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Trasparenza degli aiuti: nasce Open cooperazione

Tracciare l’identikit del settore della cooperazione allo sviluppo in Italia grazie alle informazioni che ong, associazioni, fondazioni e altri enti che operano nel campo degli aiuti vorranno condividere sul web. È questo l’obiettivo di Open Cooperazione, piattaforma online che nasce da un’idea del blog www.info-cooperazione.it, con il supporto di ActionAid Italia.

di Serena Carta

Il nuovo sito web va nella direzione dell’esigenza di una maggiore trasparenza, responsabilità ed efficacia di chi gestisce gli aiuti internazionali. Risultati facili da raggiungere, se solo la condivisione delle informazioni normalmente tenute sotto chiave o scritte in report illeggibili diventasse una prassi ordinaria. “Unlock the power of information” (“Liberiamo il potere dell’informazione!”) è stato l’appello di Jean Label, presidente dell’International Development Research Centre (IDRC) canadese, durante la cerimonia di apertura della III conferenza sugli Open Data che si è tenuta il 28 e 29 maggio a Ottawa, Canada. L’IDRC è solo uno dei tanti enti che crede che l’apertura, insieme alla “liberazione delle informazioni”, sia uno strumento fondamentale per l’inclusione sociale e la giustizia globale.

Come vengono spesi i soldi dei donatori? Da dove provengono? A chi rispondono le ong e come sono organizzate internamente? Come possono garantire efficacia ed efficienza del loro operato? Qual è la loro missione? 

La piattaforma Open Cooperazione svolgerà il ruolo di “vetrina” dell’operato della cooperazione internazionale di matrice italiana. E grazie al contributo di quelle organizzazioni che dichiareranno, con la loro adesione, di abbracciare il concetto di trasparenza, pubblicherà i dati che permetteranno di rispondere a domande cruciali come quelle sopra citate. Non appena il sistema di registrazione sul sito sarà attivato, gli attori degli aiuti allo sviluppo avranno la possibilità di aprire i loro cassetti e condividere online le informazioni che le riguardano, rendendole così pubbliche, accessibili e fruibili.

I dati richiesti sono divisi in cinque categorie: anagrafica, attività, risorse finanziarie, risorse umane, certificazioni. Lo staff di Open cooperazione li aggregherà e visualizzerà, mostrando la mappa dei paesi d’intervento (con numero e lista delle ong presenti in ogni area geografica), gli ambiti d’azione, il dato totale fatturato dal settore (a partire dall’anno 2013), il numero totale delle risorse umane impiegate nel settore (con suddivisione per tipologia contrattuale e sesso), il totale delle risorse finanziarie mobilitate (con suddivisione donatori privati e pubblici), la mappa dei partenariati e del networking, il dato percentuale dei bilanci pubblicati e certificati.

Due piattaforme sugli open data nella cooperazione italiana?

Qualcuno si domanderà qual è la differenza con Open Aid Italia, portale sugli open data nella cooperazione lanciato lo scorso luglio dal Governo italiano (ne avevamo parlato qui). In breve: Open Aid Italia mette a disposizione i dati e le informazioni sulla destinazione e l’impiego delle risorse finanziarie agli aiuti provenienti esclusivamente da istituzioni pubbliche (anche detto Aiuto Pubblico allo Sviluppo). Open cooperazione, invece, oltre a essere un’iniziativa “dal basso”, fornisce un quadro più ampio che comprende i finanziamenti pubblici e privati così come la fotografia della struttura interna delle organizzazioni, ponendosi l’ambizione di disegnare una vera e propria carta di identità del settore e di illustrarne il funzionamento.

A vantaggio di chi?

“L’apertura dei dati e delle informazioni sul proprio lavoro e la propria organizzazione è una responsabilità innanzitutto individuale, un dovere. Ma è anche la diretta conseguenza di un sistema di enti supportati da finanziamenti pubblici o privati, incaricati di lavorare per il bene comune: per chi li riceve, non dovrebbe forse essere normale rendicontare come ha speso questi soldi di fronte a donor e beneficiari?” dice Pelle Aardema, consulente freelance olandese impegnato a supportare le associazioni non profit nell’utilizzo degli open data e nello sviluppo di strategie di collaborazione online nel lavoro di tutti i giorni. Potrete incontrarlo e dialogare direttamente con lui giovedì 4 giugno dalle 18 alle 19:30 in un webinar gratuito dedicato ad approfondire quanto conta la trasparenza nel mondo degli aiuti allo sviluppo (iscrizioni qui).

