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Le 15 startup innovative con forte impatto sociale in Italia

Api, braccia bioniche e vetrate fotovoltaiche, di cosa si occupano e come si individuano le 15 migliori startup innovative con vocazione sociale in Italia?

Negli ultimi anni il mondo delle startup è cresciuto in maniera sempre più vertiginosa, la startup in quanto tale consente anche a chi non abbia grande esperienza nell’ambito dell’imprenditoria classica di promuovere progetti che possano poi essere replicabili ma soprattutto scalabili in modo flessibile e dinamico.

 

I campi d’azione delle startup sono ovviamente i più disparati ma Social Innovation Monitor (SIM) ha deciso di concentrarsi sulle startup italiane che avessero un forte interesse per il sociale e del loro impatto sul Paese. 

Lo scopo dello studio è quello di creare una mappa organizzata di tutte queste startup per analizzarle, confrontandole in modo più semplice ed efficace ma soprattutto per essere in grado di offrire spunti di miglioramento, coordinazione ed efficacia alle startup stesse.

E’ inoltre bene ricordare come l’attenzione per il sociale non sia per forza sinonimo di non profit. Questa analisi tiene infatti conto di tutte quelle startup che vanno dal non profit alle imprese tradizionali a scopo di lucro includendo tutte le versioni ibride che si trovano nel mezzo.

Lo studio considera innanzitutto le startup innovative italiane nate entro la fine del 2020 nel loro complesso applicando poi tutta una serie di distinzioni giuridiche per la definizione di startup: come essere più giovani di 60 mesi, non avere più di 5 milioni di euro di fatturato annuo, non essere nati dalla scissione di imprese più grandi ecc.. In seguito vengono prese in considerazione unicamente quelle startup che, oltre ad occuparsi, del tutto o in parte, di temi che rientrano nel sociale, abbiano un significativo impatto sul territorio nazionale.

Alla fine di questa analisi vengono riportate quelle che si possono considerare le miglior startup innovative di vocazione sociale in base a diversi criteri come:

  • ricavi (superiori a 1,831 milioni di euro)
  • numero di dipendenti (superiore a 14)
  • crescita dei ricavi (incremento di più di 3 classi)
  • crescita del numero di dipendenti (incremento di più di 2 classi)
  • risorse finanziarie (avere ricevuto, entro il 2020, un valore complessivo di investimenti e finanziamenti a fondo perduto superiore a 3 milioni di euro)

L’elenco di queste startup è disponibile a questo link e mira a dare visibilità a queste startup e riconoscerne i meriti ottenuti negli ultimi anni.

Ma di cosa si occupano nello specifico queste startup? 

Le 15 startup individuate si dividono sostanzialmente in due ambiti che poi ognuna affronta in modo specifico: 

L’ambito della sostenibilità ambientale, in cui le startup si differenziano occupandosi di monitoraggio delle fonti di energia rinnovabile, di trattamento e depurazione dell’acqua, di controllo e diagnostica della salute delle api, di creazione di calzature e oggetti di design partendo da risorse riciclate, di ottimizzazione delle attività agricole ecc.. Due startup nello specifico si concentrano sullo sviluppo di materiali come bioplastiche ad alte prestazioni o vetrate fotovoltaiche, mentre altre due si occupano, una del riciclo di materiali elettronici in un’ottica di green economy, e l’altra di fornire servizi di cloud storage ecosostenibile;

L’ambito della salute, dove alcune startup si occupano di sviluppare terapie che aiutano contro malattie autoimmuni mentre una in particolare crea e sviluppa braccia bioniche per persone con disabilità agli arti superiori.

Altri dati riportati dall’analisi di SIM confermano l’effettiva crescita continua delle startup in Italia che sono generalmente aumentate di numero e ampliate dal 2019 al 2020 (con qualche distinzione e livelli differenti di crescita tra i diversi tipi di startup).

Dal punto di vista della distribuzione geografica delle startup sul territorio nazionale è possibile osservare un andamento generale in cui le regioni del nord Italia (Lombardia prima tra tutte) sono quelle con un maggior numero di startup, a seguire il centro e poi il sud (ad eccezione delle imprese sociali dove la prima regione è invece la Campania). Nonostante ciò la distribuzione non è particolarmente asimmetrica visti comunque alti numeri su tutto il territorio nazionale.

Open Days dell’Innovazione 2019

Due giorni di idee, innovazione, tecnologie e networking per la cooperazione allo sviluppo e per il sociale.

Dopo il successo dell’edizione 2017, il 6 e 7 marzo tornano gli Open Days dell’Innovazione. L’evento di networking e formazione dedicato al Terzo Settore sbarca a Torino, a Off Topic in via Pallavicino 35, con due giornate sul tema dell’innovazione tecnologica applicata alla cooperazione internazionale e al sociale.

