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La registrazione alla nascita è un diritto di ogni bambino

Ogni bambino ha diritto a un nome e a una nazionalità, diritto riconosciuto dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e da altri trattati internazionali. Tuttavia, le nascite di circa un quarto dei bambini al di sotto dei 5 anni nel mondo non sono mai state registrate.
La mancata registrazione di una nascita comporta la mancanza di un riconoscimento formale da parte dello Stato; in questo modo il bambino o la bambina non può ottenere il certificato di nascita, non può avere accesso alle cure mediche, all’educazione primaria e a molti altri servizi. Crescendo, la mancanza di un documento identificativo ufficiale può far sì che un bambino si sposi, lavori o sia arruolato nell’esercito prima che abbia l’età legale per farlo. La mancata registrazione alla nascita, quindi, apre la strada ad una lunga serie di possibili violazioni dei diritti del bambino.

di Paola Fava

 

Registrare i bambini alla loro nascita è il primo passo per assicurare loro un riconoscimento di fronte alla legge, salvaguardare i loro diritti e assicurarsi che nessuna possibile violazione dei suoi diritti passi inosservata.

Molti paesi hanno utilizzano diversi meccanismi per registrare le nascite. Questo comporta che la quantità, il tipo di informazioni ottenute e l’utilizzo dei dati emersi possono essere molto differenti, poiché basati sulle infrastrutture del singolo paese: la capacità amministrativa, la disponibilità di fondi, la possibilità di raggiungere gli abitanti e l’accesso alla tecnologia per la gestione dei dati.

È possibile individuare grandi differenze nella copertura delle registrazioni delle nascite anche tra diverse regioni geografiche. L’Europa centrale e dell’est e il Commonwealth russo (Central and Eastern Europe-CEE e Commonwealth of Independent States-CIS) vantano il più alto tasso di registrazione delle nascite, con il 98% dei bambini sotto i 5 anni di età registrati. Seguono l’America Latina e i Caraibi, con il 92%, e il Medio Oriente e il Nordafrica con l’87%. Il più basso tasso di registrazione delle nascite è daattribuirsi alla zona dell’Africa Subsahariana (41%). In Africa Orientale e nell’Africa del sud solo il 36% dei bambini sono registrati, mentre il tasso in Africa Occidentale e Centrale è leggermente più alto, con il 45%.

 

Percentuale dei bambini sotto i 5 anni di età registrati per regione. nascitaFonte: UNICEF

 

Molti uffici nazionali dell’UNICEF stanno testando l’utilizzo delle tecnologie di comunicazione mobile, inclusi i cellulari, per aumentare la copertura delle registrazioni delle nascite. Le tecnologie mobile e digitali possono essere infatti strumenti preziosi per raccogliere informazioni accurate e precise in modo tempestivo.

In Uganda l’UNICEF con un partner del settore privato, Uganda Telecom, gestiscono una tecnologia mobile e web-based per digitalizzare i registri delle nascite, rendendo il processo di registrazione più veloce, più accessibile e più affidabile.

 

Il caso della Cambogia:

Secondo l’Indagine demografica e sanitaria sulla Cambogia (CDHS) del 2010, poco più del 62% dei bambini di età inferiore ai 5 anni sono registrati in Cambogia, percentuale inferiore a quella del 2005, del 65%. L’indagine evidenza anche una grande differenza nelle registrazioni tra le zone urbane e quelle rurali, oltre che tra ricchi e poveri. Il 60% dei bambini che vivono nelle aree rurali sono registrati alla nascita, in confronto al 74% di quelli che vivono nelle aree urbane. Per quanto riguarda la differenza tra popolazione ricca e povera, solo il 48% dei bambini più poveri viene registrato, al contrario dei bambini più benestanti, registrati per il 78%.

Dal 2011 MOI, con il supporto di UNICEF, sta implementando un progetto pilota in 32 comuni di 3 distretti Kampong Speu, Prey Veng, e Svay Rieng. Lo scopo è quello di strutturare delle risposte efficaci ai problemi che causano il basso tasso di registrazione delle nascite. I risultati del progetto pilota serviranno anche a guidare gli stakeholder nel tentativo di migliorare le politiche e programmi pubblici.

Esistono diversi fattori che concorrono alla determinazione della situazione attuale:

  • Basso valore dei certificati di nascita e scarso utilizzo del documento
  • Il documento non è durevole, soprattutto per le famiglie che vivono in zone rurali, particolarmente soggette a danni e perdite
  • I comuni e i distretti spesso presentano una carenza di certificati di nascita, causando incongruenze e ritardi anche nella registrazione delle nascite
  • I genitori trovano il processo di registrazione dei neonati complicata e rigida, specialmente nei casi di registrazione tardiva
  • Il sistema di monitoraggio e registrazione manuale e cartaceo porta ad una scarsa gestione dei dati, a una bassa qualità delle informazioni e a un flusso di informazioni irregolare o tardivo.

Una delle raccomandazioni emerse dal progetto è quella di implementare una presenza mensile di routine e la registrazione in tempo reale delle nascite tramite SMS.

Per aiutare a risolvere questa situazione, UNICEF Cambogia insieme al General Department of Identification (GDI) hanno creato una piattaforma IVR pilota, utilizzando una combinazione di RapidPro e i canali di comunicazione cloud Twilio and Nexmo. Questa soluzione dovrebbe assicurare in un primo momento un’immediata registrazione dei bambini.

