Uganda digitale
Nel nord del paese, già roccaforte dei ribelli dell’Lra di Joseph Kony, la ricostruzione post-bellica passa anche attraverso la rinascita culturale. E oggi una scuola di mobile journalism insegna ai giovani come comunicare via web, dando loro gli strumenti per raccontare una realtà diversa da quella mostrata dai media europei.
di Donata Columbro da Kalongo
Catherine, Susan, Samuel, Charles, James, Richard, Anthony. Sono i primi protagonisti del laboratorio di mobile journalism avviato nell’ambito di un progetto di comunicazione sulla sovranità alimentare realizzato in Senegal, Uganda e Italia da Fondazione De Agostini e Fondazioni4Africa. Obiettivo? Creare uno spazio digitale di scambio tra le scuole ugandesi, senegalesi e italiane per informare i propri coetanei sul tema della sovranità alimentare, attraverso gli strumenti del mobile reporter: uno smartphone connesso a internet e un blog dove caricare notizie, video e foto.
In 10 giorni il ‘Kalongo reporting team’ – così si è battezzata la squadra di studenti della scuola Saint Charles di Kalongo che ha partecipato al primo workshop – ha imparato a cavarsela tra piattaforme web e regole di giornalismo, per raccontare una realtà quotidiana che non sempre corrisponde a quella mostrata dai media europei.
L’Uganda non è la Spagna
Negli ultimi mesi l’Uganda è tornata alla ribalta, prima per la campagna dell’ong statunitense Invisible children che ha promosso l’arresto del ‘signore della guerra’ Joseph Kony, con una campagna virale on line molto discussa (vedi https://bit.ly/Kony-VpS). Poi per l’sms del premier spagnolo Mariano Rajoy che ha scritto al suo ministro Luis de Guindos per difendersi dalle accuse di non gestire bene la crisi economica: «Aguanta, somos la quarta potencia de Europa, España no es Uganda». La Spagna non è l’Uganda. E l’”Uganda non è la Spagna” ha replicato su twitter la blogger ugandese Rosebell Kagumire, indignata per il paragone. L’Uganda fa infatti parte del ‘Club del 7%’, insieme alle economie emergenti che si espandono ogni anno a un ritmo superiore a questa soglia. Quasi per confermare l’immagine di un paese florido e in crescita, a dare il benvenuto ai visitatori che arrivano all’aeroporto di Entebbe è il cartellone pubblicitario di un noto produttore di pc, tablet ed elettronica che promuove il suo costosissimo smartphone, il cui prezzo equivale a poco più della metà del reddito annuo di un cittadino ugandese.
Ma se l’Uganda non è la Spagna, anche Kalongo non è Kampala… Capoluogo del distretto di Pader, a 460 km dalla capitale, Kalongo è un agglomerato di capanne ai piedi di una grande e magnifica roccia di 460 metri, detta Monte Oret. C’è una strada principale attorno cui si sviluppa il commercio: bancarelle, bar e, da pochi mesi, una banca. La strada arriva fino alla missione dei padri Comboniani, che gestiscono un ospedale, e al compound di molte ong, tra le quali Cesvi, sede del workshop di giornalismo.
Fino al 2006 Kalongo ospitava 60 mila profughi della decennale guerra dell’Lra contro il governo. In quegli anni era centro di rifornimento dei ribelli, era qui che si concentravano gli aiuti del World Food Program e delle organizzazioni internazionali di emergenza. Di quel periodo – fatto di violenza, brutalità e totale dipendenza dagli aiuti umanitari – Kalongo porta ancora i segni, visibili nelle strutture-rifugio costruite dall’ong Avsi per ospitare donne e bambini in fuga, ma anche nelle storie di persone come Geordy, responsabile di una casa-famiglia che accoglie una ventina di bambini dai 2 ai 6 anni, orfani di guerra. O di Evelyn, 26 anni, con una bimba di un anno, che ha abbandonato la scuola per fare la sarta e poter pagare le rette scolastiche al fratello minore.
