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mHealth e mapping umanitario: un format di apprendimento online tutto nuovo

Nuovi temi e nuova metodologia nel portfolio formativo di Ong 2.0. Rispetto alla “tradizionale” formula utilizzata, con lezioni in diretta streaming ad orari fissi e prestabiliti, seguite da esercitazioni da svolgere in autonomia tra una sessione e l’altra, si testa ora una nuova formula “mista” che unisce i vantaggi dell’ e-learning senza perdere il valore aggiunto del rapporto diretto con il docente . I due nuovi corsi proposti (entrambi in inglese) sono dedicati all’uso dei GIS per la mappatura nel settore umanitario e per la cooperazione internazionale e alle tecnologie mobili in ambito sanitario (mHealth)

di Anna Filippucci

Da più di 10 anni, a Ong 2.0 abbiamo sviluppato una metodologia di formazione online che fa dell’interazione e dello scambio diretto con il docente i suoi punti di forza. Negli anni questo approccio è stato applicato ad oltre 20 percorsi e ha permesso a oltre 1100 partecipanti di formarsi con successo sui temi della cooperazione internazionale allo sviluppo e della comunicazione digitale per il no profit. Accanto a questa metodologia, da quest’anno abbiamo deciso di sviluppare un nuovo percorso formativo che integra i vantaggi dell’e-learning con l’imprescindibile rapporto diretto con i docenti, in grado di rispondere meglio alle necessità di un pubblico che man mano è diventato più ampio e internazionale. Il nuovo percorso, dedicato al tema delle ICT4D, è strutturato in lingua inglese ed è basato, nella sua prima fase, su un apprendimento asincrono che permette una gestione più flessibile di tempi e orari e prevede un sistema di test per valutare passo passo i propri progressi.

L’idea di creare questa nuovo percorso online prende forma a partire da due considerazioni in particolare. La prima è relativa alle esigenze di chi lavora all’estero come cooperante: la lingua inglese e una flessibilità oraria maggiore per tenere conto delle variazioni del fuso orario da un paese all’altro sono elementi essenziali per poter frequentare un corso online. La seconda considerazione è legata invece alla necessità di chi lavora sul campo di acquisire competenze pratiche e avanzate su strumenti specifici

I partecipanti ai corsi possono dunque usufruire di un percorso facilmente personalizzabile, adattabile alle proprie necessità e al ritmo di lavoro. Gli strumenti e le piattaforme utilizzate permettono di guardare brevi video registrati dai docenti ed eseguire test di valutazione delle conoscenze; ma non solo. Alla teoria si aggiunge la possibilità di sperimentare e conoscere concretamente degli strumenti “open” utili per il lavoro in questi due ambiti. Infine, per garantire la possibilità di un’interazione tra docenti e partecipanti ai corsi e la risoluzione di eventuali problemi di comprensione dei contenuti sono previsti anche due workshop in diretta.

Giuliano Ramat, uno dei docenti del corso sui GIS, spiega:  “il corso ha l’obiettivo di fornire ai partecipanti informazioni riguardo i più importanti strumenti “open source” per la mappatura in ambito umanitario, con un’attenzione particolare per i prodotti, i gruppi di lavoro e gli esperimenti che utilizzano la tecnologia “Openstreetmap”.

Paola Fava, responsabile di “mHealth per la cooperazione internazionale”, descrive invece il proprio corso come “l’opportunità di avere una panoramica generale dell’utilizzo di mhealth in contesti di sviluppo. Le sue applicazioni in ambito sanitario sono le più svariate: dalle indagini sulla salute, al monitoraggio remoto, alle applicazioni educative e ai sistemi di localizzazione delle malattie, per citarne solo alcune. Il corso fornisce dunque esempi e casi studio a questo proposito per stimolare l’utilizzo di tali tecnologie al fine di migliorare e integrare nuovi progetti sanitari “.