La giornata del 6 marzo sarà caratterizzata da una sessione plenaria con speaker internazionali più tre tavoli tematici dedicati ai temi ICT for education, agritech e health and tech. Mentre, giovedì 7 marzo sarà interamente dedicato a workshop di formazione gratuita su data, mapping, Internet of thing and project management.

Il programma completo è disponibile sul sito dell’evento www.opendaysinnovazione.it.

Per partecipare è necessario iscriversi qui.

L’evento Open Days dell’Innovazione è ideato e promosso da Fondazione Cariplo e Compagnia di San Paolo nell’ambito del programma Innovazione per lo sviluppo, in partnership con TechSoup Italia.

L’edizione 2019 è realizzata in collaborazione con il progetto “Digital Transformation per lo Sviluppo Sostenibile. Percorsi formativi sull’uso consapevole delle tecnologie digitali per l’Educazione alla Cittadinanza Globale” (AID 011487) promosso da CISV e cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, con il supporto di Compagnia di San Paolo.

Vieni a trovarci agli Open Days

Ong2.0 è parte del network di Innovazione per lo Sviluppo, oltre che capofila, insieme a CISV, del progetto “Digital Transformation per lo Sviluppo Sostenibile“: agli Open Days dell’Innovazione, non potevamo proprio mancare!

Tra gli speaker internazionali che interverranno durante la plenaria del 6 marzo, ci sarà Josh Harvey, docente del Master “ICT for Development and Social Good con un intervento dal titolo “General Relativity, Quantum Mechanics and the Hard Thing about Social innovation”.

Nel pomeriggio di mercoledì, saremo i coordinatori del tavolo di co-design “ICT for Education in Development“. Con il supporto di ospiti nazionali e internazionali, approfondiremo il tema dell’innovazione nell’educazione. Cercheremo di capire come e se le tecnologie digitali e una più stretta collaborazione tra attori sociali e innovatori, possano facilitare il raggiungimento del 4° Obiettivo di Sviluppo Sostenibile “un’educazione di qualità, equa e inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti”.

Scopri di più sui contenuti del tavolo qui: #ODI2019 tavoli di co-design

Giovedì 7 marzo, ti proponiamo una formazione sul mapping nella cooperazione internazionale con un workshop dal titolo “Uso delle mappe nella cooperazione allo sviluppo” tenuto da Giuliano Ramat, esperto di GIS e docente di Ong2.0.

Scopri di più sui contenuti del workshop: #ODI2019 workshop formativi

Se vuoi incontrarci e scambiare idee con noi, oltre a questi appuntamenti, nel corso delle due giornate ci saranno alcuni momenti dedicati al networking.

Un cartone animato made in Tanzania educativo e interattivo

Un cartone animato tutto Made in Tanzania, dallo storyboard alle animazioni, fino alle musiche. Una forma di educazione che si mescola all’intrattenimento e promuove un nuovo modo di imparare. Questo è Ubongo kids, show interattivo per bambini, dove i protagonisti sono animali e bambini locali, dove i paesaggi sono familiari e i temi sono quelli più prossimi a loro. Episodio dopo episodio si apprendono la matematica, la scrittura e l’inglese: il tutto divertendosi attraverso un’avventura animata.

Come è nato Ubongo

Come per noi i cartoni animati dell’infanzia sono sempre stati importati – prima dagli states, poi dal Giappone – così anche in Africa i cartoni autoctoni si contano sulla punta delle dita. Alla base di questa riflessione nasce Ubongo, una vera e propria casa di produzione non profit,  il cui scopo è quello di proporre un prodotto originale. Il Direttore operativo Doreen Kessy spiega a Forbes la necessità di un cartone educativo “Made in Africa for Africa”, dove i contesti, i luoghi e gli usi non siano i classici occidentali. Fino a qualche anno fa le uniche forme di “eduteinment” erano importate dagli USA. Risulta ovvia la difficoltà di un fanciullo nell’immedesimarsi in un mondo che non conosce e che non è a lui familiare.

Così nel 2013 iniziano le avventure animate di un gruppo di bambini ed animali, che insegnano matematica divertendo. Lo show è divenuto così popolare da essere visto in 1 nucleo famigliare su 4, raggiungendo più di 6.4 milioni  di telespettatori ogni settimana. come si può vedere nella mappa sotto, dove in blu sono indicati i paesi dove Ubongo è trasmesso sulla rete nazionale, mentre in verde dove è trasmesso su Pay TV. Ovviamente non basta un cartone per risolvere i problemi di alfabetizzazione. Il team sottolinea

The show can teach fundamental concepts and inspire an enthusiasm for learning. That can support the work teachers do everyday.

