bell’esempio è quello del software open source Open Hospital, usato per la gestione delle attività ospedaliere in Uganda e in molti ospedali africani. I software open source sono fondamentali per permettere a tutti l’accesso a soluzioni tecnologiche senza barriere, almeno dal punto di vista economico. Poi certo, servono le competenze, ma a quello si può rimediare. È importante favorire collaborazioni tra diverse realtà in modo da creare soluzioni replicabili anche in altri paesi.»

Piattaforma Open Hospital in un ospedale in Somaliland

«Inoltre, in Africa l’età media è molto bassa, i giovani hanno voglia di mettersi in gioco, anche se spesso sbagliano direzione. Adesso, tutti vogliono fare i programmatori e rischiano di diventare gli operai, sfruttati, del nuovo millennio. Cerchiamo di favorire l’imprenditorialità giovanile, facendo leva su tecnologia e digitale. Ci sono esempi molto interessanti in ambito agritech o nella logistica e nel mondo della app. Basti pensare che ad Addis Abeba ci sono cinque servizi simili a Uber, in concorrenza.»

E in questo scenario come si inserisce il lavoro di Informatici Senza Frontiere?

«ISF punta a creare partnership con associazioni locali, con enti, con organizzazioni come il Cuamm, con i missionari Comboniani, in tutti i casi in cui sono necessari interventi informatici. Analizziamo le necessità, redigiamo un progetto e lo realizziamo lavorando con i volontari o con le risorse della cooperazione

«Il nostro intervento si articola principalmente su tre leve. Innanzitutto, la formazione: allestiamo aule informatiche e formiamo principalmente insegnanti, per poi favorire il trasferimento della conoscenza. Realizziamo interventi in ambito sanitario, informatizzando le strutture, e infine forniamo consulenza alla pubblica amministrazione e alle Università. Il nostro obiettivo è orientare le scelte, cercando di evitare gli sprechi.»

Dove siete operativi in Africa?

«Siamo presenti soprattutto in East Africa: Uganda, Etiopia, Tanzania. Ma anche in Somaliland, Sudan, Kenya. Mentre ad Ovest, abbiamo dei progetti in Camerun e in Senegal. Una decina di paesi in tutto.»

Ospedale San Luca di Wolisso, il primo paperless in Etiopia

Se dovesse citare un caso paradigmatico dei vostri interventi in Africa, quale sarebbe?

«Sicuramente quello nell’ospedale San Luca di Wolisso, in Etiopia. È un perfetto caso paradigmatico del nostro modo di operare: siamo intervenuti al fianco del Cuamm e abbiamo contribuito a renderlo il primo ospedale interamente paperless della zona.»

In chiusura una battuta sul festival di Informatici Senza Frontiere: cosa rappresenta?

«Ormai è un appuntamento consolidato, siamo arrivati alla terza edizione. All’inizio organizzavamo due assemblee annuali: una interna e operativa, la seconda, quella autunnale, era aperta al pubblico, per creare un momento di confronto. Puntiamo sull’Open Source e le reti per noi non sono solo quelle di cavi.

Tre anni fa si è deciso di trasformare la seconda assemblea annuale in un vero e proprio festival, rivolto soprattutto ai giovani e alle scuole. Un’occasione per fare il punto della situazione sulla nostra attività e per confrontarci su temi tecnologici, dalla robotica all’Intelligenza Artificiale, senza dimenticare un approccio etico e sostenibile. Fondamentalmente, il messaggio che vogliamo mandare è che la tecnologia è uno strumento per fare le cose meglio. Di per sé non risolve i problemi, ma aiuta ad affrontarli in modo più efficiente, ad esempio può aiutare a gestire meglio gli ospedali o le scuole.»

Digital Humanitarians: i Big Data e la risposta umanitaria

 

Digital Humanitarians

Come i Big Data stanno cambiando il volto dell’azione umanitaria

 

L’eccesso di informazioni generate durante le emergenze può essere paralizzante per l’azione umanitaria tanto quanto la mancanza di dati. Questa inondazione di informazioni è spesso chiamata Big Data o Big Crisis Data. Capire e gestire questa situazione si sta dimostrando una sfida impossibile per le tradizionali organizzazioni umanitarie, motivo per cui molte si stanno muovendo verso un approccio digitale.

 

Autore: Patrick Meier

Anno: 2015

Lingua: inglese

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