A proposito del nuovo formato dei corsi, Ramat afferma che “la formula E-learning adottata lascia liberi i partecipanti di scegliere l’orario che preferiscono per assistere alle lezioni. Inoltre, la suddivisione dei classici seminari da 90 minuti, in “capitoli” brevi della durata di mezz’ora aumenta la capacità di concentrazione su argomenti puntuali”. Paola Fava conferma: “la flessibilità e la possibilità di gestire il nostro tempo sono oggi requisiti fondamentali, per questo credo che questo tipo di “formula” corrisponda alle esigenze delle persone e alla disponibilità di tempo rispetto ai webinar più tradizionali.  Entrambi confermano tuttavia l’importanza e il valore dei momenti di interazione tra docenti e partecipanti: “il collegamento con il docente o altri studenti è comunque garantito dal forum di moodle e da alcune sessioni dal vivo”.

Perché l’inglese? Secondo Ramat “essendo l’inglese la lingua principalmente utilizzata nella cooperazione internazionale, professionisti che intendano lavorare nel settore devono necessariamente abituarsi all’idea di interagire con i colleghi in lingua straniera. A questo proposito, l’opportunità di acquisire fin da subito una terminologia anglofona specifica per il settore costituisce senz’altro un vantaggio per i futuri lavoratori”.  A questo proposito Paola Fava conclude, “l’idea è di raggiungere un pubblico più vasto e credo che la lingua inglese si adatti maggiormente a questo scopo. Abbiamo anche ricevuto richieste da persone precedenti che frequentavano corsi simili e abbiamo trovato la lingua italiana un possibile limite”.

HiHere, un’app per innovare l’accoglienza

Hi Here, la prima piattaforma social per aiutare i rifugiati e richiedenti asilo nel loro percorso di integrazione. Un’app nata dal lavoro di un team multidisciplinare, che ha voluto creare una soluzione innovativa per far fronte all’emergenza migratoria migliorando il sistema di accoglienza in Italia.

L’idea originale del progetto nasce durante una ricerca sui sistemi di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati in Sud Italia, svolta da Martina Manara e Caterina Pedò. Le due giovani architette sono riuscite, in qualche mese di ricerca sul campo, a individuare gli aspetti più critici del sistema di accoglienza italiano per poi proporre un progetto che ne integrasse le soluzioni.

In particolare, le due studentessa hanno individuato alcuni bisogni fondamentali dei migranti che non vengono attualmente soddisfatti dalle varie realtà che si occupano di accoglienza.

  • Legami sociali, con chi resta nel paese d’origine, con migranti e rifugiati di una stessa etnia, con le comunità locali.
  • Informazione, soprattutto in tema di servizi locali di accoglienza e diritto di asilo.
  • Opportunità, spesso a causa del loro isolamento sociale e della scarsità di conoscenze.
  • Voce, i richiedenti asilo hanno spesso difficoltà a farsi sentire: da altri rifugiati, dalle istituzioni e dalla società in generale.

Inoltre, durante la ricerca, è risultato evidente come la maggior parte dei richiedenti asilo investa i propri risparmi nell’acquisto di uno smartphone per potersi connettere negli appositi punti di accesso al wi-fi . Connettendosi i migranti hanno la possibilità di: rintracciare e comunicare con familiari o amici, condividere commenti e informazioni sui territori ospitanti, così come sul diritto d’asilo e sui servizi di accoglienza locali.

Perché allora non creare uno strumento che renda tutto ciò più facile e diretto? Ecco Hi Here, l’app che permette ai migranti di condividere la propria esperienza, raccogliere informazioni essenziali sul diritto d’asilo e stabilire nuovi legami sociali.

Uno degli aspetti più interessanti è che chiunque, richiedenti asilo, realtà locali, ong, può mettere a disposizione il proprio tempo o le proprie abilità a vantaggio degli altri, per dare il proprio contributo all’integrazione.