Molti insegnanti hanno infatti richiesto che il cartone fosse portato nelle scuole. Stimolare l’apprendimento attraverso una forma di intrattenimento è fondamentale per coinvolgere i più piccoli.

Come è stato fatto in Tanzania

Il team lavora a stretto contatto con insegnanti ed educatori. Per creare un cartone animato made in Tanzania si parte dal basso. All’inizio di ciascuna stagione si organizza una riunione per coordinarsi sui 13 episodi da produrre. Si scelgono i temi, dalle divisioni al calcolo di un’area, e si costruisce la storia di contorno.

Il passo successivo è più tecnico e presuppone la stesura dello script in Kiswahili che poi viene tradotto in Inglese. La palla passa così al team che si occupa delle animazioni, mentre un altro team scrive e registra le musiche. L’ultimo passaggio è quello relativo al doppiaggio.  In tutta questa fase vi è un attento interesse nei confronti della community di giovani telespettatori, cercando di coinvolgerli il più possibile.

Quando l’episodio è pronto viene “testato” sullo schermo. Questo passaggio è molto importante per gli animatori, che devono controllare la fluidità dei movimenti. Inoltre questo momento è il primo che vede sonoro ed immagini unite, è quindi il primo banco di prova per le musiche e la localizzazione inglese e nelle altre lingue del doppiaggio.

Come Funziona lo show?

Il cartone animato si compone di diversi personaggi, da bambini ad animali. I primi interagiscono tra loro e risolvono problemi di tutti i gironi, mentre i secondi ha un ruolo più pedagogico quasi esopico. L’inserimento di animali parlanti all’interno del cartone è dovuto a diversi studi effettuati su altri show per bambini. I bambini infatti rispondono in maniera molto più vivace quando vedono un animale a loro familiare.

Così i personaggi principali di Ubongo Kids sono alcuni animali parlanti uccelli, scimmie e giraffe, che giocano un ruolo fondamentale nello svolgimento della trama dell’episodio. Il risultato è stato che la popolarità dello show è dovuta in gran parte proprio a questi animali antropomorfi.

All’interno di un episodio i piccoli protagonisti si trovano di fronte problemi di vita reale, la cui soluzione è attuabile tramite l’uso della matematica di base. Dal calcolare l’area di un campo al calcolare le probabilità di cogliere un frutto maturo da un’albero, sapendo quanti sono maturi e quanti sono ancora verdi. Questi ed altri sono gli argomenti trattati dal cartone, accanto alla matematica ci sono infatti esempi precisi di buon costume e vita sociale, che stemperano gli elementi più scolastici con elementi più pedagogici.

Una componente molto importante  è l’interattività del cartone. Tramite un qualunque telefono cellulare (anche quello più obsoleto) i bambini possono interagire con le domande poste durante la puntata. Basta quindi un semplice sms e si può partecipare in tempo reale allo show. Questo è avvenuto grazie ad una partnership con una compagnia telefonica locale. La possibilità di sfruttare la tecnologia disponibile è alla base del creare un cartone animato made in Tanzania.

Cosa accadrà in futuro a questo cartone animato?

Il team di Ubongo è al lavoro per migliorare e innovare il cartone. Uno degli obiettivi, già in parte realizzato, è quello di produrre e-book interattivi per coinvolgere meglio i bambini. Per aumentare la capillarità dello show si è poi pensato di trasformarlo in un programma radiofonico, così da permettere anche a famiglie che non posseggono schermi  tv di fruire dei contenuti educativi.

L’ultima frontiera è rappresentata da una app disponibile su Play Store, che integra il modello di eduteinment  con gli smartphones. L’app è un sistema freemium ove i contenuti base sono gratuiti mentre si dovrà pagare per accedere a quelli premium.

Open Days dell’Innovazione – ecco cosa è successo

Applicazioni per monitorare l’allevamento del pesce in Uganda, sistemi di raccolta dati per ottimizzare gli aiuti nei campi profughi, chioschi solari per distribuire connessione e servizi digitali nelle zone rurali,  piattaforme di fundraising tramite BitCoin, droni e stampanti 3D per servizi umanitari, sono stati tantissime le esperienze, ma anche le riflessioni sulla trasformazione del non profit che sta portando la rivoluzione digitale, presentate durante gli Open Days dell’Innovazione a Milano, due giorni di incontro tra tecnologia, innovazione e cooperazione allo sviluppo, promossi da Fondazione Cariplo, Compagnia San PaoloFondazione CRT e TechSoup all’interno del programma Innovazione per lo Sviluppo a cui Ong 2.0 partecipa attivamente da anni.