Intanto, nell’attesa che il sito Open cooperazione sia pronto ad accogliere i vostri contributi, potete manifestare la vostra adesione scrivendo a segreteria@open-cooperazione oppure registrandovi alla newsletter.

Data Journalism: risorse e suggerimenti per iniziare

Cos’è il Data Journalism? Come funziona? Da dove iniziare? A seguito del webinar gratuito di Ong 2.0 sul tema del “Data Journalism per comunicare lo sviluppo e i temi sociali”, che ha suscitato grandissimo interesse, Andrea Nelson Mauro, relatore del webinar, ha raccolto una serie di link e suggerimenti utili per chi vuole approfondire il tema e iniziare a lavorare in questo settore.

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Abbattere la fortezza: 4 motivi per usare gli open data nel non profit

di Donata Columbro

Secondo l’ultimo Aid Transparency Index sono sempre di più le agenzie internazionali e i governi che cominciano a pubblicare i loro dati sui fondi allo sviluppo, anche in formato aperto, rispettando standard internazionali come quelli disposti dalla convenzione IATI.

Perché tutto il terzo settore dovrebbe interessarsi (e formarsi) all’uso degli open data? Ho provato a delineare quattro motivazioni in vista di un mio intervento al festival di Varese News su questo tema:

  1. La domanda di trasparenza è sempre più alta. Sia nei confronti dei governi che delle organizzazioni che gestiscono fondi pubblici. Ma, in generale, nei confronti di qualunque attore richieda una certa dose di fiducia alla propria comunità di riferimento (cittadini, volontari, stakeholder, donatori) necessaria a portare avanti le sue attività. Aumenta quindi da parte del pubblico l’esigenza di avere dati di cui fidarsi, accessibili e sulla base dei quali sia possibile attivare azioni di cambiamento.  È già stata discussa a livello europeo la possibilità di richiedere alle non profit e alle imprese sociali di misurare il “roi”, ovvero il “return of investment” del proprio impatto sociale. Perché i dati aiutano a osservare meglio la connessione tra le risorse stanziate e i progetti realizzati, individuare aree e soggetti rimasti esclusi e prendere decisioni migliori per il futuro, migliorando la propria accountability.
  2. Una questione di comunicazione. Perché la soluzione ai problemi del mondo potrebbe essere già stata trovata ma è stata pubblicata “in pdf che nessuno legge”. Un recente rapporto della Banca Mondiale ha rivelato che quasi un terzo dei rapporti pubblicati dall’organizzazione non è mai stato scaricato nemmeno una volta. Il 40% è stato scaricato meno di 100 volte. Solo il 13% dei report ha avuto 250 download nel corso della sua “vita” online. E non è un caso che la BM sia stata una delle prime organizzazioni internazionali a pubblicare i propri database in formato aperto nel 2010. Dalla disponibilità di dati aperti deriva una maggior facilità nel produrre visualizzazioni del proprio lavoro, utili per organizzare contenuti e definire campagne di comunicazione più efficaci. Sul Guardian viene ricordato che una delle prime data visualization della storia è stata realizzata nel settore non profit, nel 1857, con l’infografica delle cause di mortalità dei soldati disegnata dall’infermiera Florence Nightingale durante la guerra di Crimea, per convincere la regina Vittoria a migliorare le condizioni dei ricoveri militari.
  3. È l’Onu che ce lo chiede. L’8 novembre è stata resa pubblica la bozza del rapporto sulla Data revolution invocata da Ban ki moon per un maggior impegno nella valutazione dell’impatto dei progetti e nel monitoraggio delle condizioni di vita delle popolazioni attraverso i dati. Agenzie come UN Global Pulse sono state avviate proprio su questa spinta e vogliono aiutare le ong e le organizzazioni non profit a una maggiore integrazione con i governi e le imprese per usare i dati nell’ideazione e valutazione dei progetti.
  4. Per agitare le acque. C’è bisogno che il non profit diventi protagonista di questa battaglia per i dati aperti. L’entusiasmo a livello di dibattito pubblico non manca, ma bisogna tenere conto che più dati non equivalgono a dati migliori. Anzi, fornire dati poco accurati, non aggiornati e di difficile consultazione non portano a una maggiore trasparenza, ma a una situazione di data overload poco utile anche alle organizzazioni stesse. Le ong e le non profit dovrebbero farsi portavoce di questa “rivoluzione”, producendo buone pratiche su come gli open data possano attivare cambiamento, ma anche condividendo difficoltà e fallimenti, coinvolgendo durante tutto il processo i potenziali utilizzatori dei dati .