L’applicazione è stata strutturata in sezioni, ognuna in grado di rispondere ad una delle mancanze individuate.

hihere 1Aiuta i richiedenti asilo a ricostruire i legami sociali interrotti. Gli utenti hanno infatti la possibilità di creare un profilo, registrare i propri dati personali e mappare il proprio itinerario. Grazie ad un motore di ricerca interno possono poi rintracciare e riconnettersi con gli amici e i familiari dispersi, filtrando gli altri utenti secondo determinati criteri.

hihere 2  Fornisce una piattaforma per comunicare ed informare. Da un lato, le diverse ong e associazioni hanno una bacheca a disposizione su cui possono postare annunci e notizie. Dall’altro, una serie di semplici tutorial disponibili in quattro lingue, illustrano le basi della legislazione e della burocrazia italiana in materia di asilo. 

hihere 4

 

Crea una comunità di richiedenti asilo che forniscono reciproco supporto tra loro. Gli utenti possono postare annunci per offrire o cercare aiuto, condividere eventi e ogni altro tipo di opportunità, eludendo il senso di isolamento e favorendo processi di integrazione.

 

hihere 3

Permette ai richiedenti asilo di farsi sentire. Tutti gli utenti, infatti, possono dare valutazioni, scrivere commenti e postare foto sui servizi e le organizzazioni locali. Così, attraverso Hi Here, i richiedenti asilo forniscono un servizio di monitoraggio dal basso, avendo la possibilità di segnalare buone pratiche e casi critici.

 

Photo Credit: www.hihere.eu

 

ICT for Social Good: i 25 finalisti

Il premio “ICT for Social Good” entra nella fase finale. Dopo i primi tre mesi di selezione, la rosa dei candidati ai due premi da 10.000 e 12.000 euro, messi in palio dal programma Innovazione per lo Sviluppo e da Fondazione Mission Bambini Onlus, si restringe a 25. Vi presentiamo gli straordinari progetti della “short list” finale, che nel prossimo mese saranno al vaglio di una giuria internazionale d’eccellenza.

di Viviana Brun

 

I 233 progetti innovativi arrivati da 57 Paesi del mondo, negli ultimi tre mesi sono stati oggetto di un’attenta selezione, basata su criteri formali e di aderenza alle richieste del regolamento e sull’analisi della documentazione aggiuntiva. I progetti che accedono alla fase finale della selezione sono 25.

Il Comitato Scientifico del Premio -composto da rappresentanti delle organizzazioni SocialFare, Fundacion Paraguaya, Moxoff, E4impact e Nesta– è già al lavoro per valutare i progetti, ponendo grande attenzione all’innovazione sia dal punto di vista tecnologico che della metodologia e degli approcci adottati. Il tutto senza tralasciare l’impatto positivo generato dai progetti, vero protagonista di questo premio.

I vincitori verranno resi noti a fine settembre e premiati ufficialmente durante gli Open Days dell’Innovazione previsti a Milano, il prossimo 6 e 7 novembre.

 

Il profilo dei finalisti

I 25 innovatori arrivati in finale provengono da sedici Paesi diversi. I Paesi più rappresentati sono Nigeria e Kenya, entrambi con quattro progetti. La presenza africana è molto forte, venti dei progetti finalisti provengono proprio da questo continente. Si aggiungono poi due progetti indiani, un progetto della Bosnia Herzegovina, uno della Cambogia e uno della Colombia.

Quasi il 40% dei progetti finalisti è stato presentato da donne, 9 su 25, assicurando una buona rappresentanza femminile tra i finalisti. Se si parla spesso di gap di genere nell’accesso alla tecnologia, le innovatrici di ICT for Social Good sembrano smentire questa tendenza. I progetti realizzati da donne sono passati da circa il 25% delle candidature totali al 36% di quelle in finale, dimostrando un alto livello di competenza e qualità delle proposte presentate.

