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Abbattere la fortezza: 4 motivi per usare gli open data nel non profit

di Donata Columbro

Secondo l’ultimo Aid Transparency Index sono sempre di più le agenzie internazionali e i governi che cominciano a pubblicare i loro dati sui fondi allo sviluppo, anche in formato aperto, rispettando standard internazionali come quelli disposti dalla convenzione IATI.

Perché tutto il terzo settore dovrebbe interessarsi (e formarsi) all’uso degli open data? Ho provato a delineare quattro motivazioni in vista di un mio intervento al festival di Varese News su questo tema:

  1. La domanda di trasparenza è sempre più alta. Sia nei confronti dei governi che delle organizzazioni che gestiscono fondi pubblici. Ma, in generale, nei confronti di qualunque attore richieda una certa dose di fiducia alla propria comunità di riferimento (cittadini, volontari, stakeholder, donatori) necessaria a portare avanti le sue attività. Aumenta quindi da parte del pubblico l’esigenza di avere dati di cui fidarsi, accessibili e sulla base dei quali sia possibile attivare azioni di cambiamento.  È già stata discussa a livello europeo la possibilità di richiedere alle non profit e alle imprese sociali di misurare il “roi”, ovvero il “return of investment” del proprio impatto sociale. Perché i dati aiutano a osservare meglio la connessione tra le risorse stanziate e i progetti realizzati, individuare aree e soggetti rimasti esclusi e prendere decisioni migliori per il futuro, migliorando la propria accountability.
  2. Una questione di comunicazione. Perché la soluzione ai problemi del mondo potrebbe essere già stata trovata ma è stata pubblicata “in pdf che nessuno legge”. Un recente rapporto della Banca Mondiale ha rivelato che quasi un terzo dei rapporti pubblicati dall’organizzazione non è mai stato scaricato nemmeno una volta. Il 40% è stato scaricato meno di 100 volte. Solo il 13% dei report ha avuto 250 download nel corso della sua “vita” online. E non è un caso che la BM sia stata una delle prime organizzazioni internazionali a pubblicare i propri database in formato aperto nel 2010. Dalla disponibilità di dati aperti deriva una maggior facilità nel produrre visualizzazioni del proprio lavoro, utili per organizzare contenuti e definire campagne di comunicazione più efficaci. Sul Guardian viene ricordato che una delle prime data visualization della storia è stata realizzata nel settore non profit, nel 1857, con l’infografica delle cause di mortalità dei soldati disegnata dall’infermiera Florence Nightingale durante la guerra di Crimea, per convincere la regina Vittoria a migliorare le condizioni dei ricoveri militari.
  3. È l’Onu che ce lo chiede. L’8 novembre è stata resa pubblica la bozza del rapporto sulla Data revolution invocata da Ban ki moon per un maggior impegno nella valutazione dell’impatto dei progetti e nel monitoraggio delle condizioni di vita delle popolazioni attraverso i dati. Agenzie come UN Global Pulse sono state avviate proprio su questa spinta e vogliono aiutare le ong e le organizzazioni non profit a una maggiore integrazione con i governi e le imprese per usare i dati nell’ideazione e valutazione dei progetti.
  4. Per agitare le acque. C’è bisogno che il non profit diventi protagonista di questa battaglia per i dati aperti. L’entusiasmo a livello di dibattito pubblico non manca, ma bisogna tenere conto che più dati non equivalgono a dati migliori. Anzi, fornire dati poco accurati, non aggiornati e di difficile consultazione non portano a una maggiore trasparenza, ma a una situazione di data overload poco utile anche alle organizzazioni stesse. Le ong e le non profit dovrebbero farsi portavoce di questa “rivoluzione”, producendo buone pratiche su come gli open data possano attivare cambiamento, ma anche condividendo difficoltà e fallimenti, coinvolgendo durante tutto il processo i potenziali utilizzatori dei dati .

E se ancora siete confusi sull’idea di dati aperti, ecco un video realizzato per la Trentino Open Data Challenge che ve li spiega…con una favola:

Per approfondire:
L’impatto sociale degli open data
Open development: fantascienza o opportunità?
Open development, la primavera della cooperazione
Le Ong e il non profit: come usare gli open data a Glocalnews

Open development: fantascienza o opportunità?

«È difficile darne una definizione esaustiva, ma l’open development è già realtà e tante sono le opportunità ancora da scoprire». Che cosa significa che la cooperazione allo sviluppo è open? Ce lo spiega Pelle Aardema, “technology evangelist” del non profit olandese, tra gli organizzatori dell’Open development camp che si terrà ad Amsterdam il prossimo ottobre.

[Serena Carta – dalla rubrica ICT4dev]

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Open data per la cooperazione, l’Italia non sa neanche di cosa stiamo parlando

I dati possono fare la differenza. Anche nella cooperazione internazionale. Possono dirci se un progetto ha fallito o ha avuto successo. Possono aiutarci a capire la strategia generale di un’organizzazione non governativa e indicare la direzione delle politiche di aiuto allo sviluppo dei governi. Quanto è attiva l’Italia in queste pratiche di trasparenza?

di Donata Columbro


Dal punto di vista governativo, molto poco. Nel sito della cooperazione italiana, al momento in cui scriviamo, non esiste nemmeno una sezione di statistiche consultabili. Ogni link a normative, rapporti e schede paese porta a documenti in pdf. Niente di più lontano dalla definizione ufficiale di open data e dal significato stesso di rilasciare i dati in formato aperto.