Durante l’evento sono stati premiati ufficialmente i due vincitori del Premio ICT for Social Good ed è stato possibile sperimentare progetti e prodotti innovativi per la cooperazione allo sviluppo in uno spazio espositivo di 20 stand, selezionati tra decine di candidature arrivate da tutta Italia

Se avete perso le due giornate non vi preoccupate qui potete trovare moltissimi materiali e i video integrali dell’evento

«L’innovazione non è solo la tecnologia. L’innovazione sta nel cambiamento dei comportamenti, nelle nuove possibilità che ciascuna innovazione, se è autentica, introduce. Non è la tecnologia a fare la differenza, ma il cambiamento di comportamento» così ha sostenuto Roshan Paul, CEO e cofounder di Amani Institute, durante il keynote speech centrale della prima mattina, in cui ha affrontato i principali temi della rivoluzione digitale, il passaggio dalla connessione dei luoghi alla connessione delle persone, il ruolo dirompente dell’Internet delle cose, della realtà aumentata e dell’immensa quantità di dati disponibili.

Massimo Lapucci, segretario generale della Fondazione CRT  ha annunciato che alle nuove OGR di Torino nascerà un hub per lo studio dei dati a servizio del non profit, unico in Europa, mentre Mario Calderini, vice presidente della Fondazione Politecnico di Milano ha descritto la piattaforma di Open Innovation, Coopen, ideata per mettere in contatto le esigenze della cooperazione allo sviluppo con i solutori tecnici.  Moltissimi gli altri interventi della prima tavola rotonda della mattina, cui è seguito un viaggio in 5 tappe tra innovatori sociali del mondo. Partendo dal rwandese Henri Nyakarundi,  vincitore del premio Ict for Social Good, che ha descritto i suoi Solar Smart kyosks, per andare al fablab di Ouagadougou, in Burkina Faso, dove Gildas Guella ha raccontato i prototipi e progetti dei giovani makers burkinabé, fino in Cambogia con Husk Ventures, una impresa sociale che trasforma le bucce del riso in biocombustibile, per arrivare in Austria dove la piattaforma More Than One Perspective crea l’incontro tra le competenze dei migranti e le ricerche delle aziende fino a tornare in Africa con la testimonianza di un imprenditore italiano, Federico Tonelli, che ha deciso di trasferirsi in Uganda per avviare IFishFarm una innovativa società di pescicoltura che usa un’applicazione per monitorare la produttività dell’allevamento.

Puoi rivedere qui il video integrale della densissima mattinata degli Open Days condotta da Marco Maccarini

Open Days, prima mattinata

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Nel corso della mattina Silvia Pochettino, founder di Ong 2.0, ha presentato il premio  ICT for Social Good e i due vincitori, Henri Nyakarundi, founder di Ared e inventore di Shiriki Hub, e Elizabeth Kperrun, co-founder di Lizzie’s Creation, vincitrice del premio speciale ICT for Children messo a disposizione da Fondazione Mission Bambini . Elisabeth non ha potuto essere presente perché, nonostante tutti i documenti e le garanzie presentate,  le è stato negato il visto. Viviana Brun, digital strategist di Ong 2.0 ha ritirato il premio in sua vece dalle mani di Goffredo Modena, presidente di Mission Bambini.

La premiazione di Henry Nyakarundi, vincitore ICT for Social GoodSchermata 2017-11-08 alle 12.33.09

Potete vedere qui il bel videomessaggio di Elizabeth lanciato durante l’evento in cui ringrazia e spiega il suo lavoro sull’educazione dei bambini nigeriani attraverso il digitale

Densissimo anche il pomeriggio del primo giorno iniziato con l’Innovation tour nello spazio espositivo organizzato da Ong 2.0 . Al suono di una campana che ha segnato slot di dieci minuti ciascuno i partecipanti hanno potuto conoscere e sperimentare i progetti e prodotti innovativi per la cooperazione allo sviluppo presentati nei 20 stand. Ad esempio GHT Onlus, di Roma, che si occupa di telemedicina, con una rete di medici volontari che offrono teleconsulti gratuito a centri sanitari remoti dell’Africa Subsahariana, grazie a una piattaforma web based che può funzionare anche offline, oggi sono operativi teleconsulti in 18 specialità, dalla cardiologia all’oncologia, in 9 Paesi africani. Oppure il software di raccolta dati sui rifugiati siriani in Giordania, creato da Intersos per ottimizzare la distribuzione degli aiuti nei campi profughi. O ancora SmartAid, software per il miglioramento della raccolta fondi delle non profit grazie all’applicazione dell’intelligenza artificiale all’analisi dei dati dei donatori. E ancora GnuCoop, cooperativa di sviluppo di prodotti ICT per la cooperazione, che ha presentato una piattaforma per il riconoscimento facciale per le scuole del Burkina Faso e una webGIS per la raccolta di dati nella gestione delle emergenze in Centro e Sud America. E ancora droni, stampanti 3 D, mostre interattive, piattaforme di analisi dati e molto altro
Open Days dell'Innovazione 2017