Tra i temi maggiormente affrontati ci sono agricoltura e sanità, ma anche il tema dell’educazione e della partecipazione alla vita politica e sociale è presente in molte proposte. Sette dei progetti finalisti sono dedicati in particolare al mondo dell’infanzia e concorreranno per il premio dedicato, messo in palio da Fondazione Mission Bambini Onlus.

 

Ecco i 25 finalisti

 

  • Muhammad Abdullahi di eTrash2Cash, un’applicazione che permette alle persone di raccogliere e vendere i rifiuti che possono essere riciclati, in cambio di un pagamento via mobile. Il progetto garantisce così un ricavo alle persone più indigenti e produce un impatto positivo sull’ambiente in Nigeria.
  • Elijah Amoo Addo di Food for all Africa che in Ghana ha creato una piattaforma che permette di segnalare la presenza di cibo in eccesso, destinato a essere sprecato, e di organizzare la distribuzione mirata alle persone, soprattutto bambini, denutrite o a rischi di malnutrizione.
  • Bukola Bolarinwa di Haima Health Initiative, un’applicazione nata per contrastare il mercato nero delle trasfusioni di sangue in Nigeria e favorire l’incontro dei donatori con i pazienti e i centri sanitari.
  • Ahmed Karim Cisse di Connexion Sans Frontiere, utilizza le ICT per un progetto di telemedicina dedicato soprattutto ai pazienti traumatologici, vittime di incidenti stradali in Senegal.
  • Albin Mathias Fiita di Potential Enhancement Foundation, ha installato nelle scuole in Tanzania laboratori informatici alimentati con energia solare, utilizzando computer Raspberry Pi a basso consumo e software open source per rendere i laboratori sostenibili nel tempo.
  • Kristin Gaensicke di Riziki Source, piattaforma, sviluppata in Kenya, che permette di far incontrare la richiesta di lavoro delle persone con disabilità con le posizioni disponibili più adatte. Le informazioni del database vengono inserite tramite sms, in modo che anche i disabili residenti in aree rurali o che non hanno accesso a internet possano aggiornare facilmente il proprio profilo.
  • Elizabeth Kperrun di Lizzie’s Creations in Nigeria ha sviluppato due app per bambini AfrotalezTeseem. La prima aiuta i bambini a riscoprire le favole tradizionali, divertendosi e imparando con tanti contenuti educativi. La seconda è dedicata all’apprendimento delle lingue. Molti bambini nigeriani non conoscono l’inglese, quest’app tiene conto di tutte le lingue locali e propone contenuti in Inglese, Hausa, Swahili, Igbo e Yoruba.
  • Suzana Moreira di Mowoza, in Mozambico ha creato Mabiz piattaforma educativa che forma le donne alle basi del commercio, in modo che possano avviare un piccolo business o rendere più efficiente quello attuale. Le formazioni e il monitoraggio avvengono anche a distanza via SMS e whatsapp.
  • Clever Mukove di Knowledge Transfer Africa, in Zimbabwe ha lavorato alla creazione di eMKambo un’applicazione web e mobile dedicata a scambiare informazioni sui temi agricoli, sui prezzi di mercato e a mettere in comunicazione produttori e commercianti. All’applicazione è stato abbinato anche un servizio di call center.
  • Jennifer Nantale di Nyaka School, in Uganda ha sviluppato Patient App Care un servizio di mHealth per migliorare l’accesso delle persone alle cure sanitarie.
  • Grâce Françoise Nibizi di SaCoDé, in Burundi forma e sensibilizza i cittadini, soprattutto donne, sui temi della salute sessuale e riproduttiva grazie a un sistema di invio di SMS.
  • Margaret Njenga di @iLabAfrica, lavora alla realizzazione di un sistema di monitoraggio dei fondi pubblici in Kenya, aumentando la trasparenza e permettendo ai cittadini di partecipare e interagire direttamente con i politici e gli amministratori locali, attraverso una piattaforma web e l’invio di sms.
