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Quando un computer ti cambia la vita: Mayen dal campo profughi ai videogiochi

Lual Mayen è venuto al mondo più volte. La prima 24 anni fa nel Sudan del Sud, da decenni teatro di continui conflitti. La seconda quando, ancora neonato, i suoi genitori lo hanno portato in Uganda, dopo un viaggio a piedi di oltre 350 chilometri. Sopravvissuto alla guerra, si ritrova a dover affrontare la vita di un campo profughi. La terza, quando Lual ha 12 anni e riceve in dono il suo primo laptop, su cui inizia a sviluppare un videogioco. Videogioco che lo porta a un’ennesima rinascita, nei panni di sviluppatore di videogames, in quel di Washington DC.

di Luca Indemini

Quella di Lual Mayen è una storia da film. Ma in epoca digitale, sarà un videogioco a raccontarla. O meglio, a permettere di viverla. Riviverla. E capire cosa vuol dire essere immersi in un conflitto, perdere la casa, parenti e amici, dover fuggire dalla propria terra natia. E vivere in un campo profughi. Proprio in un capo profughi dell’Uganda è iniziata la rivoluzione che ha trasformato la sua vita.

Lual Mayen

Quando il piccolo Lual vide il computer che veniva utilizzato nel centro di registrazione per rifugiati, chiese a sua madre di averne uno. Richiesta che dovette suonare irrealizzabile agli occhi della madre: mancava anche il cibo, come avrebbe potuto acquistare un laptop. Ma poi Daruka, la madre di Lual, pensò che avrebbe potuto rappresentare un’occasione preziosa per suo figlio. Per tre anni si mise a lavorare sodo e cercò di risparmiare ogni centesimo, per raccogliere i 300 dollari necessari ad acquistare il laptop. All’età di 12 anni, Lual ottenne il suo primo computer. Affinché gli sforzi della madre non risultassero vani, ogni giorno Mayen percorreva un cammino di tre ore per raggiungere il più vicino Internet cafe, dove ricaricare il computer, per poi dedicarsi a imparare i primi rudimenti di informatica. Ha fatto tutto da autodidatta, guardando i tutorial che un amico di Kampala gli passava su una chiavetta USB.

Su quel laptop è nata la prima versione di Salaam, il gioco di pace che sta lanciando attraverso la sua compagnia Junub Games. All’epoca del campo profughi voleva realizzare un gioco che fosse in grado di intrattenere i suoi amici, li tenesse uniti e li aiutasse a imparare. Oggi, con Salaam, Mayen sta aprendo la strada nella categoria dei giochi a impatto sociale.

Salaam: dal campo profughi a Washington DC

Lual ha sviluppato la prima versione mobile di Salaam nel 2016, in Uganda. I giocatori dovevano toccare le bombe che cadevano dal cielo per dissolverle in una nuvola di pace prima che arrivassero a terra. Mayen ha pubblicato il link al gioco sulla sua pagina Facebook e subito ha ottenuto una grande attenzione, che in breve tempo gli ha aperto la strada per gli Stati Uniti. Il 3 luglio 2017 si è trasferito a Washington DC per partecipare al programma di accelerazione Peace Tech Labs, quindi ha lanciato Janub Games, con cui ha già rilasciato il gioco da tavola intitolato Wahda (unità).

L’idea di un gioco “vecchio stile” è stata dettata dal fatto che i videogiochi non avrebbero potuto essere giocati da molte persone nel mondo, perché non in possesso dei dispositivi necessari.

Salaam invece punta a un pubblico “digitale”: i 700 milioni di utenti di Facebook Instant Games.

Nella nuova versione di Salaam, i giocatori vestono i panni di un rifugiato che deve fuggire dalle bombe che cadono, trovare l’acqua e guadagnare punti-energia per riuscire a sopravvivere, mentre il paese del protagonista affronta la complessa transizione da un presente di guerra a un futuro di pace. Se il personaggio esaurisce l’energia, viene richiesto al giocatore di acquistare più cibo, acqua e medicine con denaro reale. I fondi così raccolti vengono devoluti in favore di un rifugiato, attraverso le partnership di Junub con numerose ONG.

La campagna su Kickstarter, purtroppo, non ha dato i frutti sperati, ma non mancano i sostenitori, tra cui il giocatore NBA Luol Deng, dei Minnesota Timberwolves. E i riconoscimenti: lo scorso anno, ai The Game Awards, Mayen ha ottenuto il Global Gaming Citizen, riconoscimento riservato a chi cerca di cambiare il mondo con i videogame.