Dalla scoperta all’applicazione pratica; nella parte finale della giornata i parteciparti hanno potuto cimentarsi con i workshops di analisi dati condotto da Fondazione ISI,  quello di fabbricazione digitale condotto da WeMake  e il terzo sull’Open Development condotto da Fondazione Politecnico di Milano

A concludere le tre fondazioni promotrici hanno espresso la loro volontà di continuare il lavoro e di rendere gli Open Days un appuntamento fisso di incontro tra innovatori e operatori della cooperazione allo sviluppo

Qui il riassunto fotografico della giornata e gli interventi a chiusura della prima giornata

Open Days conclusioni

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La seconda giornata, targata TechSoup, ha focalizzato l’attenzione sull’Italia, con un intervento di Niccolò Melli sulla nuova legge del Terzo settore e un keynote speech di grande profondità sulle trasformazioni del non profit italiano legate all’evoluzione digitale di Paolo Venturi di Aiccon, cui sono seguiti molti esempi di casi studio e buone pratiche individuati da Techsoup

Qui il video della seconda giornata

Open Days seconda giornata

Open days TechSoup

 

Foto Credit: Innovazione per lo Sviluppo

Ingegneri solari analfabete: le Solar Mamas e l’innovazione dal basso

In tutto il pianeta, 1.2 miliardi di persone non hanno accesso all’energia elettrica, e tre quarti di essi vive in una zona rurale esclusa dalle reti elettriche. Chi sta creando il cambiamento necessario verso un più equo e sostenibile accesso all’energia? Donne analfabete o semi-analfabete, secondo Barefoot College, che intraprendono una formazione di ingegnere solare, insieme ad altri corsi co-curricolari, per sviluppare le proprie comunità.

di Giulia Bruschi

Barefoot College è una ONG fondata 45 anni fa in Rajasthan, India, che lavora in collaborazione con realtà locali per la formazione delle “Solar Mamas”, madri e nonne provenienti da più di ottanta paesi in tutto il mondo che per la prima volta lasciano il villaggio dove sono cresciute.

“Abbiamo cominciato a lavorare nel solare nel 2006, ed è il programma che si espande più velocemente”, afferma la CEO di Barefoot College Meagan Fallone. Al di là della necessità di garantire un accesso alla rete elettrica, insiste sulla pericolosità del fumo del kerosene spesso usato per l’illuminazione nei paesi in via di sviluppo.

“Questa tecnologia può essere insegnata, ed imparata, da chiunque”.

_D820629Negli ultimi dieci anni, Barefoot College ha formato oltre 1300 donne per diventare ingegneri solari. Si tratta di donne analfabete, o semi analfabete, per le quali è stata elaborato un modello che non necessita di una educazione formale, né della parola scritta, e il percorso formativo è interamente visuale.

La formazione avviene nel primo campus, situato in Rajasthan, India, oppure nei centri di formazione regionali più recenti diffusi in Africa Subsahariana, nelle isole del Pacifico e in America Latina. I centri sono finanziati da una varietà di attori:  governi locali, istituizioni di filantropia privata, e programmi di responsabilità sociale di impresa (CSR).

In sei mesi, le donne, che vengono istruite da altre donne prive di educazione formale, imparano a costruire impianti adatti all’illuminazione di un’abitazione, partendo dallo studio dei circuiti fino all’installazione del pannello. “Si tratta di una tecnologia che può essere insegnata e imparata da chiunque”, dice Meagan Fallone. “Sono proprio i più poveri ad avere bisogno delle tecnologie più avanzate, non di tecnologie malfunzionanti od obsolete,  per poter risolvere problemi immediati. La tecnologia è lo strumento più democratico che ci sia, e  non fa caso che tu sia uomo o donna”.

Allora perché un focus unicamente sulle donne?

“Inizialmente volevamo formare sia uomini che donne”, dice Fallone, ricordando gli inizi del programma, “ma molto presto ci siamo resi conto che gli uomini non possono essere istruiti, perché non appena ricevono un certificato o imparano una certa abilità, emigrano verso la città, mentre riscontravamo l’opposto con le donne. Proprio le donne, specialmente se anziane, erano ansiose di condividere la conoscenza appena conquistata con il resto della comunità, perché erano profondamente radicate all’interno di essa. Non sarebbero andate da nessuna parte.