E se ancora siete confusi sull’idea di dati aperti, ecco un video realizzato per la Trentino Open Data Challenge che ve li spiega…con una favola:

Per approfondire:
L’impatto sociale degli open data
Open development: fantascienza o opportunità?
Open development, la primavera della cooperazione
Le Ong e il non profit: come usare gli open data a Glocalnews

#Hackyouraid, a Pisa il primo hackathon sulla cooperazione internazionale

Si chiama #HackYourAid ed è il primo hackathon di data journalism dedicato al tema della cooperazione internazionale in collaborazione con l’Internet Festival di Pisa.

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NgoAidMap, una mappa per visualizzare la cooperazione internazionale

Una mappa per visualizzare la cooperazione internazionale. Ci ha provato Interaction con NgoAidMap, chiedendo alle ong sue affiliate di inviare i dati sui progetti umanitari realizzati in tutto il mondo, per aumentare la quantità (e la qualità) di informazioni a disposizione di pubblico e finanziatori.

di Donata Columbro

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Open development: fantascienza o opportunità?

«È difficile darne una definizione esaustiva, ma l’open development è già realtà e tante sono le opportunità ancora da scoprire». Che cosa significa che la cooperazione allo sviluppo è open? Ce lo spiega Pelle Aardema, “technology evangelist” del non profit olandese, tra gli organizzatori dell’Open development camp che si terrà ad Amsterdam il prossimo ottobre.

[Serena Carta – dalla rubrica ICT4dev]

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Donare dati per una buona causa

Google, Facebook e le altre aziende della Silicon Valley a cui lasciamo i nostri dati in cambio di servizi gratuiti su internet sanno tutti di noi: cosa compriamo, che film guardiamo, cosa ci piace, come gestiamo le nostre relazioni, dove abitiamo, ecc. Informazioni preziose, che gli imprenditori sanno come sfruttare per guadagnare con il nostro consenso. Ma perché non usare questa “ricchezza” a favore di una buona causa?

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Open data per la cooperazione, l’Italia non sa neanche di cosa stiamo parlando

I dati possono fare la differenza. Anche nella cooperazione internazionale. Possono dirci se un progetto ha fallito o ha avuto successo. Possono aiutarci a capire la strategia generale di un’organizzazione non governativa e indicare la direzione delle politiche di aiuto allo sviluppo dei governi. Quanto è attiva l’Italia in queste pratiche di trasparenza?

di Donata Columbro


Dal punto di vista governativo, molto poco. Nel sito della cooperazione italiana, al momento in cui scriviamo, non esiste nemmeno una sezione di statistiche consultabili. Ogni link a normative, rapporti e schede paese porta a documenti in pdf. Niente di più lontano dalla definizione ufficiale di open data e dal significato stesso di rilasciare i dati in formato aperto.

Già nel 2012 Sanjay Pradhan, vicepresidente della Banca Mondiale, sottolineava l’importanza degli open data per cambiare il modo in cui si pianificano interventi di cooperazione: “ I paesi in via di sviluppo oggi non accetterano soluzioni di seconda mano dagli Stati Uniti, l’Europa o la Banca Mondiale. Prendono ispirazione, speranza e competenze pratiche dalle economie emergenti di successo del Sud. Vogliono sapere come la Cina ha risollevato dalla povertà 500 milioni di persone in 30 anni, come il programma Oportunidades in Messico ha migliorato la scolarizzazione e la nutrizione di milioni di bambini. Questo è il nuovo ecosistema dei flussi di conoscenza aperta, non solo trasferimenti da Nord a Sud, ma da Sud a Sud, perfino da Sud a Nord”.