  • Achiri Arnold Nji di Traveler, piattaforma che usa i big data, i sistemi GPS e i sensori per monitorare le performance degli autisti degli autobus, migliorare la sicurezza dei passeggeri e la risposta in caso d’incidente in Camerun.
  • Henri Nyakarundi di Shiriki Hub, in Ruanda ha realizzato dei chioschi solari portatili che permettono a chiunque di collegarsi a contenuti via internet o intranet e ricaricare il proprio device. In questo modo, l’accesso alle informazioni viene garantito anche alle persone che vivono nelle zone rurali più isolate.
  • Francis Obirikorang di AgroCenta, piattaforma agro-tech creata in Ghana, offre una serie di servizi dedicati ai piccoli agricoltori, che vanno dal supporto alla vendita online alle informazioni su prezzi e possibili acquirenti.
  • Simeon Oyando Ogonda di Education for Change, in Kenya utilizza la piattaforma m-shamba per formare le persone delle aree rurali all’uso di metodi alternativi green per cucinare il cibo e gestire i parassiti in agricoltura.
  • Daniel Oulai di Grainothèque, la prima biblioteca comunitaria della Costa d’Avorio dedicata alle sementi di qualità, per preservare la biodiversità africana ma anche per garantire l’accesso ai giovani coltivatori alle sementi tradizionali e a corsi di formazione. Il progetto è accompagnato dalla creazione di una piattaforma web dedicata alla riproduzione delle sementi, a come adattare la produzione agricola ai cambiamenti climatici e a migliorare la commercializzazione dei prodotti locali.
  • Emmanuel Owobu di MobiCure, in Nigeria ha sviluppato l’app OMOMI che permette alle madri di monitorare la salute e la crescita dei propri bambini, ricevendo consigli mirati per le varie fasi di vita dei figli.
  • Alexie Seller di Pollinate Energy, in India offre prodotti ecologici in grado di migliorare la qualità della vita delle persone all’interno delle periferie indiane e usa la tecnologia mobile per gestire le rate dei pagamenti.
  • Victor Shikoli di Hydrologistics Africa in Kenya ha sviluppato HydroIQ, un dispositivo GPS che utilizza i sensori e l’Internet delle cose per monitorare in modo automatico i sistemi di approvvigionamento idrico esistenti e raccogliere dati sull’uso dell’acqua, la qualità e le perdite. Questo sistema consente di valutare l’efficienza del sistema idrico, il consumo effettivo dell’acqua, la capillarità sul territorio, evitando sprechi e consentendo il corretto pagamento delle bollette.
  • Sumeysh Srivastava di Nyaaya, piattaforma web sviluppata in India, che grazie a guide, tutorial e all’uso delle varie lingue locali, rende accessibili ai cittadini le leggi dello Stato, garantendo a tutti la comprensione dei propri diritti.
  • Sovan Srun di Edemy, in Cambogia, ha creato un sistema per rendere le performance degli studenti delle aree rurali in linea con quelle dei centri urbani, migliorando la formazione di studenti e insegnanti senza bisogno della connessione a Internet ma attraverso l’uso di un computer Rasberry a basso costo e di un software educativo sviluppato ad hoc.
  • Branko Vasiljevic di Civil Patrols, applicazione sviluppata in Bosnia Herzegovina, che permette ai cittadini di contribuire a rendere più rapido ed efficiente l’intervento delle forze dell’ordine, segnalando i casi di violenza o di delinquenza.
  • Emily Warne di Health Builders, utilizza le ICT per mettere in rete e digitalizzare le informazioni mediche per rendere più efficienti i centri sanitari in Ruanda.