Già nel 2012 Sanjay Pradhan, vicepresidente della Banca Mondiale, sottolineava l’importanza degli open data per cambiare il modo in cui si pianificano interventi di cooperazione: “ I paesi in via di sviluppo oggi non accetterano soluzioni di seconda mano dagli Stati Uniti, l’Europa o la Banca Mondiale. Prendono ispirazione, speranza e competenze pratiche dalle economie emergenti di successo del Sud. Vogliono sapere come la Cina ha risollevato dalla povertà 500 milioni di persone in 30 anni, come il programma Oportunidades in Messico ha migliorato la scolarizzazione e la nutrizione di milioni di bambini. Questo è il nuovo ecosistema dei flussi di conoscenza aperta, non solo trasferimenti da Nord a Sud, ma da Sud a Sud, perfino da Sud a Nord”.

 

 

Cosa sono gli open data

Non sono “numeri” dentro un file pdf, non sono rapporti. Secondo l’Open Data Handbook sono “dati che possono essere liberamente utilizzati, riutilizzati e ridistribuiti da chiunque, soggetti eventualmente alla necessità di citarne la fonte e di condividerli con lo stesso tipo di licenza con cui sono stati originariamente rilasciati”. Per capire cosa vuol dire avere un programma di open data nel settore della cooperazione allo sviluppo basta navigare il sito della cooperazione nel Regno Unito, dove un “development tracker” accompagna il cittadino nella lettura dei numeri sulla spesa pubblica in aiuto allo sviluppo per progetto e per paese, con i data set originali disponibili e pronti all’uso in qualunque formato. Dello stesso approccio anche i siti della cooperazione svedese e norvegese. In Italia bisogna far riferimento a web documentary d’iniziativa individuale come Follow the money (che ricava i dati dall’OCSE) per sperimentare un simile approccio. La cooperazione statunitense va ancora oltre: ha persino un profilo su GitHub, piattaforma in cui gli sviluppatori possono caricare i propri progetti di software open source e discuterne eventuali modifiche con la community.

 

dev ita vs dev uk

 (I siti della cooperazione italiana e britannica a confronto)

Pradhan, nella sua Ted Talk, sottolineava l’importanza di accompagnare il rilascio dei dati da parte organizzazioni umanitarie a un avvio di pratiche di open government: azioni finalizzate all’apertura, alla trasparenza e alla partecipazione civica in tutti i campi e da parte dei governi del nord come del sud del mondo. Purtroppo anche in questo campo l’Italia è indietro, con una bocciatura arrivata qualche settimana fa dall’Indipendent Reporting Mechanism di Open Government Partnership (OGP) di cui parla approfonditamente Ernesto Belisario su Wired.

Attenzione: non confondere “open data” con “big data”: questi ultimi si riferiscono a dati che vengono raccolti in grandi quantità da aziende pubbliche o private e processabili da software potenti che difficilmente sono a disposizione di organizzazioni non governative o redazioni. I big data sono quantità di dati dell’ordine dei zettabyte, ovvero miliardi di terabyte, come ad esempio i tabulati telefonici collezionati dall’agenzia di sicurezza americana nel programma di sorveglianza Prism. La potenza per la raccolta, l’analisi e la visualizzazione richiede anche migliaia di server (leggi la definizione su Wikipedia).

Aid transparency Initiative

Anche la partecipazione delle singole organizzazioni all’iniziativa Aid Transparency Initiative non ha riscosso molto successo tra le ong italiane. Presentata nel 2008 al forum sull’efficacia degli aiuti di Accra, l’International Aid Transparency Initiative è una piattaforma per il rilascio di open data sugli aiuti. L’obiettivo è rendere l’informazione sugli aiuti di più facile accesso, uso e comprensione, con l’upload di dati in un formato standard, attraverso l’applicazione AidStream. Organizzazioni italiane registrate? Zero.

Banche dati internazionali disponibili

Esistono però raccolte di dati a livello internazionale disponibili a giornalisti e sviluppatori che vogliono esplorare il tema della cooperazione allo sviluppo attraverso della visualizzazione dei dati. Qui un elenco che cercheremo di tenere aggiornato con le vostre segnalazioni:

Banca Mondiale

UNDP

OECD

Open data for Africa

USAID

Direzione generale dello sviluppo e della cooperazione EU 

ODA (Official Development Assistance)

 

Aggiornamento Italia (21 marzo, ore 15:18): buone notizie

Nel documento sulle linee guida e gli indirizzi di programmazione per la cooperazione italiana nel triennio 2014–2016, la parola “open data” viene citata nel punto riguardante l’accountability e la trasparenza. Si legge infatti che “nel corso del 2014, durante il semestre di presidenza italiana dell’UE, sarà lanciata una piattaforma informatica di open data destinata a rendere pubblici e fruibili tutti i dati che si riferiscono ai finanziamenti e alle attività della cooperazione. L’archivio dati servirà sia a realizzare gli obiettivi di trasparenza e responsabilità per “linee interne” nei confronti dei partner e dell’Ocse-Dac, sia a far conoscere a un pubblico generale (cittadini, ricercatori, giornalisti) la realtà della cooperazione, i suoi numeri, le sue storie, attraverso materiali multimediali sulla presenza della Cooperazione Italiana nei diversi Paesi e sull’attuazione dei singoli progetti”.

Non vediamo l’ora di potervi accedere.

 

 

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