Così sono nate le Solar Mamas.

“Il meglio del nostro approccio è far sì che le persone creino da sé il proprio modello di sviluppo. È importante evitare di appropriarsi del processo di rielaborazione creativa”

Fallone racconta di come i programmi co-curricolari sono emersi dalla discussione con le Mamas: salute riproduttiva, inclusività finanziaria, diritti umani, civili e legali, microimprenditoria, agency, alfabetizzazione digitale, mantenimento ambientale. l laboratori più seguiti sono salute riproduttiva e mestruale, educazione alimentare ed aspirational mapping, nel quale le donne mappano sui muri del college i desideri per le proprie comunità e gli strumenti che hanno a disposizione per realizzarli. In Madagascar  ha portato, per esempio, all’installazione di sanitari. Per sviluppare l’imprenditorialità nelle economie locali, sono stati aperti corsi di apicoltura e cucito.

“Il meglio del nostro approccio è far sì che le persone creino da sé il proprio modello di sviluppo” conclude Fallore “E non si tratta di una fotocopia di quello che viene fatto altrove. I beneficiari possono  creare qualcosa di migliore, o può anche non accadere. È importante, però, evitare di appropriarsi del processo di rielaborazione creativa, lavorando al meglio per tirare fuori il meglio delle aspirazioni negli altri. Ciò che conta è l’impatto”.
Credits: Vice Impact

ICT for Social Good: 233 progetti innovativi da tutto il mondo

Provengono da 57 diversi Paesi del mondo i 233 innovatori locali che hanno risposto all’appello di “ICT for Social Good“, il premio creato da Ong2.0 – nell’ambito del programma Innovazione per lo Sviluppo sostenuto da Fondazione Cariplo e Compagnia di San Paolo e con la collaborazione di Fondazione Mission Bambini – per intercettare, conoscere, raccontare e sostenere i progetti e le esperienze di innovazione locale nei Paesi a basso reddito.

di Viviana Brun

 

Da chi ha sviluppato una app per l’educazione in lingua locale, per facilitare l’apprendimento dei bambini e diffondere la cultura e la storia tradizionale africana, a chi informa e fa prevenzione in ambito sanitario via SMS, passando per chi usa gli smartphone per connettere gli agricoltori e scambiare informazioni sull’andamento del mercato e i metodi di coltivazione, fino a chi installa hot-spot nei villaggi e nelle zone rurali per permettere alle persone di accedere alla informazioni via Internet, ove possibile, o attraverso contenuti precaricati. Ma c’è anche chi sfrutta il potenziale delle ICT per gestire l’approvvigionamento dei medicinali nei centri sanitari e chi usa YouTube per sensibilizzare i giovani sui rischi e le modalità della tratta internazionale.

Si è concluso il 30 aprile il periodo di raccolta delle candidature del premio ICT for Social Good e la risposta a questo primo bando è stata sorprendente. In poco più di un mese abbiamo ricevuto 233 progetti da 57 Paesi del mondo e, già da un primo sguardo, si percepisce la ricchezza delle iniziative presentate e il grande livello di competenza e di creatività dei candidati al premio.

La mappa degli innovatori locali

Per rendere più facile l’esplorazione delle candidature ricevute, abbiamo raccolto in una mappa tutti gli innovatori locali in lizza per il premio. Espandendo e riducendo la mappa è possibile esplorarne le aree di provenienza, mentre cliccando su ogni waypoint si ha accesso ad alcune informazioni di base sui progetti. La mappa è pensata per ospitare nel tempo informazioni via via più dettagliate.

Storie di innovazione sociale

Le candidature al Premio, nella loro totalità, disegnano una splendida galassia di storie d’innovazione sociale. Idee innovative, create dal basso e in grado di portare cambiamento e benefici a livello locale. Queste storie di vita e d’innovazione rappresentano un materiale prezioso per fare cultura” nel mondo della cooperazione internazionale, aprendo la strada a un nuovo approccio allo sviluppo locale, in grado di sfruttare gli strumenti tecnologici del presente e valorizzare i talenti e le professionalità di chi, ovunque nel mondo, si impegna e lavora per costruire una società migliore, anche grazie alla tecnologia.

Nei prossimi mesi, ascolteremo dalla viva voce dei protagonisti le loro storie, approfondiremo lo studio dei loro progetti, ne selezioneremo alcuni e li racconteremo in una sezione ad hoc sul sito di Ong2.0.

