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Da minaccia a risorsa: Precious plastic dona nuova vita alla plastica

Approccio maker, spirito “open” e una tesi di laurea. Da questi ingredienti è nato Precious Plastic, una comunità globale formata da centinaia di persone che lavorano per trovare una soluzione all’inquinamento da materiali plastici. Conoscenze, strumenti e tecniche sono condivisi gratuitamente online, per permettere a chiunque di entrare nella comunità e dare il suo contributo contro l’inquinamento. E così, sulla mappa della community di Precious Plastic, oltre a Stati Uniti, Europa e Sud Est asiatico, iniziano a nascere i primi progetti anche nel continente africano.

di Luca Indemini

Il progetto Precious Plastic è nato nel 2013 come tesi di laurea di Dave Hakkens, un ragazzo olandese che ha progettato un macchinario in grado di riciclare la plastica direttamente a casa propria.

Da quel primo strumento ne è stata fatta di strada. Le macchine ideate sono salite a quattro e sul sito internet sono state caricate le istruzioni, con tanto di video tutorial, per costruirsi i macchinari a casa, con costi che oscillano tra i 100 e i 300 euro.

I quattro macchinari sviluppati da Precious Plastic per riciclare la plastica

Si spazia dalla Shredder Machine o macchina distruttrice, che serve a ridurre i pezzi di plastica molto grandi in frammenti più piccoli e più facilmente lavorabili, alla Extrusion Machine o macchina deformante, che permette di trasformare i frammenti plastici in residui filamentosi (utili ad esempio come ricariche per le stampanti 3D) e di lavorare con gli stampi. La più avanzata Injection Machine o creatrice di oggetti, consente di creare, attraverso degli stampi, oggetti molto specifici e in tempi relativamente brevi. Infine, la Compression Machine o macchina a compressione viene utilizzata per realizzare oggetti di grandi dimensioni.

L’unico elemento su cui è consentito monetizzare sono i prodotti realizzati attraverso il processo di riciclo.

Entrare a far parte della community è semplice e immediato: basta accedere al sito web e registrarsi sulla mappa. Così, dopo un primo momento in cui si sono iscritti principalmente FabLab, maker e smanettoni, hanno iniziato ad aderire associazioni, realtà votate alla formazione e organizzazioni impegnate nei paesi in via di sviluppo.

Inoltre, in questi sei anni, la community è notevolmente cresciuta e di conseguenza anche le idee e le esperienze condivise, secondo lo spirito “open” del progetto.

Precious plastic in Africa

Nel continente africano sono una trentina le realtà che hanno aderito a Precious plastic, con background e obiettivi molto differenti. Si spazia da progetti ancora in fase embrionale, mirati soprattutto a fare cultura e far crescere una coscienza del riciclo dei rifiuti, a imprese già strutturate.

Uno dei casi più interessanti, citato anche sul sito di Precious plastic tra i “veri eroi del riciclo”, è l’impresa sociale Koun, a Casablanca, in Marocco. Un gruppo di giovani locali si occupa di raccogliere i rifiuti plastici e trasformarli in oggetti per la crescente classe media marocchina, in cerca di prodotti belli ed eticamente ineccepibili. Sgabelli, borse, cuscini, tazze e ciotole, lampade e lampadari, colorati e originali.

Koun si ispira ai principi dell’upcycling, l’arte di trasformare materiali di scarto destinati ad essere buttati in oggetti di valor maggiore dell’originale. Raccoglie le sue materie prime direttamente dalle imprese, dalle scuole o dalle associazioni di Casablanca, quindi utilizza i rifiuti raccolti per realizzare i propri prodotti. Il progetto ha anche una valenza sociale, Koun infatti impiega cinque giovani in fase di riabilitazione, che lavorano sotto la supervisione di Mohamed, il capo officina.

Situazione diversa quella del Senegal. A Dakar, più precisamente a Yoff, Precious Plastic ha trovato casa nell’ostello ViaVia, dove sono state installate tre macchine che tagliano, fondono e pressano la plastica per creare prodotti come piatti o braccialetti. A importare il progetto sono stati Karen, Jens, Masha, Jitse e Yehbonne, cinque studenti belgi dell’Università di Leuven che, sostenuti dall’AFD (Academics For Development), hanno deciso di dedicare al volontariato internazionale le loro vacanze estive.

La sede di Precious Plastic a Dakar

Un primo passo, che però ha già iniziato a produrre frutti: molti abitanti di Dakar e delle regioni circostanti hanno manifestato interesse per il progetto e vorrebbero costruire macchinari simili per rispondere al problema dei rifiuti plastici.

È nato invece come progetto pilota quello avviato tra il 2017 e il 2018 a Kisii in Kenya. In quel caso è stato UN-Habitat, il programma delle Nazioni Unite che mira a favorire un’urbanizzazione sostenibile, a invitare Precious Plastic a creare un’officina per il riciclaggio della plastica.

La sede di Precious Plastic a Kisii in Kenya

L’obiettivo era duplice: da un lato proporre una soluzione al problema dell’inquinamento da materie plastiche, dall’altro contrastare la disoccupazione giovanile. Attualmente la sede di Kisii impiega 11 persone, è particolarmente attiva nel fare cultura sul tema e nell’organizzazione di eventi di pulizia del territorio e utilizzando i macchinari di Precious plastic ha iniziato a produrre ciotole e vasi dai colori sgargianti.