 

 

ict for social good 2017 partners

 

 

 

 

 

 

ICT for Social Good: un premio per gli innovatori locali

L’innovazione è una potente forza di sviluppo locale, capace di generare idee che rivoluzionano la vita delle comunità. Per questo, abbiamo deciso di organizzare un premio, dedicato a quella miriade di progetti, di realtà, di idee innovative create dal basso che spesso faticano a essere riconosciute e a partecipare ai programmi di sviluppo internazionale ma che rappresentano un terreno fertile da cui partire per costruire un nuovo approccio alla cooperazione internazionale e allo sviluppo locale.

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Vi presentiamo i futuri ICT4D champion

di Serena Carta

Successful oversight of ICT4D projects requires ‘ICT4D champions’ who possess a combination of technical competencies (e.g. information systems skills) and contextual competencies (e.g. development skills). Such a combination is, as yet, rarely found. This has resulted in a high project failure rate, and a recognition of training need.

ICTs for Development MSc, The University of Manchester

24 persone, 12 uomini e 12 donne, 16 paesi (dall’Italia all’Australia, passando dall’Africa dell’Est, dell’Ovest e arrivando fino in Bolivia), 4 continenti. La metà di loro ha tra i 24 e i 29 anni. Lavorano principalmente nel mondo del non profit e della cooperazione internazionale, nei settori dell’educazione e delle nuove tecnologie. Sono i partecipanti al corso sulle ICT per lo sviluppo che ha inizio quest’oggi, giovedì 19 febbraio.

L’adrenalina è alta, le aspettative anche; da un paio di settimane la community creata su Google Plus per permettere di conoscersi e scambiarsi idee e opinioni è in fermento. Patricia partecipa dal Malawi, dove vive e lavora nell’ufficio comunicazione dell’UbuntuNet Alliance, associazione regionale legata a NRENs, il network nazionale degli enti che nel continente africano si occupano di ricerca ed educazione. UbuntuNet promuove l’accessibilità alla banda larga, a internet e alle ICT tra le comunità di ricercatori ed educatori. “Spero di imparare nuovi modi di usare le ICT nelle attività di ricerca – scrive nel post di presentazione – e di poter condividere quanto appreso con la mia comunità. L’internazionalità del gruppo dei partecipanti offre la grande opportunità di fare rete e di scambiarsi conoscenze: non vedo l’ora di iniziare e di dare il mio contributo!”.

Patricia è una delle 15 persone che hanno ottenuto la borsa di studio a copertura totale del percorso formativo, selezionate tra le quasi 300 candidature arrivate da tutto il mondo. I profili sono stati scelti sulla base della motivazione, il coinvolgimento e le esperienze nel settore delle ICT per lo sviluppo. È il caso, ad esempio, di Amos, ghanese. Lui lavora a Farmerline, impresa i-tech che sviluppa ICT per connettere piccoli proprietari terrieri al mercato, facilitare il commercio dei prodotti e migliorare la recezione delle informazioni utili a svolgere il lavoro agricolo. Agneska invece è polacca e da una decina d’anni è impegnata nella protezione dell’infanzia su internet; mentre Jean Paul, burundese,  è co-fondatore del Burundi Youth Training Centre a Bujumbura, un telecentro dove si organizzano corsi di informatica rivolti ai giovani.

Presto nel nostro sito troverete le storie di tutti e 24 i partecipanti al corso e i loro contatti social, che speriamo facilitino la creazione di sinergie e di collaborazioni.

L’obiettivo del corso, d’altra parte, corrisponde alla visione che sta alla base della sua creazione: inquadrare il tema delle nuove tecnologie per la comunicazione e l’informazione da un punto di vista teorico e pratico, facendo emergere la interdisciplinarità del settore e costruire ponti tra chi si occupa di scienze sociali e di scienze informatiche, al Nord come al Sud, cosicché le ICT – al di là dei facili slogan – possano avere un impatto concreto, popolare, etico e sostenibile.

Lesotho: i compiti a casa si fanno dal cellulare

Non si può in alcun modo dubitare dell’impegno del Lesotho verso l’educazione. Nel 2000, il paese ha iniziato a rendere gratuita l’educazione primaria; un decennio dopo, nel 2010, è diventata obbligatoria. Ora il paese sta sperimentando una start up per inviare compiti via telefono cellulare agli studenti.

