Twitter, Wikileaks, web 2.0: l’informazione è più trasparente

journalismdigitalI social media e l’informazione: se qualcosa è cambiato è stato “in meglio” secondo gli esperti e i professionisti del settore che hanno discusso del futuro del giornalismo dopo la rivoluzione del web 2.0 alla Social Media Week.

di Donata Columbro da Roma

 

 

Nel 2010 il mondo dell’informazione è stato travolto dall’uso dei social media (più di 500 milioni di utenti registrati su Facebook e oltre 100 su Twitter) insieme con i mobile media, gli smartphone utilizzati per produrre e pubblicare notizie. Per non parlare di un nuovo tipo di giornalismo investigativo, il database journalism, il cui protagonista assoluto dello scorso anno (ma lo sarà probabilmente ancora per molto tempo) è stato Wikileaks. Cosa è successo nelle principali redazioni italiane dopo questi grandi cambiamenti? Ne hanno discusso ieri alla Social Media Week – Emilio Carelli (direttore di SkyTG24)  Luca Dini (direttore di Vanity Fair ) – Tommaso Tessarolo (direttore di Current), – Alessandro Giglioli (giornalista L’Espresso),  Giancarlo Vergori (direttore generale di Matrix/Virgilio) – Fabrizio Falconi (caporedattore Agenzia News Mediaset).

 

Il giornalismo è cambiato nei contenuti e nelle modalità, il mestiere stesso di giornalista televisivo sta evolvendo, non c’è più bisogno di un team di specialisti per creare un tg o una testata, basta il reporter con i suoi strumenti. Il citizen journalism? Una grande democratizzazione avvenuta nel mondo dell’informazione.” a commentare entusiasta l’avvento delle tecnologie del web 2.0 è Emilio Carelli, direttore di SkyTG24. “Il fatto che il pubblico possa interagire con la testata e inviare i suo commenti o le sue notizie, come per IoReporter (rubrica del TG24) arricchisce senza dubbio l’informazione”.

Quando si parla di testate online, come l’Huffington Post, di recente acquisito da AOL, Gilioli, autore del fortunato blog Piovono Rane mette in guardia sul problema della qualità: “Nel caso dell’Huffington Post ha funzionato il mix tra citizen journalism e giornalismo professionale. Ha avuto successo perché in rete più che la carta stampata paga l’autorevolezza e il lungo termine. La rete essendo medium rapido vogliamo riscontro rapido, ma non è così. La web reputation si conquista nel tempo e con continua ricerca di credibilità, vale per i blog e per una testata giornalistica”.

Ma Gilioni mette anche in guarda contro il termine troppo abusato di “giornalismo” per qualsiasi cosa che venga pubblicata online “bisognerebbe parlare invece di comunicazione”, sostiene il giornalista.

E cosa succede quando al posto di una redazione di giornalisti investigativi arriva un fenomeno come Wikileaks a far luce sugli affari della politica internazionale? “Wikileaks è attivismo politico con il mezzo del giornalismo”, continua Gilioli. “Le notizie di Wikileaks vanno pubblicate, portano trasparenza”, afferma Carelli. “Io non mi fiderei di un personaggio come Assange” afferma invece Vergori, direttore di Matrix/Virgilio. “Wikileaks non fa di certo sparire i giornalisti e la carta stampata. Ci sarà sempre qualcuno che interpreti la notizia”.

Resta da capire se il cambiamento abbia fatto bene o male a giornalismo. In platea, tutti sono d’accordo nel ritenere l’informazione italiana insufficiente a garantire un alto livello di democrazia. Ma per Luca Dini, direttore di Vanity Fair, da poco sul web con il portale Vanity.it: “Il giornalismo è migliorato così come è migliorata la comunicazione con i social media. E’ come se noi per 200 anni avessimo fatto giornalismo nello stesso modo, mentre in questi ultimi anni è successo di tutto. “E’ importante sottolineare la questione della trasparenza: lavoriamo in una casa di vetro ed è la cosa più bella di questa rivoluzione. Gli utenti hanno accesso alle fonti delle notizie, questo ci permette di riacquistare quell’affidabilità che aveamo perso. I lettori ci seguono, se c’è un plagio se ne accorgono, e ritengo fondamentale la partecipazione del pubblico come controllore dell’informazione.”

Il confine tra la categoria dei giornalisti e quella di lettori è diventata labile, tanto che Giancarlo Vergori, molto pragmaticamente, pone il problema di come monetizzare l’informazione in un mondo in cui tutto è accessibile a tutti gratuitamente: “non c’è ancora un modello di business che può funzionare solo online, perché gran parte del mercato della pubblicità è occupato dalla televisione, ancora appetibile. In Gran Bretagna la BBC non si finanzia con la pubblicità e questo libera una fetta di mercato che finisce online, quasi il 30%, mentre in Italia  il 16%”.

il problema dell’informazione italiana è riportato in discussione da Tommaso Tessarolo, di Current Italia: “In italia è la mappa di potere che controlla tutte le testate stampate o televisive: 9/10 sono strumenti per centri di potere  che li usano per lanciare i propri messaggi”.

Ma per fortuna, potemmo concludere, Wikileaks è arrivato anche qui.

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