Ogni mese gli amministratori comunali riportano il numero di moduli compilati e i dati raccolti, o rispondendo alle chiamate mensili automatizzate di RapidPro, o reperendoli dal sistema. I dati vengono quindi analizzati da RapidPro. Se il numero di moduli reperiti si trova al di sotto di una determinata soglia, RapidPro invierà automaticamente una notifica al distretto tramite SMS. Gli ufficiali distrettuali, incaricati di riassegnare i moduli, ricevono gli SMS sui comuni che necessitano di una redistribuzione, aiutando ad assicurare che i comuni siano sempre attrezzati per registrare tutti i bambini.

RapidPro viene utilizzato in tutto il mondo in diversi modi per aiutare bambini e famiglie, supportato dal Global Innovation Center (GIC) dell’UNICEF. Il GIC funge da centro di eccellenza alimentato da una crescente rete globale di uffici, specialisti e alleati dell’UNICEF che si dedicano all’utilizzo di tecnologie che possono avere un impatto su vasta scala sulla vita dei bambini.

 

Tradotto da Laura Andreoli

Photo Credit: Margherita Dametti for COOPI

Fonte: https://blogs.unicef.org/east-asia-pacific/harnessing-mobile-technology-improve-birth-registration-systems-cambodia/

Approccio di genere; atout indispensabile per la cooperazione

Donne e uomini non sono uguali. Una banalità? Non se si vuole lavorare seriamente nei processi di sviluppo.

di Silvia Pochettino

Sia ONU che Banca mondiale, come riportato nel documento Uguaglianza di genere ed empowerment delle donne del Ministero Affari Esteri italiano, dimostrano chiaramente che la marginalizzazione del ruolo delle donne impedisce la sostenibilità delle azioni di sviluppo.
A livello di politiche internazionali l’ultimo decennio è stato fondamentale nel riconoscimento del concetto di genere, elaborato già negli anni ‘70 e poi diventato centrale nelle politiche di sviluppo con la Convenzione per l’eliminazione di ogni discriminazione sulle donne e in seguito la Conferenza di Pechino del 1995.

Eppure parlare di approccio di genere non significa semplicemente parlare di promozione del ruolo della donna.
Lo chiarisce subito Luisa Del Turco, grande esperta di politiche di genere, direttore del Centro Studi Difesa Civile e docente al prossimo corso di Ong 2.0 su “Approccio di genere nella cooperazione internazionale”.

Spiega Luisa: “L’approccio di genere non è una disciplina, non è un ambito di intervento come tanti altri nella cooperazione internazionale, come sanità, agricoltura, assistenza umanitaria, recupero culturale, ecc..è un approccio trasversale a tutti gli ambiti, un modo di guardare le cose”. Si tratta in concreto di “una serie di strumenti che permettono di analizzare ogni attività ponendo attenzione continua alle differenze, alle attitudini, alle competenze di uomini e donne”.
Un esempio di strumento? L’analisi di genere. “Quando lavoro in un paese con un’organizzazione locale o anche quando guardo la mia stessa ong” continua Del Turco “se indosso la lente di genere, vado ad analizzare dove ci sono uomini e donne, in che percentuale, quale ruolo ricoprono, che cosa fanno, se partecipano attivamente o no all’azione di intervento. Sulla base di questa analisi è possibile valutare qual è il soggetto meno coinvolto, o se un soggetto è posizionato in un ruolo che non è adatto al suo genere e questo inficia la riuscita del mio progetto”.

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In generale sono le donne le più marginalizzate dai processi produttivi e politici, ma non è sempre così. Ci sono contesti in cui la marginalizzazione riguarda gli uomini “Ad esempio nei campi profughi” spiega Del Turco “ dove gli uomini sono molto pochi, e la maggioranza dei servizi riguarda donne e bambini”.
Altri strumenti dell’approccio di genere sono il gender planning, il gender evaluation: “tutto il ciclo del progetto può essere rivisto alla luce della lente di genere. Dall’analisi dei bisogni, all’implementazione, fino alla valutazione dobbiamo sempre tenere presente la differenza uomo-donna” sostiene la docente.

Gli effetti sono tanti, implementare l’approccio di genere non è una scelta politica o ideologica, è prima di tutto una scelta di efficienza, che riguarda tutte le organizzazioni, le azioni di sviluppo, umanitarie o in aree di conflitto.
Un esempio che riporta Luisa del Turco è quello dell’Afghanistan dove il ruolo di uomini e donne è declinato in modo molto diverso dalle aree di provenienza dei cooperanti, se non ci sono competenze di genere si possono non solo non raggiungere gli obiettivi del programma ma anche causare danni gravi. Ad esempio se un operatore maschio prende contatti con una operatrice locale donna in un contesto sbagliato si rischia non solo di fallire ma anche di mettere a rischio l’incolumità della donna in un paese dove una percentuale altissima di donne è in carcere per reati morali.

“L’approccio di genere è fondamentale per operare nel modo giusto nel contesto relativo, ed evitare errori grossolani” ribadisce la docente “Ma si tratta anche di efficienza. Ad esempio è dimostrato che le donne sono dei canali ottimi e molto affidabili per la distribuzione degli aiuti nei contesti di emergenza”.

Le donne, marginalizzate dai poteri forti, hanno spesso sviluppato pratiche alternative nell’ambito del peacebuilding o dei processi di sviluppo, per questo conoscere e valorizzare queste pratiche può fare la differenza.

L’Italia sia nella nuova legge di cooperazione, sia nelle linee guida per l’uguaglianza di genere già citate, sia nel più recente piano d’azione per donne pace e sicurezza, è impegnata su tutti i fronti. Questo non vuol dire però che l’approccio di genere sia già interiorizzato dalla maggior parte degli operatori della cooperazione internazionale, anzi.

E per questo che Ong 2.0 ha voluto organizzare un percorso online specifico di formazione sul tema. Qui si possono trovare programma e metodologia Approccio di genere nella cooperazione internazionale”.

Credit photo: Viviana Brun