Fino ad ora niente più di un intervento su piccola scala, ma se saranno confermati i buoni risultati di questa prima fase, UN-Habitat spera di poterlo replicare in tutta la regione e, perché no, in tutto il paese.

Co-design for Digital Social Innovation

In che modo l’innovazione digitale può essere uno strumento a servizio delle comunità? In questo dossier, WeMake ci guida alla scoperta della Digital Social Innovation attraverso l’approfondimento della cultura collaborativa dei Makers e dei Fablab.

Metodologie, esempi e casi studio, aiutano a comprendere come l’approccio e le metodologie del movimento maker possano essere utilizzati per realizzare soluzioni scalabili e a basso costo per la cooperazione internazionale.

Le tecniche di coprogettazione proprie di Maker e Fablab trovano ampio spazio anche in ambito educativo. Sono in grado di coinvolgere giovani, studenti e cittadini in processi di apprendimento collaborativo ed esperienziale per ideare e realizzare soluzioni in grado di rispondere efficacemente a bisogni sociali specifici.

“Co-design for Digital Social Innovation” è il terzo di un ciclo di 4 dossier realizzati nell’ambito del progetto Digital Transformation per lo Sviluppo Sostenibile, volti ad approfondire le prospettive della trasformazione digitale nell’ottica di rispondere alle sfide evidenziate dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e dall’Agenda 2030.

Il primo dossier, dedicato al significato e agli impatti della trasformazione digitale, è disponibile qui.

Il secondo dossier, dedicato all’intelligenza artificiale al servizio dell’uomo, è disponibile qui.

Maker, un movimento di artigiani digitali a servizio della cooperazione

Immaginate un mondo in cui sviluppatori di software, esperti di stampanti 3D e di fabbricazione digitale lavorino a fianco dei cooperanti per portare aiuti umanitari nelle aree più remote del mondo. Vi sembra impossibile? Per l’agenzia di cooperazione Usaid, l’equivalente della nostra Cooperazione italiana allo sviluppo, questo mondo è già realtà.

Tanto che ha aperto un profilo sulla piattaforma Github e ad aprile ha lanciato il Global Fab Award. Un contest, in collaborazione con la Banca Mondiale, la Intel Corporation e la Fab Foundation, con l’obiettivo di “scoprire i progetti più innovativi sviluppati da maker internazionali negli ultimi anni, sostenere lo sviluppo locale e incoraggiare il cambiamento nelle comunità che ospitano fablab, maker space e hackerspace, dimostrando il potenziale della fabbricazione digitale e dei progetti open source”.

E nella speciale sessione del premio intitolata “Sensor for global development” sono stati incoraggiati progetti che includessero idee per utilizzare la tecnologia dei sensori, parte integrante dell’evoluzione dell’internet delle cose, in cui gli oggetti interagiscono tra loro e con gli esseri umani tramite applicazioni che ne ricevono i segnali e ci comunicano informazioni.

Per dare un’idea di cosa siamo parlando, pensate a sensori indossabili come Shine (wearable technology, un altro settore in crescita dell’internet of things) che, ad esempio, forniscono feedback sulla propria salute a chi li indossa. Oppure sensori di rilevamento sulla qualità dell’aria, come Birdi, che percepisce quando l’aria in casa è “viziata” e manda un alert al tuo telefono per avvisarti di aprire le finestre. L’internet delle cose può migliorare le nostre vite in molte direzioni, ma c’è un diviario globale che deve essere colmato, e l’agenzia di sviluppo Usaid ne è consapevole.

Un gap notato anche da Juliana Rotich, fondatrice della piattaforma di crowdmapping Ushahidi, osservando il mondo su Thingful, una directory che mappa gli oggetti connessi nel mondo: «Quando ho visto la mappa non ho potuto fare a meno di pensare quella che oggi chiamiamo la “rivoluzione industriale dell’internet delle cose” non è distribuita equamente tra paesi e continenti».

thingful

 

Anche se proprio in queste aree del mondo l’impiego di sensori potrebbe migliorare le condizioni di vita della popolazione, con applicazioni che vanno dall’agricoltura all’accesso all’acqua potabile, producendo informazioni utili anche per le organizzazioni non governative che lavorano sul campo.

Ad aggiudicarsi i 10mila dollari del premio finale, consegnato alla conferenza internazionale dei fablab a Barcellona, è stato il “Momo” (mobile monitor) realizzato da Ben Armstrong, un sensore per monitorare l’avanzamento delle infrastrutture nei paesi in via di sviluppo, con un’estensione applicabile anche ai pozzi per segnalarne i guasti.

Tra gli altri finalisti di Sensors for Global Development Fab Award segnaliamo Fresh air, un network di sensori di qualità dell’aria per monitorare l’inquinamento urbano in Benin realizzato dall’italiano Marco Zennaro; il GrowerBot, “social gardening assistant” che può fornire informazioni accurate su come ottimizzare la produttività di orti in piccola scala, e Safecast un sensore open source per la misurazione dei livelli di radiazione.

 

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