Sterio.me invia compiti e questionari a cellulari con accesso limitato ad internet. Cellulari di questo tipo hanno una penetrazione di oltre l’86% in Lesotho. Il programma ha attivato la sperimentazione nelle scuole locali, supportato dalla Vodacom Foundation, dal ministero dell’educazione e dal sindacato locale degli insegnanti, prima di essere lanciato in tutto il paese.

Il progetto è partito dalle menti di Christopher Pruijsen, Danielle Reid e Dean Rotherham durante la 2013 StartupBus Africa hackathon, organizzata da ampion.org. “Inizialmente abbiamo scorto il potenziale di usare qualcosa di semplice come un telefono cellulare per distribuire informazioni significative, specialmente riguardo ad alfabetizzazione, accesso ad internet e barriere digitali”, sostiene Pruijsen, ora CEO di Sterio.me. “Abbiamo anche voluto essere sicuri che l’esperienza fosse semplice ed efficace per gli insegnanti, facendo loro risparmiare tempo nel creare, distribuire e valutare i compiti a casa.”

Il team di Sterio.me crea compiti e domande per insegnati, con contenuti attinenti a quello che gli studenti impareranno nel modulo successivo. Gli insegnanti approvano il contenuto prima che l’anno scolastico inizi. “Possiamo dire che, a dicembre 2014, abbiamo più di 1000 domande inerenti alle materie insegnate nelle scuole secondarie in Lesotho, approvate dagli insegnanti locali”, afferma Pruijsen. Attualmente, il curriculum comprende matematica, geografia, inglese e agricoltura.

Quando il programma è in funzione, gli studenti ricevono una chiamata contenente il compito per la giornata. Un programma text-to-speech legge le diverse domande a scelta multipla a cui lo studente può rispondere utilizzando la tastiera del telefono.

I dati raccolti sono sfruttati per migliorare i risultati di apprendimento, i metodi di insegnamento e gli argomenti trattati. Gli insegnanti possono vedere i dati in tempo reale, controllando quali studenti hanno portato a termine i compiti e controllando i loro progressi, allo stesso tempo individuando le aree dove migliorare le loro tecniche di insegnamento. Per supportare la creazione di nuove politiche, i dati sono accessibili alle agenzie governative.

Il team di Sterio.me spera di usare i dati raccolti per contrastare le frodi. “Con qualsiasi forma di apprendimento da casa, c’è il rischio di frode – e i compiti su carta sono lo stesso”, afferma Pruijsen. “Crediamo che con la quantità dei dati che raccoglieremo attraverso il coinvolgimento degli studenti, sia tramite voce che SMS, potremo usare l’analisi dei big data per filtrare i maggiori rischi di frode, come quando gli studenti che normalmente impiegano molto tempo per rispondere improvvisamente inseriscono la risposta in 0.1 secondi. Possiamo inoltre mischiare l’ordine delle risposte corrette, così che la risposta esatta per uno studente possa essere l’opzione 1 di un quiz a scelta multipla, mentre per un altro possa essere l’opzione 3.”

“Per il momento, i feedback degli studenti sono stati così positivi che abbiamo fiducia che completeranno i quiz per il loro vantaggio personale, dal momento che sono motivati a migliorare la loro educazione e con questo le loro opportunità di vita. Gli studenti intendono migliorare le loro abilità e sono interessati a nuovi modi per farlo.”

Il progetto è stato un lavoro appassionante per il team. “Abbiamo fatto tutto il possibile per rendere l’idea realtà, da dormire sul divano per mesi fino a prendere in prestito fondi personali, tutto per rendere Sterio.me un successo,” afferma Pruijsen. Nell’esperimento in Lesotho, la Vodacom Foundation finanzia la trasmissione dei dati, rendendo il sistema gratuito per gli studenti.

Il team spera di ampliare il progetto all’apprendimento dell’inglese via mobile in Asia e America Latina, e di espandere le sue attività di base globalmente.

Tradotto da The Guardian

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