Se in città ci sono ex bambini soldato, è difficile trovarne qualcuno disposto a raccontare la propria esperienza. Lo conferma Charles, che nelle mani dei ribelli è «rimasto solo mezz’ora» perché è riuscito subito a fuggire, e in città è stato testimone di atrocità commesse tanto dall’Lra quanto dall’esercito governativo: «Di notte donne e bambini venivano ospitati qui alla missione, nel compound di Avsi, gli uomini invece si rifugiavano verso le montagne. I ribelli arrivavano a Kalongo e iniziavano a uccidere o cercavano nuove reclute». I giovani per farne soldati, gli adulti come schiavi per trasportare merci pesanti.
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Cerca ‘corruzione’ su Google
Ma oggi a Kalongo non è di Kony e della sua guerra assurda che si parla. Piuttosto si critica la politica di Museveni, più impegnato a escogitare sistemi per restare al potere che a preoccuparsi dei problemi del paese. «E’ in carica da 23 anni e probabilmente non se ne andrà mai, continuerà a cambiare la Costituzione in suo favore», sostiene uno degli insegnanti della Saint Charles, anche loro tornati sui banchi per il progetto di F4A.
Dopo due intense giornate di ‘teoria’ di web 2.0, da Tim Berners-Lee a Ory Okolloh (fondatrice di Ushahidi), il workshop entra nel vivo anche per gli insegnanti del Saint Charles, che dopo una serie di esperimenti con gli smartphone vogliono provare ad accedere all’universo di conoscenza infinita promesso dal motore di ricerca Google.
Le prime tre parole digitate dai docenti di Kalongo sulla casella di ricerca sono “corruzione in Uganda”, un male che affligge potenzialmente ogni azione della vita quotidiana: ottenere certificati, denunciare un furto, fare pratiche, tutto ha un prezzo e se i cittadini non accettano di pagarlo rischiano di essere esclusi dalla grande macchina burocratica che muove l’economia del paese.
Land grabbing di Stato
Gli studenti del corso sul mobile journalism però sono concentrati sul loro futuro. Vogliono diventare fotografi e giornalisti. Questo non è il primo laboratorio di giornalismo che frequentano: già nel 2009 l’associazione Fotografi senza Frontiere con Fondazioni4Africa aveva allestito una camera oscura e un workshop che aveva dato vita a una fortunata mostra, esibita anche in molte piazze d’Italia sotto il titolo ‘Autoritratto di Kalongo’.
La prova sul campo quest’anno è un reportage sul lavoro degli agricoltori di Kokil (non lontano da Kalongo) seguiti dagli animatori rurali di Cesvi. I ragazzi ottengono l’intervista di Robert Otyeno, contadino 35enne, che racconta i problemi della vita nei campi. Oltre all’incertezza della stagione delle piogge e della mietitura, anche la fluttuazione dei prezzi alimentari incide sulla vita economica di Robert. Tra le cause una sorta di land grabbing di Stato, che avviene tramite la vendita di grandi stock di zucchero a bassi prezzi sul mercato straniero, principalmente l’India, per rendere scarsa questa merce a livello nazionale. I contadini, impoveriti da queste scorrettezze del mercato, sono così incentivati a vendere le loro terre al governo per avere immediati guadagni e denaro sufficiente a mantenere la famiglia.
Tutto questo non passa inosservato ai reporter di Kalongo, che nel blog del progetto riportano l’esperienza di Robert così come quella di altri agricoltori della zona.
«Da queste interviste e dalla riflessione sulla sovranità alimentare abbiamo imparato che la vita di un contadino del nord Uganda è strettamente collegata con quella dei cittadini di altri paesi», dice Samuel, «a quello che decidono di mangiare in Europa o in Asia e alle capacità del nostro governo di lasciare a ognuno il diritto di coltivare la propria terra».
Giovani promesse del mobile journalism crescono.
Credits foto: Emiliano Scatarzi (Fotografi Senza Frontiere)
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