Le prossime fasi del Premio

È in corso la prima fase di selezione delle candidature. Una giuria di esperti, selezionati tra gli attori coinvolti nel programma Innovazione per lo Sviluppo, è già al lavoro per verificare che le candidature siano elegibili e coerenti con il regolamento del Premio. I candidati ritenuti formalmente validi saranno invitati a fornire la documentazione completa e la lettera di referenza di un ente internazionale, che attesti la reale messa in opera del progetto. Il Comitato Scientifico del Premio si occuperà quindi di svolgere la valutazione finale.

Il Comitato Scientifico è composto da Guglielmo Gori di SocialFare (Torino) – il primo centro per l’Innovazione Sociale in Italia – Martin Burt, Fondatore e Direttore generale di Fundacion Paraguaya – ONG paraguaiana che si occupa di microfinanza e imprenditoria – Ottavio CrivaroAmministratore delegato di Moxoff spa – spinoff del Politecnico di Milano specializzata in modellistica ed algoritmistica matematica, ha sviluppato anche innovativi tool per il mondo del noprofit Mario Molteni, Senior Fellow di Ashoka per E4IMPACT  – Fondazione che offre master in Business Administration in 5 paesi africani – Giulio Quaggiotto, consulente per l’innovazione dell’Ufficio del primo Ministro degli Emirati Arabi Uniti e associato di Nesta – rinomata fondazione inglese sull’innovazione.

Oltre a ricevere un premio in denaro, i vincitori saranno invitati in Italia in occasione dell’evento finale del programma Innovazione per lo Sviluppo, previsto per il prossimo autunno. In quell’occasione avranno la possibilità di incontrare e confrontarsi con realtà imprenditoriali e centri di ricerca italiani, potenzialmente interessati a sostenere o sviluppare ulteriormente i progetti vincitori.
Il premio “ICT for Social Good” è organizzato da Ong 2.0, CISV, Fondazione Mission Bambini, Opes Impact Fund, con il sostegno strategico e finanziario di Fondazione Cariplo e Compagnia di San Paolo e la collaborazione di SocialFare, E4Impact, Nexa Center, MoxOff, Calandria. Media partner: Agenzia Dire.

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ICT for Social Good: un premio per gli innovatori locali

L’innovazione è una potente forza di sviluppo locale, capace di generare idee che rivoluzionano la vita delle comunità. Per questo, abbiamo deciso di organizzare un premio, dedicato a quella miriade di progetti, di realtà, di idee innovative create dal basso che spesso faticano a essere riconosciute e a partecipare ai programmi di sviluppo internazionale ma che rappresentano un terreno fertile da cui partire per costruire un nuovo approccio alla cooperazione internazionale e allo sviluppo locale.

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ICT e Sviluppo: 9 principi e 5 metodi per iniziare

Si è concluso lunedì 21 novembre il primo modulo del corso ICT Innovations for Development su “innovazione sociale e tecnologia per lo sviluppo”. Joshua Harvey, Consulente UNDP per lo Human Centered Design e relatore di questa prima parte del corso, ha guidato i partecipanti nell’approfondimento della storia della relazione tra sviluppo e innovazione, e nella scoperta dei principi e dei metodi dello sviluppo digitale. Continua a leggere

#BoatCamp2016: il “quarto settore” nasce in nave

Mentre in Italia va in porto, finalmente e faticosamente, la riforma del terzo settore c’è chi sostiene da tempo che le divisioni tradizionali siano superate e si debba parlare – e vivere – di quarto settore.  Questo è quello che si è sperimentato concretamente al Social Entreprise Boat Camp 2016, il primo boot camp itinerante sull’impresa sociale in cui oltre 380 tra rappresentanti di cooperative, aziende, ong, associazioni e fondazioni, insieme per tre giorni di navigazione, hanno lavorato a formule nuove di lavoro congiunto.

di Silvia Pochettino

Che la divisione tra primo, secondo e terzo settore (Stato, mercato e non profit) sia superata, è diventato chiaro a molti. Il confine tra profit e non profit  ha perso smalto da tempo; i limiti evidenti di un approccio assistenzialistico che si autoalimenta, l’evoluzione della tecnologia, l’esplosione del fenomeno start up, la carenza di fondi pubblici, l’urgenza di una nuova sostenibilità economica, sociale e ambientale, sono tutti elementi di un cocktail esplosivo che ha messo in luce come per affrontare i problemi sociali contemporanei sia necessaria una formula totalmente nuova.