 

 

Cosa sono gli open data

Non sono “numeri” dentro un file pdf, non sono rapporti. Secondo l’Open Data Handbook sono “dati che possono essere liberamente utilizzati, riutilizzati e ridistribuiti da chiunque, soggetti eventualmente alla necessità di citarne la fonte e di condividerli con lo stesso tipo di licenza con cui sono stati originariamente rilasciati”. Per capire cosa vuol dire avere un programma di open data nel settore della cooperazione allo sviluppo basta navigare il sito della cooperazione nel Regno Unito, dove un “development tracker” accompagna il cittadino nella lettura dei numeri sulla spesa pubblica in aiuto allo sviluppo per progetto e per paese, con i data set originali disponibili e pronti all’uso in qualunque formato. Dello stesso approccio anche i siti della cooperazione svedese e norvegese. In Italia bisogna far riferimento a web documentary d’iniziativa individuale come Follow the money (che ricava i dati dall’OCSE) per sperimentare un simile approccio. La cooperazione statunitense va ancora oltre: ha persino un profilo su GitHub, piattaforma in cui gli sviluppatori possono caricare i propri progetti di software open source e discuterne eventuali modifiche con la community.

 

dev ita vs dev uk

 (I siti della cooperazione italiana e britannica a confronto)

Pradhan, nella sua Ted Talk, sottolineava l’importanza di accompagnare il rilascio dei dati da parte organizzazioni umanitarie a un avvio di pratiche di open government: azioni finalizzate all’apertura, alla trasparenza e alla partecipazione civica in tutti i campi e da parte dei governi del nord come del sud del mondo. Purtroppo anche in questo campo l’Italia è indietro, con una bocciatura arrivata qualche settimana fa dall’Indipendent Reporting Mechanism di Open Government Partnership (OGP) di cui parla approfonditamente Ernesto Belisario su Wired.

Attenzione: non confondere “open data” con “big data”: questi ultimi si riferiscono a dati che vengono raccolti in grandi quantità da aziende pubbliche o private e processabili da software potenti che difficilmente sono a disposizione di organizzazioni non governative o redazioni. I big data sono quantità di dati dell’ordine dei zettabyte, ovvero miliardi di terabyte, come ad esempio i tabulati telefonici collezionati dall’agenzia di sicurezza americana nel programma di sorveglianza Prism. La potenza per la raccolta, l’analisi e la visualizzazione richiede anche migliaia di server (leggi la definizione su Wikipedia).

Aid transparency Initiative

Anche la partecipazione delle singole organizzazioni all’iniziativa Aid Transparency Initiative non ha riscosso molto successo tra le ong italiane. Presentata nel 2008 al forum sull’efficacia degli aiuti di Accra, l’International Aid Transparency Initiative è una piattaforma per il rilascio di open data sugli aiuti. L’obiettivo è rendere l’informazione sugli aiuti di più facile accesso, uso e comprensione, con l’upload di dati in un formato standard, attraverso l’applicazione AidStream. Organizzazioni italiane registrate? Zero.

Banche dati internazionali disponibili

Esistono però raccolte di dati a livello internazionale disponibili a giornalisti e sviluppatori che vogliono esplorare il tema della cooperazione allo sviluppo attraverso della visualizzazione dei dati. Qui un elenco che cercheremo di tenere aggiornato con le vostre segnalazioni:

Banca Mondiale

UNDP

OECD

Open data for Africa

USAID

Direzione generale dello sviluppo e della cooperazione EU 

ODA (Official Development Assistance)

 

Aggiornamento Italia (21 marzo, ore 15:18): buone notizie

Nel documento sulle linee guida e gli indirizzi di programmazione per la cooperazione italiana nel triennio 2014–2016, la parola “open data” viene citata nel punto riguardante l’accountability e la trasparenza. Si legge infatti che “nel corso del 2014, durante il semestre di presidenza italiana dell’UE, sarà lanciata una piattaforma informatica di open data destinata a rendere pubblici e fruibili tutti i dati che si riferiscono ai finanziamenti e alle attività della cooperazione. L’archivio dati servirà sia a realizzare gli obiettivi di trasparenza e responsabilità per “linee interne” nei confronti dei partner e dell’Ocse-Dac, sia a far conoscere a un pubblico generale (cittadini, ricercatori, giornalisti) la realtà della cooperazione, i suoi numeri, le sue storie, attraverso materiali multimediali sulla presenza della Cooperazione Italiana nei diversi Paesi e sull’attuazione dei singoli progetti”.

Non vediamo l’ora di potervi accedere.

 

 

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opendatachallengeAlla fine di settembre, riuniti per tre giorni Berlino alla Open Aid Data Conference, circa 150 partecipanti tra istituzioni, società civile, università, attivisti e organizzazioni internazionali hanno elaborato insieme idee e progetti per aumentare la trasparenza negli aiuti allo sviluppo. 

di Donata Columbro

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