E questo è stato proprio il tema e la pratica concreta del Social Entreprise Boat Camp 2016, ideato da Fondazione Acra e CGM e copromosso da Ong 2.0 nel mondo della cooperazione internazionale italiana, grazie alle borse di studio offerte da Fondazione Cariplo e Compagnia di San Paolo.

380 persone rappresentanti di cooperative, aziende, ong, fondazioni hanno vissuto tre giorni insieme in nave, sperimentando lo scambio concreto e paritario tra realtà molto differenti.

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Con esempi e casi studio di grande interesse da tutte le parti del mondo, come Lorna Rutto di Ecopost che, per limitare i processi di deforestazione e l’inquinamento ambientale del Kenya, si è inventata un nuovo prodotto edile da costruzione grazie al riciclo della plastica, o Illac Diaz, imprenditore filippino che con “A liter of light” ha portato la luce nelle baraccopoli e e nei campi profughi del suo paese grazie alla produzione di lampade in bottiglie di plastica, alimentate da micro pannelli solari prodotti in loco da donne e bambini o Martin Burt, di Fundacione Paraguaya, che ha ideato l’app “poverty stop light methodology” un metodo visivo perché siano le popolazioni stesse a definire cosa significa povertà per loro e quali siano le priorità su cui intervenire, o ancora Fabio De Pascale, fondatore di Davergy, giovane impresa sociale che porta elettricità nei villaggi della Tanzania sviluppando micro reti elettriche locali a energia solare.

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Illac Diaz e Martin Burt in nave

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Harish Hande durante lo speech a Barcellona

 

Non sono mancati i casi italiani, dal caffé biologico, equo e solidale e dalla filiera totalmente trasparente del Laboratorio del caffé a Maramao impresa agricola piemontese che lavora con i migranti fino a Familyidea, piattaforma web di servizi alla famiglia che mette in rete i consorzi di cooperative sociali in tutta Italia.

Elementi comuni: essere imprenditori, stare sul mercato, occupandosi di problemi sociali in modo etico e sostenibile. Perché profit e sociale, nel quarto settore appunto, non sono più mondi separati.

Addirittura la definizione di impresa sociale dovrebbe essere superata secondo Harish Hande, fondatore di Selco, (impresa leader in India per l’elettrificazione rurale con energia solare, insignito dell’autorevole Magsaysay award) perché, come sostiene l’imprenditore indiano in uno degli speech più toccanti del Boat, durante la tappa a Barcellona, “L’impresa sociale dovrebbe essere la norma, ogni impresa dovrebbe essere guidata dalla passione e non dal denaro, e condotta in modo etico e sostenibile”

Divisi in gruppi di lavoro nei due giorni di traversata si sono affrontati business model dei sei casi studio internazionali, per confrontarsi concretamente su priorità, difficoltà e potenzialità nello sviluppare un’attività imprenditoriale con finalità sociali, per arrivare a sei pitch finali di presentazione prima dello sbarco.

Oltre 70 gli operatori della cooperazione internazionale presenti in nave, con un vivace dibattito su come debbano trasformarsi i modelli di intervento, superando il consueto schema del “progetto di sviluppo” per arrivare a processi di cambiamento basati su veri partenariati paritari con le realtà imprenditoriali locali.

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Di “quarto settore” parla al Boat Camp anche Laura Frigenti, direttore della nuova Agenzia di Cooperazione Internazionale dell’Italia, che ha partecipato alla traversata Civitavecchia-Barcellona ed è intervenuta al convegno pubblico nella capitale catalana “La combinazione di impatto sociale, tecnologia e capitale può fare la differenza. Come settore pubblico possiamo portare la struttura e promuovere i luoghi di incontro, ma la vera rivoluzione parte da voi”

 


Anche Enel Group, main sponsor dell’iniziativa è presente in forza al Camp e partecipa attivamente a tutte le fasi

 

 

Molto soddisfatti gli organizzatori “Dobbiamo spalancare finestre e mondi, siamo in una terra di mezzo in cui tutti possono lavorare e portare il proprio valore aggiunto” sostiene Stefano Granata, presidente del Gruppo cooperativo CGM “l’impresa sociale è per tutti e la contaminazione è avvenuta su questa nave”.

Per Elena Casolari, amministratore delegato di Fondazione Acra “L’esperienza è stata quasi inaspettata. Gruppi tanto disomogenei sono riusciti alla fine a creare vera armonia e convergenza nell’affrontare le grandi sfide, anche gli interventi istituzionali sono stati tutti di grande spessore e fiducia nelle imprese sociali”.  Cosa mi porto a casa? “L’idea che bisogna sempre guardare in alto per produrre veri cambiamenti di prospettiva”

Ecco lo storify della conferenza organizzata al Caixa Forum durante la tappa a Barcellona.